Chi è? Chi è quell’uomo incastrato dentro la berlina scura e con la gamba destra che penzola dal finestrino? Chi è il primo morto di questa giornata di sole, una mattina di primavera siciliana che sembra già estate, il sangue, le mosche, la folla che freme davanti a un altro sparato di Palermo
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie si focalizza sulle storie di Pio La Torre, di Carlo Alberto dalla Chiesa, di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino. Sui delitti e sulle stragi di trenta e quarant'anni, che hanno sconquassato la Sicilia.
Chi è? Chi è quell’uomo incastrato dentro la berlina scura e con la gamba destra che penzola dal finestrino? Chi è il primo morto di questa giornata di sole, una mattina di primavera siciliana che sembra già estate, il sangue, le mosche, la folla che freme davanti a un altro sparato di Palermo.
Chi è? «È Pio La Torre», bisbiglia il commissario capo Antonino Cassarà al giudice Falcone. «È Pio La Torre», ripete Giovanni Falcone al suo amico Paolo Borsellino. «È Pio La Torre», sibila con un soffio di voce il consigliere istruttore Rocco Chinnici che alza gli occhi al cielo e si fa il segno della croce.
Sono tutti lì, uno accanto all’altro, in una strada che è un budello in mezzo alla città delle caserme, vie che portano i nomi dei generali della grande guerra, brigate e reggimenti acquartierati dietro il sontuoso parlamento dell’isola, Palazzo dei Normanni, cupole arabe e lussureggianti palme. Sono tutti lì, silenziosi e immobili intorno all’ultimo cadavere di una Palermo tragica.
Pio La Torre, segretario regionale del Partito Comunista Italiano, deputato alla Camera per tre legislature, figlio di contadini, sindacalista e capopopolo negli infuocati anni del separatismo e dell’occupazione delle terre. Un nemico di tutte le ingiustizie. Nato a Palermo alla vigilia del Natale del 1927 e morto a Palermo alla vigilia del 1° maggio del 1982.
L’ombra di Pio La Torre
Gli sparati di Palermo «parlano» sempre. La scena di un crimine di mafia racconta molto e a volte anche tutto. Ma il cadavere di Pio La Torre è muto. Sembra un manichino. Il capo è abbandonato sul corpo insanguinato di Rosario Di Salvo, da ragazzo emigrato in Germania e poi tornato giù anche per lui. Per proteggerlo.
Non era solo il suo autista, Rosario era un amico. L’ombra di Pio. Non ci sono testimoni. Nessuno ha visto. Le tracce che lasciano gli assassini sono una quarantina di bossoli, sparsi sull’asfalto di piazza Generale Turba. I palermitani la chiamano piazza, in realtà è una strettoia dove le auto passano lentamente una ad una, in fila indiana. Sono bossoli di una Singer calibro 45, una pistola quasi sconosciuta in Italia.
E di un fucile mitragliatore di fabbricazione americana, marca Thompson, in dotazione alle forze armate Usa, un’arma che in Sicilia è stata usata una sola volta. Nel 1958. A Corleone. Per uccidere il vecchio patriarca Michele Navarra. «Non abbiamo ancora una rivendicazione e sono già passate quasi tre ore dal delitto», si affretta a far sapere alla stampa Alfonso Vella, il dirigente della Digos, la polizia politica.
Rivendicazioni? E da parte di chi? Delle Brigate Rosse? Dei terroristi neri? Di fantomatici servizi segreti mediorientali o israeliani? Del capo dei capi di Cosa Nostra siciliana Salvatore Riina, detto lo zio Totuccio o Totò il Corto? La scena del crimine confonde. Proprio come volevano i mandanti del delitto.
L’agguato del 30 aprile 1982 non ha una firma. Forse è un omicidio di stampo mafioso. Forse è un omicidio politico. Chissà, potrebbe anche avere una matrice internazionale.
Magari – come qualcuno mormora – si dovrebbe esplorare la «pista interna». Indagare dentro il suo partito. Nella sua grande famiglia. Cercare gli assassini fra i suoi compagni. Supposizioni. Prove di depistaggio in una Palermo che oramai si è abituata ai morti e ai funerali di Stato, cadaveri eccellenti e cerimonie solenni.
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