Salvatore Grigoli, all’udienza del 7 luglio del 1997, pochi giorni dopo il suo arresto, davanti alla Corte di Assise di Palermo, faceva dichiarazioni spontanee, iniziando la sua collaborazione con la giustizia. Ha fatto luce sull’uccisione di padre Puglisi, indicando causale, mandanti ed esecutori materiali dell’omicidio, primo fra tutti se stesso...
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata a don Pino Puglisi, parroco che aveva sfidato i boss del quartiere Brancaccio a Palermo offrendo ai ragazzi un’alternativa ai fratelli Graviano, ucciso nel 1993.
Salvatore Grigoli, all’udienza del 7 luglio del 1997, e cioè pochi giorni dopo il suo arresto, davanti alla Corte di Assise di Palermo rendeva spontanee dichiarazioni che appare opportuno anche qui riportare testualmente, sia pure nei passi più salienti, costituendo la sua collaborazione una svolta importante del processo, in quanto ha fornito la chiave di lettura dell’uccisione di padre Puglisi, indicando, come già detto, causale, mandanti ed esecutori materiali dell’omicidio, primo fra tutti egli stesso.
Anche se le predette dichiarazioni, rese dal Grigoli nel corso del procedimento del quale ci occupiamo, cronologicamente non siano le prime sull’omicidio del sacerdote - avendo egli fatto abbondanti dichiarazioni al riguardo - a giudizio della Corte, tuttavia, è da queste che bisogna prendere l’esame sia, appunto, per la loro spontaneità, sia perché in nessun modo influenzate dall’intervento di terzi, accusa o difesa, legittimamente mosse da interessi contrapposti.
Ebbene, il Grigoli Salvatore ha così liberamente esordito: «Io vorrei collaborare, …..con la giustizia, quindi definendomi collaboratore. Però per quanto riguardo questo processo vorrei definirmi io più che altro un pentito, perché mi sono pentito realmente di aver commesso questo omicidio». «Riguardo. io cominciai già a pensare qualcosa del genere all’incirca, riguardo sul pentirmi, un sei mesi addietro a questa parte...E mi ha dato modo di pensare questo il fatto che da un anno a questa parte io non ero più sostenuto da nessuno, né economicamente né....cioè in poche parole io non ero più in condizione di campare, come si suol dire, la famiglia. Mi sono dovuto persino impegnarmi dell’oro che avevo io per potere mandare dei soldi a casa...e fare....altre cose; addirittura farmi prestare dei soldi per potere tirare avanti i miei figli, e questa cosa mi ha cominciato a fare pensare io con chi...per tutta...per gran parte della mia vita, con chi ho avuto a che fare, se è stato giusto le cose che ho commesso, i delitti...cioè questa cosa mi cominciò a far pensare se era stato giusto quello che avevo fatto io per conto di questa organizzazione». «E da questo ecco che io ho deciso anche di collaborare con la giustizia...».
Il racconto dell’omicidio
«Adesso vorrei dire io cosa sono a conoscenza e le mie responsabilità riguardo il delitto di padre Puglisi». «Vorrei premettere un’altra cosa, che io... tengo a precisare che non è assolutamente vero il fatto che io mi sia vantato, dopo aver commesso questo omicidio, perché non ne trovavo le ragioni; non me ne vantavo per altri omicidi....figuriamoci di questo che già...anche perché, dopo averlo commesso, ci pensavo spesso a questo omicidio e non vedevo la ragione per cui è stato fatto...anche se i motivi ne sono a conoscenza, ma non mi sembravano motivi validi per uccidere un prete».
«Prima...volevo precisare un’altra cosa, prima dell’omicidio, ho commesso un altro reato, lo dico perché secondo me è attinente a questo omicidio. Fummo incaricati io, Spatuzza e Guido Federico di bruciare tre porte di tre famiglie di uno stabile di via Azzolino Hazon, nei dintorni di questa via...perché queste persone erano vicine a padre Puglisi”. “I fatti che io conosco, le responsabilità dell’omicidio sono quelli che un giorno...non ricordo se fu lo Spatuzza o Nino Mangano, che un giorno mi disse che dovevamo commettere questo omicidio, che deve essere stato lo Spatuzza anche perché la persona che conosceva il padre. Già aveva parlato con Giuseppe Graviano e si doveva commettere questo omicidio; sicuramente ne parlai anche con Nino Mangano, perché io non facevo niente se non ne parlassi con lui».
