Ecco le chat del gruppo di autodifesa di Milano. Tra equipaggiamenti militari e nuove spedizioni: «La polizia è con noi». La procura ha acceso un faro sui conti esteri dedicati alle donazioni
«Copritevi i volti. State attenti sia ai magrebini sia allo Stato». Continuano a serpeggiare l’odio e la violenza nelle chat del gruppo “Articolo 52”, che intanto si prepara a una nuova missione “anti maranza”. Dopo il pestaggio dei giorni scorsi a Milano di un ragazzo straniero ripreso con un video, solo alcuni dei membri di questo collettivo virtuale temono che tra loro ci possano essere degli infiltrati.
Carabinieri, poliziotti, militari, insomma, in grado di stanarli. Con le conseguenze penali che ne deriverebbero. Ma, se solo in pochi hanno deciso di uscire dal gruppo, gli altri sono passati alla fase operativa.
La nuova missione punitiva
Mentre su Instagram la pagina originale del movimento è stata eliminata a causa dei contenuti violenti, su Telegram stanno spuntando a ripetizione gruppi più piccoli con l’obiettivo di emulare le azioni di Articolo 52. Nella serata di mercoledì, una trentina di persone si è radunata sulla piattaforma di meeting online Zoom per una riunione operativa in vista delle prossime azioni: «Il nostro obiettivo», spiega uno dei responsabili, «è quello di far sentire la nostra presenza e garantire sicurezza alla gente. Nessuno fino a ora si è degnato di dare una ripulita in giro, e quindi lo faremo noi».
E allora si passa alla prima segnalazione su cui intervenire concretamente: «C’è una signora che ha un bar nella zona della stazione di Camnago Lentate», continua. «C’è bisogno durante il weekend di almeno due persone che controllino, perché vanno spacciatori, maranza e marocchini che pretendono il caffè».
L’obiettivo è definito. «Ma come si agisce?», chiede qualcuno. La risposta di un altro organizzatore non lascia spazio ai dubbi: «Noi proviamo a restare nella legalità. Dal momento che non possiamo intervenire con le buone saremo fuori dalla legalità. Ma questo non significa che non interveniamo. Andiamo fino in fondo. Chi sbaglia paga».
E a chi si dice preoccupato per le ripercussioni dice di «fregarsene» perché non c’è spazio per la paura: «Io se voglio pestare un magrebino perché sta facendo una cosa sbagliata lo faccio e me ne frego. Lo pesto perché ha sbagliato. Non andiamo a rompere i coglioni a nessuno, ma se c’è da intervenire lo facciamo». E per tranquillizzare ulteriormente tutti interviene un altro partecipante affermando di lavorare «a stretto contatto con le forze dell’ordine» e che «tanti membri delle forze dell’ordine condividono il nostro pensiero e le nostre azioni».
Ma per intervenire è fondamentale il giusto equipaggiamento. Gli organizzatori forniranno bodycam e walkie talkie per rimanere in contatto durante le azioni. Mentre viene mostrato a tutti un giubbotto antiaggressione con placche metalliche in grado di fermare eventuali fendenti. Gli organizzatori indicano anche i siti su cui comprarlo, spiegano come indossarlo e come renderlo effettivamente utile per proteggersi da «eventuali scontri». Un’organizzazione quasi paramilitare è dunque quella che si sta delineando.
Un’organizzazione in cui qualcuno addirittura rilancia dichiarando di avere «una armeria in casa» da poter «mostrare». Messaggi provocatori e reale volontà di entrare in azione, con ogni mezzo e nonostante le conseguenze: ecco il progetto originale di Articolo 52 che i promotori sin dal principio avevano chiarito.
«Tutti voi siate Articolo 52. Create gruppi, organizzatevi, spalla a spalla, per strappare via il degrado, il crimine, la paura dalle nostre strade». L’unica richiesta è quella di attenersi al manifesto del movimento, pubblicato su X. Un testo in sei punti che incita alla violenza. Specie verso gli stranieri. Perché «la loro sharia è un coltello alla gola della nostra civiltà, e noi risponderemo con la furia di chi difende la propria casa».
Indaga la procura
La situazione sembra fuori controllo. Ed è per questo che la procura meneghina, guidata da Marcello Viola che mantiene la delega all’antiterrorismo, non intende perdere tempo. E indaga sul caso.
Un fascicolo, probabilmente ancora a modello 44 e quindi contro ignoti, è stato infatti aperto su quanto accaduto nei confronti del ragazzo aggredito e filmato. Il video, commentano fonti accreditate in ambito investigativo, è solo la punta dell’iceberg di un fenomeno più esteso.
Un fenomeno che dalla realtà rimbalza sui social e viceversa, manifestando tutto il suo pericolo. Chi indaga, pertanto, lo sto facendo a ritmo serrato: chi sono gli aggressori della Darsena? Chi sono i membri del gruppo “Articolo 52”? Queste più in particolare le prime domande a cui si sta tentando di dare una risposta.
Poi c’è la pista, fondamentale, dei soldi: l’iban, all’interno del gruppo, riconducibile a un conto lituano. Che significato ha? A che cosa servirebbe o sarebbe servito quello stesso conto? I leader del gruppo sostengono che il conto estero serva a ricevere donazioni per possibili spese legali in futuro e per l’acquisto di attrezzatura di attacco e difesa, come spray al peperoncino.
Per capire chi siano i volti dietro questa rete informale di ronde milanesi è necessario aspettare i risultati delle prime verifiche. Di certo l’obiettivo numero uno degli inquirenti è fermare ulteriori spedizioni.
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