Il vicepremier annuncia interventi per le mobilitazioni di dicembre. La strategia del leghista. Landini insiste: «Senza rivolta non c’è liberta dei cittadini». La Uil invita il governo a un confronto
Il giorno dopo lo sciopero generale che ha portato in piazza 500mila lavoratrici e lavoratori in 43 città italiane, contro manovra, tagli alla sanità e politiche dell’esecutivo, il governo minimizza la mobilitazione e alimenta lo scontro con i sindacati Cgil e Uil.
«Sono soddisfatto di aver garantito il diritto a viaggiare con i mezzi pubblici a milioni di italiani. Il mio impegno non cambia in vista di dicembre, quando si contano già 15 scioperi proclamati, fra cui uno generale fissato il 13 (guarda caso un altro venerdì) a pochi giorni dal Natale. Sono pronto a intervenire ancora, per aiutare i cittadini», ha detto il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini. La scorsa settimana aveva infatti firmato per la precettazione riducendo da otto a quattro le ore di sciopero dei trasporti perché, aveva detto, i sindacalisti hanno il diritto di sciopero e «tutti gli altri italiani» hanno «diritto alla mobilità, alla salute e al lavoro».
Intanto, però, avverte il Partito democratico, il diritto alla mobilità nella giornata di sabato ha vacillato: ci sono state «gravi difficoltà sulla rete ferroviaria che presenta numerosi ritardi», ha evidenziato il deputato del Partito democratico Andrea Casu, vicepresidente della Commissione Trasporti della Camera, «ma il ministro Matteo Salvini è impegnato ad accanirsi contro il diritto costituzionale allo sciopero, tentando di scaricare sui lavoratori le responsabilità di un sistema che non funziona».
Casu ha denunciato «una gestione politica priva di visione», che non è in grado «di affrontare le inefficienze strutturali» del sistema ferroviario. Chiedendo quindi «investimenti seri, infrastrutture moderne e una pianificazione competente», invece «si continua a fare propaganda contro i diritti dei lavoratori».
Quello che è un diritto garantito dalla Costituzione, nella narrazione dei rappresentanti del governo è considerato un capriccio e «un fallimento». Il ministero per la Pubblica amministrazione ha diffuso i dati dell’adesione dei dipendenti pubblici allo sciopero generale: 5,57 per cento, in base a un dato «ancora parziale, in quanto riferito alla metà dei dipendenti pubblici» che indica però – scrive il dipartimento – «una tendenza ormai definita». Un risultato che per il ministro Paolo Zangrillo «certifica il fallimento».
Sulla stessa linea il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara sostenendo, di fronte all’adesione di 1,48 per cento dei dirigenti scolastici e al 5,55 per cento dei docenti (dati aggiornati alle 18 di venerdì), che non «ci fossero delle motivazioni adeguatamente sentite dal personale della scuola» per indire lo sciopero.
«Sciopero riuscito»
Ma i sindacati e le opposizioni hanno rivendicato le piazze di venerdì che hanno visto un’alta adesione nei settori metalmeccanico, dell’agroindustria, chimico, tessile, edile, commercio. Anche nei trasporti sono stati raggiunti picchi del 100 per cento, come nel settore portuale con la compagnia portuale di Ravenna. In media, fanno sapere, l’adesione è stata di oltre il 70 per cento.
Il segretario della Cgil, Maurizio Landini, dal congresso nazionale Acli è tornato a spiegare il perché delle parole pronunciate dal palco di Bologna – «è il momento di rivoltare questo paese come un guanto» – prese di mira da Salvini e dalla maggioranza, che le hanno definite «improprie», accusandolo di «esasperare il clima sociale», «incitare alla violenza» e «soffiare sul fuoco».
Lo spunto è arrivato dal libro di Albert Camus “L’uomo in rivolta” che, ha spiegato, ha regalato alla presidente del Consiglio «quando sono stato a Palazzo Chigi per la legge di bilancio». E prosegue: «Il senso di quel libro che fece grande rumore è rimettere al centro la libertà delle persone. Se la persona non si rivolta di fronte alle ingiustizie non esiste come persona, perché viene cancellato. Io l’ho pensata così».
La messa in discussione della democrazia per il segretario della Cgil non proviene da chi scende in piazza per i propri diritti, ma da un parlamento che «sta tentando di far passare un decreto che chiama sicurezza ma che riduce le libertà e gli spazi delle persone». Il disegno di legge sicurezza, approvato alla Camera e ora in esame al Senato, prevede fino a due anni di carcere per blocchi stradali e pene aggravate per danneggiamenti durante le manifestazioni. «Un tentativo di svolta autoritaria», lo ha definito Landini in piazza.
Mentre il segretario nazionale della Uil, Pierpaolo Bombardieri, intervistato da La Stampa, ha esortato il governo di prendere atto della mobilitazione di venerdì e valutare di riaprire una trattativa con i sindacati: «Sarebbe la cosa giusta da fare» e, ha aggiunto, «noi non ci siamo mai sottratti al confronto».
A difesa dello sciopero e dei lavoratori, le opposizioni, che vogliono ripartire proprio da quella grande partecipazione. La segretaria Elly Schlein ha fatto sapere di aver preso l’impegno, con il presidente del partito Bonaccini, «di riportare il più possibile il Pd tra la gente». L’accusa della destra nei confronti di chi ha scioperato, ha detto poi Angelo Bonelli, portavoce di Alleanza Verdi e Sinistra, «è volgare e offensiva», ricordando il loro sacrificio economico e di una manovra «che aggredisce la sanità pubblica, la scuola, il trasporto e il ceto medio di questo paese».
Tensioni interne
Non preoccupa solo lo sciopero, ma la settimana che attende il governo, tra scontri interni e il futuro delle deleghe di Raffaele Fitto, dopo la sua nomina a commissario europeo e le dimissioni. «Oggi ho rassegnato le dimissioni da ministro degli Affari europei, del Pnrr, della Coesione e del Sud», ha scritto Fitto su Facebook sabato 30 novembre, ringraziando Giorgia Meloni per la fiducia e il sostegno. Per ora non c’è alcuna previsione per le sue deleghe, molto ambite, ma che rimarranno a palazzo Chigi fino all’inizio dell’anno prossimo.
Questioni che non sono state sciolte nell’ultimo consiglio dei ministri lampo, durato 15 minuti, segnale dello scontro tra Lega e Forza Italia sul canone. Meloni ha scelto di non affrontare gli aspetti controversi, rinviando le decisioni alla prossima settimana e sperando di ristabilire un clima che consenta di proseguire con la manovra di bilancio, senza altri inciampi. E riaffermare gli equilibri e i rapporti di forza, oltre a dover risolvere altre questioni rimaste aperte, come la nomina dei giudici costituzionali e le riforme, prima su tutte la separazione delle carriere dei magistrati.
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