«Quindi una sera...cercammo di vedere i movimenti, gli spostamenti del padre e lo incontrammo a Brancaccio, in un telefono pubblico. Non mi ricordo se già ero armato o dopo averlo visto....ci recammo per armarci, anche se poi l’unico ad essere armato ero io, e lo attendemmo nei pressi di casa. Così fu, eravamo io, lo Spatuzza, Giacalone Luigi e Lo Nigro Cosimo. Eravamo comunque...non avevamo né macchine rubate, né motociclette, niente di tutto questo, eravamo con le macchine...una era di disponibilità del Giacalone, un BMW, e una Renault 5 di proprietà del Cosimo Lo Nigro. Scese Spatuzza dalla macchina del Lo Nigro, perché Spatuzza era con Lo Nigro ed io ero con Giacalone. Il primo ad arrivare fu lo Spatuzza, ricordo che il padre si stava accingendo ad aprire il portone di casa, lo Spatuzza si ci affiancò, perché il padre aveva un borsello, gli mise la mano nel borsello e gli disse: padre, questa è una rapina… il padre neanche si era accorto di me..., fu una cosa questa qui che non posso dimenticare, perché ogni volta che penso a questo episodio mi viene in mente questa visione del padre che sorrise, non capii se fu un sorriso ironico o sorrise sorrise e gli disse allo Spatuzza “me l’aspettavo”. Allorchè io gli sparai un colpo alla nuca e il padre morì sul colpo senza neanche accorgersene di essere stato ucciso». «Dopo di ciò chiaramente il borsello fu portato via dallo Spatuzza.… Dopo di ciò ci recammo in uno stabilimento della zona industriale, cosiddetto Valtras, uno stabilimento di export-import...una specie di spedizionieri erano e lì fu controllato il borsello. Ricordo bene che c’era una patente, lo ricordo bene perché lo Spatuzza aveva la mania, perché lui all’epoca già era latitante, di togliere le marche da bollo che potevano servire per eventuali documenti falsi e tutti i documenti e tolse le marche da bollo».
«Tra le altre cose ricordo che c’era una lettera...non ricordo se è stata inviata al padre o...c’era una busta con un foglio, una lettera di una persona che gli aveva scritto che, se non ricordo male, gli facesse gli auguri non so di cosa, all’incirca trecentomila lire e poi altri pezzettini di carta...».
«Vorrei premettere che il borsello fu portato via, perché si voleva far credere che l’omicidio....cioè l’omicidio dovevano pensare gli inquirenti che era stato fatto da qualche tossicodipendente o da qualche rapinatore, ecco perché fu utilizzata la 7 e 65, che non è un’arma consueta agli omicidi di mafia». «...Questo è quello che io sono a conoscenza...».
Ecco come Grigoli è diventato mafioso
Al termine di dette dichiarazioni spontanee il Pubblico Ministero ne chiedeva l’esame che la Corte del primo grado di giudizio ammetteva e che veniva espletato all’udienza del 28 ottobre 1997. Nel corso di detto esame sono stati approfonditi i temi già spontaneamente enunciati dal Grigoli, il quale ha ribadito di aver fatto parte di “Cosa Nostra” ed ha spiegato testualmente: «Vede io non avevo mai commesso reati di nessun genere...fino all’incirca undici, dodici anni fa. Dal momento in cui poi io sono stato licenziato perché il lavoro era finito, avevo già un bambino piccolino, nove mesi, cominciai a delinquere».
«All’epoca io feci una rapina in una gioielleria per fare soldi e poter dare da mangiare al mio bambino. Ecco, da lì poi continuai a delinquere, perché purtroppo poi essendo che uno comincia poi a conoscere i soldi, poi viene ancora più difficile tornare indietro. E quindi nella borgata lo stesso Quartararo Filippo, Nino Mangano, loro mi osservavano sotto questo aspetto che ero uno, non so, uno in gamba, qualcosa del genere. E quindi ci fu questa sorta di avvicinamento. Da lì poi cominciai a far parte di questa...Perché poi cominciai a delinquere per loro, cominciai a bruciare autovetture, negozi».
