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Per capire il disastro prima organizzativo e poi gestionale di sabato, 9 ottobre, a Roma bisogna partire da un dato. All’inizio della manifestazione c’erano solo c’erano solo venti militari dei reparti mobili dell’arma dei carabinieri.
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I venti carabinieri dei reparti mobili non erano presenti in piazza del Popolo, ma altrove, in piazza Bocca della Verità. In piazza ovviamente c’erano centinaia di agenti, ma gli errori sono stati di pianificazione e di gestione.
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Dopo un quarto di secolo dall’inizio della sua gloriosa carriera criminale, Castellino si concede una trionfale marcia e si ritrova davanti alla Cgil pochissimi poliziotti a difesa del sindacato definiti dalla giudice, vista la violenza subita, «poveri» agenti.
Per capire il disastro prima organizzativo e poi gestionale di sabato, 9 ottobre, a Roma bisogna partire da un dato. Per fronteggiare i facinorosi, consentire lo svolgimento regolare del corteo contro la certificazione verde e garantire il diritto costituzionale di manifestare c’erano solo venti militari dei reparti mobili dell’arma dei carabinieri. All’inizio della manifestazione i venti carabinieri dei reparti mobili non erano presenti in piazza del popolo, ma altrove.
Le forze dell’ordine scoperte
I militari si trovavano in piazza Bocca della Verità dove si svolgeva, in contemporanea a piazza del Popolo, il presidio di un altro segmento del mondo che si oppone al green-pass. Ma in 13 mila si ammassano in piazza del Popolo e qualcosa cambia quando circa tre mila manifestanti guidati dai neofascisti Roberto Fiore e Giuliano Castellino, si dirigono verso la Cgil.
A quel punto i carabinieri vengono dirottati davanti alla sede del sindacato. Chiaramente in piazza del Popolo c’erano le altre forze dell’ordine schierate con camionette e diversi presidi: poliziotti dei reparti operativi, della digos e militari della guardia di finanza.
I poliziotti impegnati erano 600, precisano fonti della questura, ma per tutti i servizi previsti quel giorno: una parte in piazza del Popolo, circa 150, gli altri davanti ai siti istituzionali inclusi quelli di supporto e le riserve. Un numero che si è rivelato insufficiente vista l’ampia partecipazione di persone all’adunata, ma soprattutto dislocati male.
La regia delle violenze ha pianificato la doppia piazza e successivamente dividendo in due il corteo partito da piazza del Popolo ha moltiplicato i presidi di polizia rendendo scoperto quello verso la Cgil. Da piazza del Popolo in cinque minuti si raggiungono i palazzi della politica, obiettivi sensibili da difendere e, infatti, erano bloccate le strade di accesso: via del Babuino e via del Corso.
«Solo nelle ultime ore prima dell’evento (...) è stato possibile rilevare un livello della partecipazione non solo quantitativamente molto elevato, ma pure caratterizzato dalla variegata composizione dell’adesione alla manifestazione», precisa poche ore dopo i fatti il prefetto Matteo Piantedosi che presiede il comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza.
La previsione di un numero ridotto di manifestanti è stata sbagliata. Il secondo errore attiene alla gestione della piazza. Quello che è successo nelle strade della città eterna racconta di un drappello di neofascisti in grado di intestarsi un’avanzata inarrestabile. «Guardi non voglio parlare di chi ha gestito l’ordine pubblico, ma una cosa così io non l’ho mai vista», racconta un ex prefetto della capitale. In molti si chiedono: perché Roberto Fiore, Giuliano Castellino, l’ex nar Luigi Aronica non sono stati fermati prima?
In altre occasioni si è adottata una procedura semplice con i ‘capi’ che venivano portati in questura per accertamenti a poche ore dagli eventi. In questo caso non è accaduto e così Castellino si è preso la piazza.
L’inarrestabile Castellino
Giuliano Castellino dal 1996 «ha iniziato un percorso delinquenziale che non ha mai subito battute di arresto e che dimostra chiaramente il suo totale disprezzo per le regole del vivere civile», scrivono i pubblici ministeri Gianfederica Dito e Alessandro Di Taranto nella richiesta di custodia cautelare, accolta dalla giudice Annalisa Marzano.
