Trent'anni fa, di questi tempi, il capo della Lega meditava di far inciampare il capo di Forza Italia, alla vigilia di Natale ci riuscì. Era Umberto Bossi, il suo ruggito segnò la fine precoce del primo governo di Silvio Berlusconi, nel dicembre 1994.

Il governo cadde per il ribaltone, il passaggio della Lega all'opposizione, anticipato dal patto delle sardine, stipulato a casa di Bossi di fronte a un frigo mezzo vuoto, una coca cola e qualche fetta di pan carrè, con i segretari di opposizione Massimo D'Alema e Rocco Buttiglione.

Nulla di paragonabile alle schermaglie di oggi a parti invertite tra Matteo Salvini e Antonio Tajani, all'epoca neo-europarlamentare e portavoce del Cavaliere, oggi vice-premier, ministro degli Esteri, capo di Forza Italia, nella veste inedita di guastafeste.

Perché, nonostante tutto, il gioco è saldamente in mano alla terza figura, la premier Giorgia Meloni che all'epoca stava per compiere la maggiore età. E perché l'attuale opposizione, guidata dal Pd di Elly Schlein, non ha nessuna intenzione di partecipare a un colpo di palazzo per rovesciare un governo che affronta le prime vere difficoltà.

Nel Parlamento europeo la maggioranza si divide su Ursula von der Leyen, Fratelli d'Italia e Forza Italia a favore, Lega contro. Nel Parlamento italiano siamo alla paralisi, all'auto-Aventino, come quello che da due mesi sta andando in scena nella commissione di Vigilanza sulla Rai, con la maggioranza che diserta le sedute per non bruciare la candidata presidente Simona Agnes, cui mancano i voti delle opposizioni per essere eletta.

La mancanza di appuntamenti elettorali di rilievo alle porte, salvo i referendum su lavoro, cittadinanza e forse autonomia, è destinata a perpetuare il galleggiamento, la guerriglia interna alla maggioranza, le schermaglie che aumenteranno, ma senza mai arrivare davvero al punto di rottura. La segretaria Schlein ne è consapevole, nonostante i sondaggi favorevoli al Pd dopo le vittorie di Emilia Romagna e Umbria e la pace interna, il clima natalizio con cui è scivolato il convegno della corrente di Stefano Bonaccini, in cui si annunciavano sfracelli, ma prima del voto regionale. «Serve un'alleanza con il Paese», ha chiesto ieri Schlein.

Con il popolo del non voto, ma anche con i mondi vitali che fanno da ossatura alla società italiana, la cittadinanza attiva, le imprese, il terzo settore, i movimenti. Perché per costruire l'alternativa il Pd da solo non basta, ma non basta neppure l'alleanza con gli altri partiti, ammesso che ci sia.

Conte-Grillo

La settimana che doveva essere decisiva per il Movimento 5 Stelle si conclude con l'affondo di Giuseppe Conte contro il voto europeo del Pd e con un movimento sempre più diviso e in affanno. Un movimento “ipotetico”, avrebbe scritto Edmondo Berselli, che così definì il Pd nel 2008. Tra le ipotesi che attraversano Conte c'è la più comoda, quella che gli consigliano i suoi ispiratori: restare in solitudine e assegnare al Pd il ruolo di rivale numero uno, di avversario, se non di nemico. Ma appare una minaccia spuntata.

Nella spirale auto-referenziale che inghiotte M5S, in attesa che la nebbia si diradi, tocca così prendere l'iniziativa al Pd. Storicamente diviso e bloccato dalle guerre di potere interne, è in questo momento il partito più attrezzato a rimettersi in gioco e a rimettere in movimento l'intero sistema. Un'opportunità e una responsabilità.

I numeri dicono che il gradimento per Meloni e per il governo sono in discesa, la premier è sempre più spesso chiamata a sedare risse tra ministri o tra partner, nell'assenza di un orizzonte strategico: le grandi riforme sono rimandare al giorno del mai, avrebbero sulla maggioranza un effetto distruttivo. Per le opposizioni è uno spazio.

Lo si vedrà immediatamente nei prossimi passaggi istituzionali, a cominciare dal voto parlamentare su quattro giudici della Corte costituzionale, in cui si misureranno il grado di unità delle opposizioni, ma anche la capacità di incidere sulle scelte della maggioranza. E poi il filo più lungo, la ripresa di contatto con il paese smarrito, distante dal voto, sfiduciato.

Un lavoro paziente già cominciato in questo primo anno e mezzo di segreteria Schlein, che ha bisogno di essere alimentato di nuovi temi e di nuove modalità di presenza e di mobilitazione. Per andare oltre il mantra dell'assenza di alternativa e riconquistare il ruolo centrale, che è il contrario di centrista.

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