La mattina del 18 luglio prende per mano Agnese, percorrono da soli un viottolo e scendono fino al mare. Finalmente il magistrato parla. Dice ad Agnese: «Non sarà la mafia ad uccidermi ma saranno altri. E questo accadrà perché c’è qualcuno che lo permetterà. E fra quel qualcuno, ci sono anche miei colleghi…».
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è incentrata sul giudice Paolo Borsellino e sull’attentato di via d’Amelio a trent’anni di distanza.
Paolo Borsellino torna a Palermo. È carico di pensieri neri. E ha paura. La «cantata» di Mutolo è solo all’inizio. Ha tanti altri nomi da fare. Tutti importanti. Avvocati. Alti magistrati. Commercialisti. Uomini politici. Altri poliziotti. Medici. Notai. Imprenditori. Tutta la Palermo che conta, la Palermo più insospettabile. Di giorno Borsellino legge e rilegge i verbali del pentito e di notte – chiuso nel suo studio di casa, in via Cilea – riempie la sua agenda rossa.
E mentre lui entra in un gorgo di solitudine e di terrore per la sua famiglia che lascerà – è sicuro di morire Paolo Borsellino, ormai è certo che da un momento all’altro lo ammazzeranno – a Palermo accade qualcosa di definitivo.
È la mattina del 10 luglio. La signora Pietrina Valenti entra nella stazione dei carabinieri «Oreto» per denunciare il furto della sua Fiat 126 color amaranto, parcheggiata in una stradina della borgata della Guadagna. Non è un furto qualsiasi.
Quell’auto serve a qualcuno per imbottirla di esplosivo e fare una strage.
«È arrivato il tritolo per me», dice Paolo Borsellino ai pochi amici che gli sono rimasti in Procura.
Il 14 luglio c’è «Il Festino», è Santa Rosalia patrona di Palermo, la Santuzza quest’anno è tutta per Giovanni Falcone e Francesca Morvillo assassinati a Capaci.
È venerdì 17 luglio. Paolo Borsellino è ancora a Roma per interrogare Gaspare Mutolo. Di sera torna a Palermo, poi va a Villagrazia di Carini dove – in una casetta in riva al mare – Agnese e i suoi figli si sono trasferiti da alcuni giorni. Una notte agitatissima, di incubi. Paolo Borsellino è segnato. La mattina del 18 luglio prende per mano Agnese, percorrono da soli un viottolo e scendono fino al mare. Una passeggiata sulla spiaggia, senza la scorta. Non c’è nessuno. Camminano in silenzio per qualche minuto, le prime barche cariche di pesce stanno tornando a riva. Borsellino e sua moglie sono lì, incantati, a guardarle. Poi un altro lungo silenzio. E finalmente il magistrato parla. Dice ad Agnese: «Non sarà la mafia ad uccidermi ma saranno altri. E questo accadrà perché c’è qualcuno che lo permetterà. E fra quel qualcuno, ci sono anche miei colleghi…».
Agnese è senza fiato. Si copre il viso con le mani e scoppia in un pianto. Paolo Borsellino è venuto a sapere della trattativa fra Stato e mafia. Il giorno dopo, di pomeriggio, qualcuno vede uscire il procuratore dalla casa di Villagrazia di Carini, lo segue a distanza. Qualcun altro tiene sotto controllo i telefoni nell’appartamento della madre. I mafiosi sanno che Paolo Borsellino sta per arrivare lì, in via Mariano D’Amelio, alle 17 di domenica 19 luglio.
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