In Francia dal 2022, per non perdere le sovvenzioni, i festival devono fare formazione e fornire strumenti di contrasto agli abusi. La legge italiana ha una norma simile, ma non è efficace. Quali politiche adottano i festival italiani?
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Adèle Haenel è uscita dal mondo del cinema facendo rumore. Tra le attrici più conosciute in Francia, Haenel ha scritto al settimanale Télérama lo scorso maggio: «Ho deciso di rendere il mio addio al cinema un atto politico per denunciare l’indulgenza diffusa della professione nei confronti degli abusatori sessuali».
Non è la prima volta che l’attrice prende posizione sul tema: alla cerimonia dei Césars del 2020 ha lasciato la sala per protesta mentre premiavano il regista Roman Polanski, accusato di violenza sessuale. Nel 2019 ha raccontato a Mediapart di essere stata molestata sessualmente a 12 anni dal regista Christophe Ruggia.
Le sue accuse all’industria cinematografica, «di essere pronti a tutto pur di difendere gli stupratori», sono state definite false ed errate dal direttore del Festival di Cannes Thierry Frémaux. Contro il festival però hanno firmato una lettera 123 attori e attrici: «Subiamo troppo spesso aggressioni sessuali, molestie e razzismo», dicono, cercano «di farci credere che fa parte del lavoro» e dare spazio sul tappeto rosso agli autori di questi reati alimenta un sistema basato sul dominio e sul silenzio.
Solo 5 anni fa 82 donne marciavano su quel tappeto rosso contro le discriminazioni: fino ad allora erano 82 le opere di donne in concorso per la Palma d’oro dal 1946, 1.645 quelle maschili.
L’obbligo di formare
In Francia il ministero della Cultura nel 2022 ha approvato un piano di contrasto per le arti visive e lo spettacolo dal vivo. I festival quindi, se finanziati da fondi pubblici, per non perdere le sovvenzioni sono obbligati ad adottare strumenti contro le molestie e le violenze sessuali.
Lo storico festival di Avignone, nato nel 1947, tra i principali appuntamenti teatrali a livello internazionale, dal 2022 forma sul tema circa 700 tra lavoratori e lavoratrici, permanenti e temporanei. Ma già prima della riforma aveva referenti a cui rivolgersi.
«L’obiettivo è legare il tema della disparità alle violenze, capire cos’è la violenza sessuale, come reagire e aiutare chi le subisce. Parliamo di stereotipi di genere e della cultura dello stupro», racconta Maud Fontanel a Domani, formatrice di Planning Familial, associazione che svolge le attività del consultorio e dall’anno scorso si occupa della formazione al festival.
Fontanel spiega che ci sono momenti di scambio, «per aprire uno spazio di riflessione collettiva, cercando di capire perché nel mondo della cultura le violenze sessuali sono così nascoste e negate». Viene spiegato anche il protocollo del festival: «È inviato via mail», dice, «ma nessuno lo legge.
Invece è importante sapere che al festival, oltre alla formazione, si possono trovare manifesti con numeri da contattare e ci si può rivolgere a un’unità di consulenza e supporto». Fontanel spiega che, se vengono segnalate situazioni di abusi, parte subito un’inchiesta interna. La formazione dedicata ai referenti è invece più lunga, per affrontare i temi dell’ascolto e dei segnali d’allerta.
Un fenomeno che, come si rileva durante i corsi, fa fatica a emergere nel mondo della cultura per diversi motivi: contratti precari, un ambiente basato sulle relazioni, dove chi adotta queste condotte spesso ha potere e celebrità, la mancanza di un vero confine tra la vita personale e professionale, la paura di parlare per il rischio di non lavorare più.
«E poi», continua Fontanel, «l’idea che quello culturale è un mondo di sinistra, colto, dove queste cose non succedono». Per la formatrice, l’agire sessista invece è quotidiano ma non è chiaro a tutti cosa sia, e il linguaggio è importante: «Bisogna dire no, non è un bacio rubato, è un’aggressione sessuale, punita dalla legge».
Revocare i fondi
Il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano lo scorso gennaio, dopo le segnalazioni raccolte da Amleta sulle molestie e violenze nel settore, riferendo alle commissioni congiunte di Camera e Senato, si è detto «disponibilissimo» a lavorare sul tema e «pronto a valutare anche ipotesi che possano escludere le aziende, in cui vengono rilevati questi casi, dal processo di finanziamenti del ministero».
Una norma che in realtà esiste già: l’articolo 41 del Codice delle pari opportunità prevede che, se nelle aziende che percepiscono benefici o agevolazioni si verificano questi comportamenti, dev’essere immediatamente comunicato al ministero interessato che può, se necessario, revocare il beneficio e, nei casi più gravi o di recidiva, decidere di escludere l’azienda da finanziamenti pubblici o appalti per un periodo fino a due anni.
