- In totale sono quattro i fermati dalla polizia, tutti amministratori fiduciari del “612 Humanitarian Relief Fund”, un’organizzazione nata nel 2019 per aiutare i manifestanti a favore della democrazia.
- Il cardinale è stato rilasciato dopo qualche ora di interrogatorio nella stazione di polizia di Wan Chai, sull’isola di Hong Kong. Uscito dalla caserma non ha voluto rilasciare dichiarazioni. A far pressione sulla Cina è stata anche la Casa Bianca.
- L’accusa di «collusione con forze straniere» è una delle quattro tipologie di reato della legge sulla sicurezza nazionale introdotta nel giugno del 2020, insieme a sovversione, secessione e terrorismo.
La polizia di Hong Kong ha arrestato il cardinale Joseph Zen Ze-kiun, di 90 anni, poi rilasciato su cauzione. Con lui sono stati arrestati anche l’ex parlamentare dell’opposizione 74enne Margaret Ng, la cantante Denise Ho e l’accademico Hui Po-keung. L’accusa nei loro confronti è di «collusione con forze straniere».
In totale sono quattro i fermati dalla polizia, tutti amministratori fiduciari del “612 Humanitarian Relief Fund”, un’organizzazione nata nel 2019 per aiutare i manifestanti a favore della democrazia, coinvolti nelle proteste, a pagare le spese legali per la loro difesa nei processi. Nel 2021 il fondo è stato sciolto dopo che la polizia era entrata in possesso di tutte le informazioni relative ai donatori e ai beneficiari dei finanziamenti.
Il cardinale è stato rilasciato dopo qualche ora di interrogatorio nella stazione di polizia di Wan Chai, sull’isola di Hong Kong. Uscito dalla caserma non ha voluto rilasciare dichiarazioni. A far pressione sulla Cina è stata anche la Casa Bianca, che poco prima del rilascio di Zen aveva chiesto una sua «liberazione immediata» tramite la vice portavoce Karine Jean-Pierre.
L’accusa di «collusione con forze straniere» è una delle quattro tipologie di reato della legge sulla sicurezza nazionale introdotta nel giugno del 2020, insieme a sovversione, secessione e terrorismo. Accuse che possono portare anche all’ergastolo. Pechino ha imposto il provvedimento, valido anche retroattivamente, per reprimere le proteste a favore della democrazia. Una decisione che aveva causato forti polemiche sulla scia delle rivolte del 2019.
Il 90enne Zen è il vescovo emerito della città di Hong Kong, è stato in carica fino al 2009 ed è tuttora uno dei più alti prelati in tutta l’Asia. È dichiaratamente a favore del movimento democratico della città, tanto che lo scorso gennaio la stampa legata all’amministrazione aveva pubblicato degli articoli in cui si indicava Zen come uno degli incitatori delle rivolte del 2019. Accuse dirette che avevano lo scopo di colpire la figura del porporato dissidente.
Il governo cinese ha da tempo cominciato a stringere la morsa su Zen. Il 90enne non rappresenta solo una voce critica delle politiche cinesi su Hong Kong, ma anche del controllo di Pechino sulle comunità religiose. Nel recente passato il vescovo aveva puntato il dito in maniera veemente contro la rimozione delle croci dall’esterno delle chiese in Cina. Inoltre, per anni, Zen ha celebrato messe in ricordo delle vittime di piazza Tiananmen a Pechino del 1989.
I rapporti con Francesco
La reazione della Santa sede è arrivata con celerità. Il direttore della sala stampa vaticana Matteo Bruni ha dichiarato: «La Santa sede ha appreso con preoccupazione la notizia dell’arresto del cardinale Zen e segue con estrema attenzione l’evolversi della situazione». Una risposta diplomatica, forse anche troppo, che inquadra perfettamente i rapporti tesi tra il Vaticano e l’ex vescovo di Hong Kong. Una relazione ai minimi termini da anni.
Zen è uno strenuo oppositore della politica vaticana delineata da papa Francesco nei confronti della Cina, soprattutto dell’accordo tra Vaticano e Pechino sulle nomine dei vescovi. Un patto, entrato in vigore nel 2018 – prima provvisoriamente – e poi rinnovato nel 2020, che disciplina le nomine episcopali congiunte.
Quando nel 2020 Zen è venuto a Roma da Hong Kong per incontrare il pontefice, non è stato nemmeno ricevuto. Un episodio seguito dagli insulti del vescovo ai danni del segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, definito un ipocrita e un disonesto.
Per il 90enne, la chiesa dovrebbe sperare nel crollo del regime comunista cinese per poter avere un ruolo centrale nella ricostruzione successiva, non stringere accordi. La differenti dottrine del comunismo e del cattolicesimo sono incompatibili per Zen, motivo per il quale le strade sino-vaticane dovrebbero dividersi. Un’idea opposta, quindi, a quella di Francesco, che spinge per una riconciliazione con Pechino, definendola un percorso in continuità con quanto fatto dai suoi predecessori.
La critica che da anni il porporato arrestato muove nei confronti della Santa sede è anche quella di aver abbandonato i fedeli cattolici nelle grinfie di Pechino, di non averli difesi abbastanza dalle persecuzioni e di tradire chi, ogni giorno pur di coltivare la propria fede, rischia la vita in Cina.
La tensione tra Vaticano e Zen è continuata negli anni. Nel marzo 2021, Zen ha scritto una lettera incendiaria per protestare contro la decisione del pontefice di vietare le messe private nella basilica di san Pietro ai canonici. Nella lettera, Zen auspicava che lo «strapotere della segreteria di Stato» venisse ridimensionato, parlava di «mani sacrileghe» e «covo di ladri».
Soltanto nel maggio del 2021, papa Francesco (insieme a Pechino) ha nominato Stephen Chow vescovo di Hong Kong. Il nome del gesuita, considerato un “bergogliano” e attento al dialogo, è stato gradito anche dalle parti del regime.
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