Nel dicembre del 1991 accade qualcos’altro. Totò Riina decide di uccidere Giovanni Falcone. La sentenza di morte è stata emessa nel 1981. Ma dieci anni dopo viene ufficialmente «deliberata» dalla Cupola. Nelle ultime settimane i boss vengono a sapere che il maxi processo, il loro processo, in Cassazione non sarà presieduto da Corrado Carnevale
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è incentrata sul giudice Giovanni Falcone e sulla strage di Capaci di trent’anni fa.
Il governo è il settimo presieduto da Giulio Andreotti, l’uomo politico italiano che garantisce da decenni gli interessi della mafia siciliana e si alimenta dei suoi voti.
Falcone sa – gliel’ha raccontato Tommaso Buscetta – che Andreotti «è il referente di Cosa Nostra». E poi un altro pentito, Francesco Marino Mannoia, gli ha rivelato «di avere visto il senatore personalmente a colloquio con alcuni capimafia».
È stato nel 1980, a Palermo, subito dopo l’omicidio del Presidente della Regione Piersanti Mattarella. Il governo Andreotti, decima legislatura, per uno strano scherzo del destino, sarà ricordato come l’esecutivo che ha approvato le più severe leggi antimafia nella storia della nostra Repubblica.
Poi, nel dicembre del 1991, all’improvviso succede qualcosa. Gaspare Mutolo, grande trafficante di stupefacenti e mafioso di rango, dal carcere di Spoleto dove è rinchiuso chiede di parlare con Falcone. Il giudice lo incontra. Mutolo gli dice: «Voglio pentirmi, ma solo con lei».
Falcone è direttore degli Affari penali del ministero, è ormai fuori dai ruoli della magistratura e non può ascoltarlo. Gaspare Mutolo si ferma, si tira indietro. «O lei o nessuno», insiste Mutolo che torna a fare il carcerato.
Nel dicembre del 1991 accade qualcos’altro.
Totò Riina decide di uccidere Giovanni Falcone.
La sentenza di morte è stata emessa nel 1981. Ma dieci anni dopo viene ufficialmente «deliberata» dalla Cupola.
Nelle ultime settimane i boss vengono a sapere che il maxi processo, il loro processo, in Cassazione non sarà presieduto da Corrado Carnevale, il magistrato che negli ultimi anni ha annullato centinaia di sentenze con imputati mafiosi. «Uno giusto come Papa Giovanni», dice di lui Pieruccio Senapa, uno dei sicari agli ordini di Totò Riina.
Chi è Corrado Carnevale
È siciliano di Licata, terra agrigentina. Nasce nel 1930, a ventitré anni è già uditore giudiziario, poi giudice di Tribunale, giudice di Appello, giudice di Cassazione. Sempre per concorso, immancabilmente primo. È una carriera di glorie e fasti quella di Corrado Carnevale, il giudice che ama il cavillo. Lavora per due decenni all’Ufficio del Massimario, alla prima sezione civile e alle sezioni unite della Suprema Corte, va alla Corte di Appello di Roma, rientra in Cassazione. Alla prima sezione penale dove approdano i delitti di mafia, terrorismo, omicidio, strage.
Nel dicembre 1985 diventa il presidente della prima sezione penale («Il più giovane presidente titolare della storia della Cassazione», precisa lui), piega a livelli fisiologici l’arretrato. Quando s’insedia sono 7065 i processi che attendono l’esame, nel maggio 1989 scendono a 837.
Prima del suo arrivo la prima sezione è chiamata «la Corte dei rigetti», diventa la «Corte di San Carnevale». Esamina 6 mila processi l’anno, uno su tre è «cancellato», con o senza rinvio. Alla prima sezione ci resta per 7 anni meno quattro giorni. È dotato di una memoria prodigiosa. I suoi colleghi dicono che conosce ogni carta del processo che giudica. Come giudica è altro argomento.
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