La norma però sembra non essere applicata, manca una disciplina attuativa che definisca chi accerta queste condotte. A differenza della Francia, la legge italiana, quando vengono erogati fondi pubblici, non obbliga ad adottare strumenti come corsi di formazione, referenti specializzati o sportelli di ascolto.
I festival italiani
In assenza di una normativa omogenea, le varie realtà che diffondono cultura cinematografica e teatrale in Italia, sostenute da consistenti fondi ministeriali o regionali, non hanno un approccio univoco né sembra esserci sempre un’attenzione specifica sul tema.
Sull’onda del movimento partito da Cannes, nel 2018, per riequilibrare la presenza di genere nelle giurie dei festival, alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia è nato un progetto dedicato: un seminario sull’inclusione e la parità di genere. Nel 2020 la Biennale di Venezia, che organizza il festival finanziato anche dal ministero della Cultura e dalla regione Veneto, ha firmato un codice etico in cui «proibisce ogni forma di molestia, psicologica, fisica e sessuale» verso tutti i soggetti coinvolti. Non abbiamo però ricevuto risposta dalla Fondazione in merito all’applicazione concreta di queste politiche.
Fondazione Cinema per Roma ha invece fatto sapere a Domani che assicura tutti gli standard normativi sulla sicurezza sul lavoro, compresi i «delegati sindacali, a cui tuttavia non risulta essere mai stato presentato alcun caso di molestia». Viene poi supportata la Convenzione Oil contro le molestie e le violenze con «un approccio inclusivo» favorendo le competenze e superando «ogni discriminazione di genere». Non hanno specificato però come questo venga effettivamente garantito.
Il Giffoni film festival, dedicato a giovani, che dal 1971 si svolge ogni anno nella cittadina di Giffoni Valle Piana (Salerno), «è un luogo dove il cinema presenta il meglio di sé», spiega Claudio Gubitosi, direttore artistico e fondatore del festival, «un miscuglio straordinario che lo rende unico al mondo».
Finanziato dal Ministero della Cultura e dalla Regione Campania, Giffoni ha 6 dipendenti fissi, 130 organizzatori permanenti e 600 contratti a progetto per i vari eventi. «Non c’è bisogno di fare formazione perché i ragazzi e le ragazze hanno già le loro regole», dice Gubitosi, che precisa che in tutti questi anni «non è mai successo niente. Si rispetta tutto». Inoltre, aggiunge, vista la presenza di giovani, «c’è una squadra antipedofilia e collaboriamo con la polizia postale. Questa è la parte più delicata perché deve essere invisibile» ed è presente «un centro di ascolto con medici, psicologi e psichiatri».
Anche il Campania Teatro Festival è realizzato con il sostegno della regione Campania e del ministero della Cultura. Nato per confrontarsi con modelli europei come il festival di Avignone, conta «50mila presenze e 1.500 lavoratori assunti a tempo determinato, mentre i fissi sono una ventina», spiega Nadia Baldi, regista e vicedirettrice artistica.
Baldi precisa che il festival garantisce tutti gli standard per la sicurezza, con apposite certificazioni e commissioni. «Non so se nello specifico esista un corso di formazione contro le molestie», dice, «ma si fanno colloqui individuali sul benessere psicologico e ci sono avvocati a cui rivolgersi». E precisa: «Non ho mai saputo di problemi di questo tipo, ma credo proprio che non si siano verificati».
Per anni il festival ha coprodotto spettacoli di Jan Fabre, artista e coreografo belga, condannato nel 2022 a 18 mesi di carcere, con pena sospesa, per molestie sessuali sul lavoro. In una lunga lettera, performer che hanno lavorato con Fabre raccontano di diversi gravi episodi, «critiche sessiste dei corpi femminili» e di un clima nocivo in cui l’artista costringeva le persone che lavoravano con lui ad atti umilianti, ricatti sessuali e altri abusi. Fabre ha sempre rifiutato le accuse. Ma la sua presenza al festival, spiega Baldi, non ha mai sollevato polemiche.
Quale futuro?
Manca quindi una regia a livello nazionale, nonostante si tratti di manifestazioni artistiche finanziate con fondi pubblici. L’Osservatorio per la parità di genere del ministero della Cultura è stato creato nel 2021 per monitorare la situazione di disparità nel settore culturale, «del gender gap come la veicolazione di stereotipi di genere», scriveva la coordinatrice Celeste Costantino nel primo rapporto pubblicato nel 2022. Uno studio dei dati su cui basare le politiche del ministero.
Ma, mentre Sangiuliano si era detto inizialmente disponibile a lavorare con l’osservatorio, questa collaborazione sembra non sia avvenuta: Costantino ha mandato una lettera di dimissioni al ministro perché dal suo insediamento «sulla parità di genere nel mondo della cultura non si è prodotto nulla», ha detto a Repubblica, «nemmeno un incontro. Eppure da novembre sul tavolo del ministero giace il nostro dossier sugli squilibri nel mondo dell’audiovisivo e sono emerse centinaia di denunce di attrici molestate».
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