«Poi mi fu presentato Giuseppe Graviano e quindi poi io dipendevo da lui. Mi disse un giorno Nino Mangano: Senti, c’è un appuntamento, ci sono persone che ti vogliono conoscere. E lì trovai Giuseppe Graviano. Lui si presentò dicendomi: Io sono Giuseppe Graviano, credo che tu hai sentito parlare di me come io ho già sentito parlare di te”. “E quindi da allora io ho capito che dipendevo da lui». «Ma già anche da prima, anche...perché io lo conoscevo, perché da piccolino....ci conoscevamo da bambini con Giuseppe Graviano perché eravamo della stessa borgata. Poi non ci siamo più visti. E quindi già diciamo che lo conoscevo. Anche quando io operavo per Mangano e Filippo Quartararo era sottinteso che era già all’epoca Giuseppe Graviano il capo mandamento di Brancaccio. Io addirittura cominciai insieme solo io e Giacalone Luigi a commettere i primi omicidi. Poi successivamente proprio il Giuseppe Graviano ci affiancò lo Spatuzza Gaspare e poi tutti gli altri».
«Nino Mangano ci comunicava: “I picciotti vogliono che si fa questo omicidio». «Perché sono fratelli. Erano tutti e due in sostanza a reggerlo, anche se si parlava di Giuseppe come capo mandamento. Però c’era riferimento ai “picciotti».
«Ma io ebbi ordine anche direttamente da Graviano...Giuseppe». «Quando ci comunicò il fatto di sequestrare il piccolo Di Matteo». «Ma vede, lui all’epoca, non è che io adesso voglio difenderlo, perché...però lui fece una specie di...per entrare in questo discorso girò talmente tanto, perché tipo che era quasi dispiaciuto di dovere fare questa cosa. Quindi come dire...Voi potete pensare che io sono....insomma mi ha fatto tutto un raggiro per dirci poi: “Dobbiamo sequestrare....siccome già a Napoli è stata effettuata una cosa del genere con esiti positivi” dice: “Dobbiamo sequestrare il figlio di un pentito per tenerlo alcuni giorni, quindi fare in modo che il padre ritrattasse o perlomeno si impiccasse”».
L’ordine di uccidere Don Pino
A precisa domanda del Pubblico Ministero che gli chiedeva: «Senta chi le disse di uccidere don Pino Puglisi?» il Grigoli ha risposto: «Mangano Antonino mi disse che i picciotti gli avevano parlato di questa cosa che si doveva fare questo tipo di delitto».
«Perché si diceva che siccome lì a Brancaccio, nei pressi della parrocchia di Brancaccio, c’era un ...un non so come definire, c’erano delle suore, una congregazione, non so come dire, dove operavano delle suore in sostanza, non so cosa facessero, e si pensava che in questo locale si erano infiltrati i poliziotti e anche in chiesa. Cioè si pensava che padre Puglisi era un confidente, uno che si stava anche interessando per la cattura di Giuseppe Graviano».
Ancora. A domanda del Pubblico Ministero che gli chiedeva:
«Senta, prima di questo atto omicidiario, lei partecipò a qualche attività delittuosa di intimidazione nei confronti di persone vicine a don Pino Puglisi?», il Grigoli ha così risposto: «Sì...Questa se non ricordo male me la comunicò Gaspare Spatuzza che si era visto...disse: “Sai, mi sono visto con “madre natura” e dobbiamo fare questa cosa qui”; però, tutto quello che io... erano poche le cose che mi comunicavano gli altri, ma quelle poche cose prima ne parlavo con Nino Mangano. Dico, per dire: “di questa storia qui tu ne sei a conoscenza” e lui mi diceva: “Sì, a posto, ci puoi andare”. “Questa...me la comunicò lo Spatuzza, questa cosa qui. Dovevamo bruciare tre porte di tre abitazioni nello stesso palazzo...nello stesso complesso, erano tre scale ed in ogni scala c’era una porta da incendiare. Una, se non erro, è al decimo piano, una al settimo e una al quinto, se non erro. C’era un certo Martinez e gli altri non li ricordo. E andammo io e lo Spatuzza, insieme anche a Vito Federico, e salimmo tutti e tre contemporaneamente le scale; abbiamo dato tempo a colui che doveva arrivare al decimo piano di arrivare prima e abbiamo dato fuoco a queste porte e poi scendemmo tutti e tre contemporaneamente e poi andammo via».
