Il carico economico della cura delle persone anziane non autosufficienti si regge sulle loro pensioni, sulle spalle delle famiglie e sul lavoro di cura, non retribuito, delle donne. Secondo il rapporto Oms dedicato alle disuguaglianze di genere nel lavoro sanitario, "Fair share for health and care: gender and the undervaluation of health and care work", globalmente le donne rappresentano la spina dorsale dell'economia dell'assistenza, comprendendo il 67 per cento della forza lavoro globale nel settore sanitario e sociale e svolgendo inoltre il 76 per cento delle attività assistenziali non retribuite.

A livello mondiale, i servizi di assistenza e cura sono per la stragrande maggioranza non retribuiti: sono infatti 179 milioni le ore giornaliere spese in questi compiti, ciò equivale a 22 milioni di persone che lavorano otto ore al giorno senza remunerazione.

In Italia, nonostante non ci sia una mappatura ufficiale del lavoro di cura, secondo il documento “Prospettive occupazionali e qualità del lavoro di assistenza e cura in Italia” redatto dall’International Labour Organization (Ilo) nel 2018, le donne svolgono 5 ore e 5 minuti di lavoro non retribuito di assistenza e cura al giorno mentre gli uomini un’ora e 48 minuti.

Spesso, infatti, sono proprio le donne a essere caregiver familiari, ovvero quelle persone che assistono e si prendono cura, in maniera continuativa e gratuita, di un loro familiare non autosufficiente o con patologie croniche invalidanti, quando non è possibile avere personale esterno.

I problemi delle famiglie

Quando invece c’è la possibilità di avere un sostegno professionale, le famiglie si trovano a fronteggiare diversi ostacoli, come spiega a Domani Lorenzo Gasparrini, segretario generale di Domina, Associazione nazionale famiglie datori di lavoro domestico.

Gasparrini afferma che il primo problema per la ricerca di una badante, per le famiglie, riguarda in primis dove trovare un’assistente familiare qualificata «attualmente c’è carenza di personale convivente qualificato, mentre fino a qualche anno fa c’era una scelta ampia. Noi invitiamo le famiglie ad andare in strutture che da anni hanno questo tipo di attività e che formano le badanti, quindi strutture sindacali del territorio o agenzie che fanno questo da anni, e non per business, perché altrimenti non troverebbero persone qualificate».

In secondo luogo c’è il problema della barriera linguistica, cui le famiglie si trovano a far fronte: «Spesso la badante parla solo la sua lingua e capisce poco la lingua italiana o i dialetti parlati dall’anziano e possono nascere incomprensioni».

Secondo Gasparrini l’attività di insegnamento della lingua italiana dovrebbe essere fornita da comuni, province o regioni con corsi appositi, ma alla fine sono quasi sempre «le famiglie che si dedicano alla spiegazione dell’utilizzo del vocabolario dell’anziano», con lo sforzo attivo della collaboratrice domestica ad impararlo, giorno dopo giorno.

C’è poi la questione legata al tempo libero di chi assiste la persona anziana: «Esistono dei periodi, durante la giornata, di riposo della badante. Mentre il datore di lavoro, spesso pensa che sia disponibile ventiquattr'ore su ventiquattro, e nascono dei contrasti: magari i figli dell’assistito devono continuare a rimanere in contatto con l’assistente familiare perché ha diritto al riposo o perché, ad esempio, la domenica è libera, per cui le famiglie devono farsi carico di quella giornata per la cura della persona anziana o del periodo intero di ritorno in patria per le vacanze»; e questo pesa sulle famiglie, che devono trovare il modo di organizzarsi per quel lasso di tempo.

Costi proibitivi

Intanto c’è un problema generale di inflazione, che erode pesantemente la capacità di spesa delle famiglie. Ma c’è un problema più specifico, fotografato dall’ultimo rapporto Domina che ha calcolato che senza la spesa delle famiglie (7,7 miliardi nel 2022), che garantisce la possibilità dell’assistenza a domicilio, lo Stato dovrebbe spendere circa 19,8 miliardi in più per la gestione di quasi un milione di anziani in strutture dedicate (media pro-capite 22mila euro annui, calcolati nel rapporto).

