Quando, nel gennaio 2022, il virus dell’influenza aviaria chiamato H5N1 – aggressivo e letale – ha fatto la sua prima comparsa negli Usa infettando qualche tacchino di una fattoria dell’Indiana, le autorità sanitarie avevano deciso che, per impedire che il contagio si propagasse, c’era solo una cosa da fare: bisognava sacrificare subito tutti i 29.000 tacchini dell’allevamento. Ma non è servito a nulla.

Tre anni più tardi, negli Usa il virus dell’influenza aviaria H5N1, classificato come HPAI, che sta per Highly Pathogenic Avian Influenza, ovvero virus dell’influenza aviaria altamente patogeno, si è diffuso in 50 altri stati, il numero di volatili di allevamento morti o uccisi a causa della malattia supera i 166 milioni, le uova sono praticamente introvabili e il loro prezzo è quintuplicato in pochi mesi.

Però, adesso, il ministro della Salute Robert Kennedy jr ha avuto una nuova, brillante idea su come arrestare l’epidemia di influenza aviaria: bisogna lasciare che il virus circoli. Quando un allevatore scopre che alcuni dei suoi volatili sono infetti non deve uccidere tutti quelli che possiede, invece «dovrebbe considerare la possibilità di lasciare diffondere il virus in tutto l’allevamento, così può identificare gli uccelli, e salvare gli uccelli che sono immuni al virus», ha dichiarato pochi giorni fa a Fox News.

Idea antiscientifica

In realtà, il ministro Kennedy non ha alcun potere decisionale sugli allevamenti di pollame, ma Brooke Rollins, la neo ministra dell’Agricoltura, ha detto che è d’accordo con lui in tutto e per tutto. «Ci sono allevatori che sono disposti a testare questa idea e condurre un esperimento pilota per vedere se riusciamo ad avanzare lungo la strada dell’immunità», ha aggiunto Rollins.

Ma lasciare che il virus circoli liberamente infettando gli allevamenti di pollame è un’idea folle, antiscientifica, e pericolosa. Dal gennaio 2022, negli Usa sono scoppiati più di 1.600 focolai epidemici in fattorie, allevamenti e pollai domestici, e centinaia di milioni di volatili – selvatici e d’allevamento – sono stati infettati.

Ogni volta che un singolo volatile si infetta, nel suo organismo si sviluppano miliardi di copie del virus, ognuna delle quali si duplica generandone due nuove, e ogni volta che un virus si duplica deve replicare anche il suo genoma: ma a ogni duplicazione del genoma possono avvenire mutazioni che rischiano di rendere il virus dell’influenza più virulento, e capace di infettare e uccidere anche l’uomo, il che potrebbe scatenare la prossima pandemia. Lasciare correre il virus significa aumentare questo rischio miliardi di volte.

La diffusione del virus

Fortunatamente, per ora il virus dell’aviaria si trasmette quasi esclusivamente da un volatile a un altro. A partire dal 2021, l’influenza aviaria ha sterminato intere colonie di uccelli selvatici in varie aree su tutto il pianeta, e da questi si è diffusa anche ai volatili in cattività: in Nord America e in Europa, il virus ha infettato milioni di polli, tacchini e altri uccelli cresciuti negli allevamenti intensivi.

In Italia, il contagio ha colpito molti allevamenti soprattutto nel Veneto, ed è stato necessario uccidere 4 milioni di galline ovaiole: fortunatamente, noi adottiamo la tattica dell’abbattimento preventivo di tutti gli esemplari, e quindi da noi il rischio è ancora relativamente basso.

Una singola anatra selvatica infetta che vola in cielo può far cadere gli escrementi in un allevamento, dove un pollo o un tacchino potrebbero ingerirli, infettandosi. E quell’uccello può in poche ore contagiare le altre migliaia di volatili ospitati nel suo stesso capannone. Quando un uccello si ammala, il virus può provocare perdita di energia e appetito, calo della produzione di uova, uova con guscio molle o deformi, gonfiore e colorazione violacea della testa e delle zampe, difficoltà respiratorie, diarrea, difficoltà motorie e spesso la morte improvvisa.