Ed, alla ulteriore domanda del Pubblico Ministero: «Senta lei sa, è a conoscenza di un altro attentato incendiario che fu fatto proprio contro la chiesa di San Gaetano, nel senso, a una attività di impresa che all’interno della chiesa si svolgeva?», Grigoli Salvatore ha risposto: “Si, si bruciò credo un furgone, adesso non mi ricordo bene, di questo appaltatore che stava facendo i lavori in chiesa».
«So che a farlo sicuramente era stata gente di Brancaccio, ma non so chi specificamente ci andò».
[...] Nell’interrogatorio reso il 26 giugno del 1997 al Procuratore della Repubblica di Palermo che gli chiedeva chi avesse dato l’ordine di ammazzare Don Pino Puglisi, il Grigoli ha risposto: «L’ordine me lo comunicò il Gaspare Spatuzza che mi disse...dice… “Madre Natura”, che lo chiamavamo proprio come Madre Natura a Giuseppe Graviano, diciamo fece sapere che si deve fare questo omicidio di Padre Puglisi». «Il motivo fu, perché si diceva che il padre fosse un confidente o perlomeno qualcuno che desse una mano alla Polizia di effettuare indagini anche su loro stessi che erano latitanti, addirittura c’erano le suore, una comunità di suore che potevano esserci poliziotti infiltrati là dentro..., per questo motivo. Una 7,65 fu usata anche perché doveva sembrare un omicidio non fatto da “Cosa Nostra”, ma un omicidio di un tossicodipendente, o di un ladruncolo, qualche cosa del genere. Infatti noi portammo via al prete il suo borsello per sembrare che fosse una rapina». [...].
Dello stesso tenore sono le dichiarazioni rese nell’esame effettuato davanti alla Corte di Assise nella sua nuova composizione in data 20 ottobre 1998. Ed infatti, al Pubblico Ministero che gli chiedeva: «Lei ha detto che il mandamento era retto da Giuseppe Graviano; però, prima, quando ha parlato degli omicidi, ha parlato dei “picciotti”, cioè di Giuseppe e Filippo, e allora, dico, perché questa differenza, ce lo sa spiegare?», il Grigoli ha risposto: «quello che è a conoscenza mia è che il mandamento di Brancaccio lo gestiva Giuseppe Graviano, però, come risulta a me, ogni qualvolta o talvolta, perché l’ho detto pure che alcune volte si diceva “Madre Natura” come talvolta si diceva i “picciotti”, mi veniva dato questa indicazione, poi io non lo so spiegarglielo perchè i picciotti e reggeva solo Giuseppe Graviano». «Ho sparato a padre Puglisi....Perché mi è stato ordinato. Da Nino Mangano, che diceva che gliel’aveva fatto sapere “Madre Natura”... “Madre Natura” è Giuseppe Graviano».
E, a seguito di insistenza del Pubblico Ministero, il collaborante ha precisato: «Mangano ha detto “i picciotti” o “Madre Natura”....Non so spiegarmi il motivo per cui Nino Mangano diceva talvolta i picciotti. I picciotti mandano a dire questo, mandano a dire quell’altro».
Ciò posto va subito detto che le dichiarazioni di Grigoli Salvatore, autoaccusatosi di avere personalmente ucciso il sacerdote e chiamante in causa dei mandanti e dei partecipi all’esecuzione del crimine, risultano assistite da elevata attendibilità intrinseca ed estrinseca secondo i criteri direttivi di disamina affrontati dalla Suprema Corte di Cassazione e riportati in altra parte della presente sentenza.
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