Dopo un quarto di secolo dall’inizio della sua gloriosa carriera criminale, Castellino si concede una trionfale marcia. Viene arrestato solo dopo avere devastato la sede della Cgil. Tutto inizia da piazza del Popolo, lì era stata autorizzata una manifestazione statica.
Statica perché non c’erano permessi per cortei, ma Castellino non rinuncia alla marcia. «Oggi noi andiamo ad assediare la Cgil», dice dal palco. Il corteo, alle 17, si spezzava. Una parte si indirizzava verso via del Babuino e via del Corso trovando un vigoroso presidio di polizia, con blindati e idranti, e un altro, come annunciato, si dirigeva verso la sede del sindacato.
Tutto era stato pianificato. In via del Babuino, infatti, viene arrestato il figlio della compagna convivente di Castellino, quest’ultimo intraprende la sua cavalcata. Una cavalcata che la giudice Marzano definisce ‘infida’ perché i neofascisti prima facevano credere «di essere disponibili a concordare gli spostamenti per poi intraprendere la marcia comunque».
Una disponibilità a concordare che si è tradotta in una mediazione, un classico delle manifestazioni di piazza, le forze dell’ordine spiegano a Castellino e soci di non avanzare in «attesa di valutare le possibili soluzioni alle loro richieste». I neofascisti se ne infischiano e sfondano con «viva resistenza» e l’uso di «bastoni e corpi contundenti».
L’avanzata è solo all’inizio. Al suo fianco Roberto Fiore e Luigi Aronica, ex Nar. Dopo via Washington la seconda tappa è in piazza Brasile. Nuovo blocco degli agenti con l’uso di blindati e nuovo sfondamento. «Portateci da Landini o lo andiamo a prendere noi», dice Castellino rivolgendosi ad alcuni agenti.
L’ennesimo tentativo di mediazione produce l’arretramento dei manifestanti, ma ripartono con bastoni e cartelli stradali. In testa sempre Castellino che urla «lasciatece passa’, dovemo entrà». L’indomabile nero avanza, i manifestanti accerchiano un mezzo del reparto mobile e provano a entrare, gli agenti salvano il blindato dall’assalto. Non è finita.
Davanti alla porta della Cgil, con i blindati schierati sui lati e non davanti alla sede del sindacato, sommersi dall’onda umana guidata dai neofascisti, Castellino dice a un funzionario: «lasciatece passa’ dovemo entra’». Il resto è noto, immortalato nelle immagini che mostrano pochi agenti sommersi dalla furia e dalla violenza.
Nessun responsabile
Agenti, alla fine saranno in tutto 38 i feriti, che la giudice si spinge a definire «poveri» a presidio «della sede del sindacato, luogo simbolo dei principi costituzionali». Ma la responsabilità di tutto questo di chi è?
Tutti sapevano, basta riascoltare un’intervista che Domani ha realizzato a Giuliano Castellino, lo scorso agosto quando il neofascista aveva appena guidato un corteo non autorizzato partito sempre da piazza del Popolo direzione Rai. «Io non dialogo con la digos, sono un sorvegliato speciale e non sono infame. Dieci mila persone non fanno richieste, se vogliono camminano su tutto e i poliziotti fanno pippa perché prendono la sveglia, hanno paura delle botte, sono esseri umani».
E lo stato? La prefettura non parla, fa sapere che le aliquote di personale da utilizzare vengono disposte di concerto con la questura, la questura non fornisce spiegazioni in merito all’evento di sabato.
Prefettura e polizia di stato, infatti, devono inviare la relazione sull’accaduto in vista dell’informativa che Luciana Lamorgese terrà il prossimo 19 ottobre alla Camera dei deputati. Ministra finita al centro delle polemiche delle opposizioni che chiedono le dimissioni dopo il sabato nero, ampiamente annunciato.
Tra gli agenti serpeggia malumore, hanno dovuto prima fronteggiare Castellino e il blocco violento, poi ascoltare le ipotesi strampalate di trattativa, urlate dall’avvocato Carlo Taormina che difende i neofascisti. Al momento, quindi, sono chiare due cose: una fallimentare pianificazione e una pessima gestione della piazza, ma di responsabili neanche uno.
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