Il ministro Kennedy ha ipotizzato che una sottopopolazione del pollame potrebbe rivelarsi naturalmente immune all'influenza aviaria. Ma i volatili di allevamento hanno un sistema immunitario debole, vivono in condizioni igieniche precarie e crescono ammucchiati in gabbie affollatissime e mal ventilate.

Perdipiù, polli, anatre e tacchini d’allevamento sono tutti selezionati geneticamente e discendono tutti dallo stesso progenitore, quindi tra loro non c'è grande variabilità genetica: sostanzialmente, sono tutti lo stesso uccello. Per questo, se il virus dell’aviaria colpisce un volatile in un allevamento in pochi giorni spesso li stermina tutti. Per tutte queste ragioni, l’idea del ministro Kennedy è insensata e antiscientifica.

Dai volatili all’uomo

Per ora, il virus dell’aviaria si è trasmesso solo molto raramente dai volatili all’uomo. Negli Usa ha infettato 70 persone – quasi tutti individui che lavoravano negli allevamenti di pollame o possedevano qualche gallina infetta nel cortile di casa.

Nel 2024, il virus ha compiuto un salto di specie, perché ha acquisito la capacità di passare dal pollame e dagli uccelli selvatici ai mammiferi, in particolare alle mucche da latte. Alcuni addetti agli allevamenti di bovini si sono infettati. Finora, il virus tra gli esseri umani ha fatto solo una vittima. Il 6 gennaio di quest’anno, in Louisiana è morto di aviaria un uomo di 65 anni che viveva in campagna ed era stato infettato da un virus H5N1 con 3 nuove mutazioni: probabilmente si era contagiato maneggiando il pollame della sua fattoria.

Per fortuna, il virus dell’aviaria non ha ancora acquisito la capacità di passare da uomo a uomo, un evento che, se accadesse, sarebbe catastrofico, perché è uno dei più mortali che esistano. Secondo l’Oms, dal 2003 a oggi il virus dell’influenza aviaria H5N1 ha infettato 939 esseri umani in 21 paesi del mondo, di questi 464 sono deceduti, con un tasso di letalità elevatissimo, vicino al 50 per cento.

I vaccini

I virus dell’influenza sono costituiti da un nucleo centrale che contiene il genoma, costituito da Rna – circondato da un involucro formato da proteine, tra le quali le principali sono due: l’emagglutinina – in inglese Hemagglutinin, abbreviato H, una proteina che fa agglutinare i globuli rossi del sangue – e la neuraminidasi, abbreviato N – un enzima che scinde certi zuccheri presente sulla membrana delle cellule dell’ospite.

Entrambe queste proteine sono essenziali per la patogenicità del virus. Il virus utilizza l’emagglutinina per legarsi alle cellule dell’ospite e poi infettarle, e la neuraminidasi per rilasciare all’esterno della cellula infettata le nuove copie del virus generate. Si distinguono svariati sottotipi di virus dell’influenza aviaria distinti in base alla combinazione di queste due proteine del suo involucro, l’emoagglutinina, H, e la neuraminidasi, N, ciascuna delle quali esiste in diverse forme, classificate con un numero: per cui si riconoscono i sottotipi H5N1, H5N2, H7N9, e così via.

I virus dell’influenza aviaria si legano con alta affinità alle cellule che rivestono l’esofago, lo stomaco e l’intestino dei volatili, ma molto meno alle cellule dell’uomo. Invece, i virus dell’influenza umana si legano con alta affinità alle cellule che rivestono le nostre vie aeree, dal naso ai polmoni, e molto meno a quelle dei volatili. Per questo, il virus dell’influenza aviaria solo in casi rarissimi infetta l’uomo. Per potere infettare l’uomo, il virus dell’aviaria deve mutare, e più precisamente devono mutare le sue proteine H ed N.

Lasciar correre il virus significa aumentare di miliardi di volte la probabilità che le proteine H ed N del virus mutino acquistando la capacità di legarsi alle cellule dell’uomo: una ricetta perfetta per il disastro.

Invece, un modo per tenere sotto controllo l’epidemia ci sarebbe: ci sono già disponibili svariati vaccini contro il virus dell’aviaria pronti per essere usati sul pollame ed eventualmente anche sull’uomo, se servisse. Ma purtroppo al ministro Kennedy i vaccini non stanno troppo simpatici.

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