Anche azzerando completamente l’indennità di accompagnamento, che oggi va a sostegno dell’assistenza a domicilio, la spesa pubblica salirebbe a 33,3 miliardi. Il rapporto conclude affermando che, grazie all’onere delle famiglie, nel 2022 lo Stato ha risparmiato 8,8 miliardi di euro, pari allo 0,5 per cento del Pil.

Per Gasparrini il 90 per cento delle spese di cura «è sulle spalle della famiglia, e la famiglia certe volte cerca di spendere meno, magari non regolarizzando il lavoratore, il che diventa un danno per entrambi. Attualmente, inoltre, è possibile portare in deduzione solo i contributi del datore di lavoro, per 1.549 euro annui, o portare in detrazione il 19 per cento delle spese su 2.100 euro per persona non autosufficiente; però in questa possibilità ci sono dentro anche gli ausili da acquistare, come la carrozzina, e tutti gli altri che servono per assisterlo. Quindi quello che chiedono le famiglie è la possibilità di portare in deduzione non solo i contributi ma anche la retribuzione dell’assistente familiare. Se si potesse farlo per un costo annuale di circa 18mila euro, si avrebbe un vantaggio fiscale importante e si sarebbe incentivati a regolarizzare la badante».

Le famiglie, dunque, chiedono allo Stato di avere un aiuto nella gestione economica delle collaboratrici domestiche. Gasparrini ricorda, in tal senso, che dal prossimo anno sarà previsto un rimborso «per un lavoratore convivente per tutte quelle famiglie che hanno una persona anziana con età superiore agli 80 anni non autosufficiente e con un Isee inferiore ai seimila euro»; che sarà erogato, in via sperimentale, per il biennio 2025/2026 e avrà un valore di 850 euro mensili, che si andrà a sommare all’importo dell’assegno di accompagnamento, per un totale di 1.380 euro mensili.

Nonostante l’introduzione di questa nuova risorsa, però, la platea di percettori rimane assai limitata, soprattutto grazie al bassissimo valore Isee per poterne usufruire.

Dove chiedere aiuto

Alcune regioni offrono servizi per aiutare le famiglie nella ricerca di collaboratori e collaboratrici domestiche. In Friuli Venezia Giulia è attivo il servizio della Regione Si.con.te, dove si possono trovare informazioni relative ai principali servizi socio assistenziali e agli strumenti economici a supporto della domiciliarità delle cure di persone anziane. C’è anche la possibilità di entrare in contatto con assistenti familiari, baby sitter o colf e anche di candidarsi come tali.

In Toscana è presente il servizio Pronto badante, che la Regione ha deciso di mettere a disposizione delle famiglie: un servizio di sostegno rivolto alla persona anziana nel momento in cui si presenta, per la prima volta, una situazione di fragilità. L'operatore è in grado di informare e orientare la famiglia sui servizi territoriali e sugli adempimenti amministrativi necessari, fornendole supporto e accompagnamento nel primo accesso allo sportello del Punto Insieme, un luogo di accesso ai servizi ed alle prestazioni in favore delle persone che non sono più in grado di provvedere autonomamente alle necessità quotidiane.

La regione, inoltre, offre alla persona anziana una erogazione, attraverso il libretto famiglia per il lavoro occasionale accessorio, di un importo complessivo di euro 300 una tantum, pari alla copertura di massimo 30 ore, da utilizzare per le prime necessità.

Sul sito dell'associazione Domina, tramite tesseramento, è possibile avere consulenze gratuite sul Ccnl di competenza e su tutti gli aspetti che riguardano il lavoro domestico: dall’assunzione della collaboratrice familiare, ai contributi Inps, fino alla risoluzione del rapporto di lavoro. Domina, insieme ad Api-Colf, mette inoltre a disposizione un servizio online per trovare la propria collaboratrice domestica di fiducia, tramite la compilazione online di un form; per promuovere e supportare gratuitamente l’incontro tra domanda e offerta di lavoro nel settore del lavoro domestico.



 

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