«Individuate gli eventuali responsabili delle violenze che sarebbero state commesse da alcuni agenti della polizia penitenziaria a danno di alcuni detenuti». È la richiesta che arriva dall’associazione Antigone, in un esposto presentato in questi giorni alla procura di Ascoli Piceno, alla luce delle testimonianze rese da alcuni detenuti della casa circondariale della città. La procura marchigiana ha già aperto un fascicolo di indagine, e si basa sui racconti dei detenuti per i fatti che sarebbero avvenuti a marzo 2020, all’inizio della pandemia da Covid-19. L’esistenza del fascicolo è stata scoperta dagli avvocati tramite la consultazione degli atti. Si tratta di un fascicolo modello 44, iscritto contro ignoti.

I detenuti che hanno raccontato le violenze erano stati trasferiti dal carcere di Modena a quello di Ascoli, a seguito di una violenta rivolta scoppiata nell’istituto emiliano di Sant’Anna. All’inizio della pandemia le carceri italiane sono teatro di diversi scontri; a Modena, ad esempio, è stata devastata una parte del penitenziario, ma soprattutto sono morti nove detenuti dopo aver assunto un mix di farmaci letale, subito dopo l’assalto alla farmacia dell’istituto.

Le indagini di Modena

Nel carcere di Modena, l’8 marzo 2020, i detenuti hanno inscenato una rivolta. È stata arginata dagli agenti della polizia penitenziaria, intervenuti per “riprendere” il controllo del carcere. Per i fatti accaduti in quelle ore la procura ha aperto tre fascicoli. Uno relativo alle devastazioni compiute dai detenuti, un altro sulla morte dei nove reclusi e, infine, uno per le violenze che i poliziotti penitenziari avrebbero compiuto durante e dopo gli scontri.

La prima indagine è ancora in corso. La seconda inchiesta, invece, è stata archiviata in quanto i detenuti sono morti, secondo i risultati delle indagini, per overdose di metadone e non sono emerse altre responsabilità. Contro l’archiviazione del fascicolo è stato presentato un ricorso, poi respinto.

L’inchiesta relativa alle violenze sui detenuti, invece, è nella fase delle indagini preliminari. Nel registro degli indagati ci sono quattro agenti della polizia penitenziaria, coinvolti per i reati di lesioni e tortura. Il fascicolo in questione è stato aperto dopo la presentazione di diversi esposti da parte di Antigone e di alcuni detenuti.

Le indagini di Modena vanno in parallelo con quelle della procura marchigiana. Le violenze denunciate dai detenuti nel carcere di Ascoli Piceno emergono dalla lettura di alcuni atti relativi alla morte di uno dei reclusi, trasferito da un carcere all’altro: Salvatore Piscitelli.

La morte di Piscitelli

Il procedimento penale aperto dalla procura di Ascoli cerca di ricostruire le ore che precedono la morte del detenuto. Piscitelli è morto per l’assunzione e l’abuso di metadone. Il procedimento vede indagati un medico e un poliziotto penitenziario perché avrebbero tardato nel soccorrere il detenuto. Secondo i pubblici ministeri, però, quel ritardo non è configurabile come reato. Contro l’archiviazione ha presentato ricorso Antigone, tramite l’avvocata Simona Filippi.

Nel fascicolo dell’inchiesta vengono allegati gli interrogatori di alcuni detenuti. I reclusi, ascoltati come persone informate sui fatti, dopo la presentazione di un esposto, hanno denunciato violenze e pestaggi che avrebbero subito personalmente e, al tempo stesso, di violenze su terzi di cui sarebbero stati testimoni. Così si arriva all’indagine della procura di Ascoli e al nuovo esposto di Antigone, che prende spunto proprio dalla lettura delle testimonianze depositate nel fascicolo Piscitelli. L’associazione chiede alla procura marchigiana di individuare i responsabili della mattanza tra il personale della polizia penitenziaria.

Ma cosa raccontano i detenuti? Torniamo a quelle ore quando i reclusi vengono trasferiti da Modena ad Ascoli. È la notte dell’8 marzo di due anni fa.

Il racconto dei detenuti

Un detenuto racconta la sua prima mattina nell’istituto di pena, un risveglio a colpi di manganello. «Prima della conta che si fa verso le otto, otto e qualcosa (…) è arrivata su la squadretta, otto-nove appuntati, casco, scudo e manganello. Sono partiti dal lato destro (…) cella per cella, “Collega, apri qua”, entravano si sentivano solo le urla dei detenuti (…) Certo il personale di Ascoli Piceno. Cella per cella. Non ne hanno saltata una, cioè tranne qualcuna di noi italiani, agli stranieri non hanno saltato una cella», spiega ai pubblici ministeri di Modena, il 18 dicembre 2020.

Gli stranieri venivano massacrati, ma non tutti gli italiani si sono salvati dalle botte. «La mattina sono venuti e ci hanno picchiati (…) il giorno invece sentivo urlare altri, altri ragazzi delle altre stanze (…) Poi dopo sono ancora tornati, ma senza più i manganelli, solo con gli schiaffi. Per ricordarci che noi eravamo pezzi di merda, figli di puttana», dice un altro detenuto testimone.

Le testimonianze sono convergenti, i detenuti presentano l’esposto solo a dicembre per paura di ritorsioni.

«Invece nei giorni successivi, non ricordo se il 10,11,12 o 13 marzo, siamo stati picchiati tutti, me compreso, dagli agenti della polizia penitenziaria del carcere di Ascoli Piceno. Ricordo che gli agenti, in quei giorni, passavano, non ricordo se di mattino o di pomeriggio, ma passavano e aprivano le celle, tutti muniti di sfollagente, casco protettivo e scudo, e ci picchiavano col manganello, colpendoci ripetutamente su tutto il corpo, per più minuti (...) A me personalmente è accaduto almeno due volte», dice un terzo detenuto testimone, ascoltato il 24 giugno 2021.

«La maggior parte delle persone che venivano picchiate erano stranieri (...) a un detenuto albanese, che noi chiamavamo Gas, ma non so dire quale fosse il suo vero nome, una mattina hanno rotto la mano, tra il mignolo e l’anulare», dice un quarto detenuto ai magistrati, il 19 dicembre 2020. L’accoglienza, a colpi di manganello, raccontata dai detenuti ospiti del carcere di Ascoli Piceno è il seguito di quanto accaduto a Modena dove i reclusi raccontano di aver subito altre botte: il pestaggio nella caserma.

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