I limiti e le contraddizioni del governo regionale guidato da Giuseppe D’Angelo. Quando il prefetto Bevivino depositò la sua clamorosa relazione sul Comune di Palermo e il gruppo parlamentare comunista all'Ars presentò la mozione per lo scioglimento del Consiglio comunale, la mozione comunista venne respinta
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata alla relazione antimafia del 1976 scritta da Pio La Torre e dal giudice Cesare Terranova. Un documento che a circa cinquant’anni di distanza rimane ancora attuale.
Il sistema di potere mafioso ricevette, invece, nuovo alimento dal modo in cui, da parte di alcuni settori della grande industria, dell'agraria siciliana e della DC, si operò per rovesciare il governo Milazzo. Si sviluppò una campagna allarmistica, affermando che tutti i mezzi erano buoni per raggiungere lo scopo di far cadere quel governo.
E i mezzi usati furono quelli del ricatto e della corruzione verso alcuni esponenti di quel governo utilizzando, ancora una volta, la mafia. Contemporaneamente, per riconquistare la direzione della Regione la DC non esitò a dar vita allo «schieramento anti-marxista» a consegnare la Presidenza della Regione al monarchico Majorana (oggi senatore del MSI) e a imbarcare nel governo esponenti del MSI. Si faceva compiere alla Sicilia un passo indietro di almeno dieci anni, dando nuovo spazio alle forze peggiori del clientelismo e dell'ascarismo mafioso.
La sconfitta della «rivolta milazziana», costituì un'altra delusione del popolo siciliano e aprì un periodo di difficoltà nelle lotte per l'autonomia e il rinnovamento democratico della Sicilia. A tanti anni di distanza, quella breve, contraddittoria e complessa esperienza va ricondotta al suo vero significato legato ai termini dello scontro politico, aspro e violento, che in quel periodo vi fu fra Dc e partiti di sinistra.
Emersero da quell'esperienza i guasti profondi che la rottura e la prolungata contrapposizione frontale fra la Dc e i partiti di sinistra avevano prodotto nella vita e nel funzionamento delle istituzioni autonomistiche in Sicilia.
Il mancato scioglimento del Comune di Palermo
L'apertura di una nuova fase nella vita politica italiana con la formazione dei governi di centro-sinistra offrì alcune possibilità nuove di iniziativa per lo sviluppo della democrazia anche in Sicilia.
Non è casuale che la costituzione della Commissione parlamentare di inchiesta sulla mafia avvenne proprio nel 1962, all'inizio della esperienza dei governi di centro-sinistra. E al tempo stesso si manifestarono i limiti e le contraddizioni del nuovo schieramento di governo anche per quanto riguarda la lotta contro il sistema di potere mafioso.
L'esempio più significativo di queste contraddizioni è costituito dal comportamento del governo regionale verso il Comune di Palermo. Fu il Presidente della Regione del primo governo di centro-sinistra in Sicilia, l'onorevole Giuseppe D'Angelo, ad accogliere la proposta comunista di un'inchiesta sul rapporto mafia-Enti locali nella Sicilia occidentale e, in primo luogo, a Palermo.
Ma quando il prefetto Bevivino depositò la sua clamorosa relazione sul Comune di Palermo e il gruppo parlamentare comunista all'Ars presentò la mozione per lo scioglimento del Consiglio comunale, il presidente D'Angelo e la maggioranza di centro-sinistra non furono capaci di compiere, sino in fondo, il proprio dovere e la mozione comunista venne respinta con 43 voti contro 43.
In conseguenza di quel voto, Lima e soci rimasero in sella e, utilizzando l'incoerenza di D'Angelo, poterono organizzare la loro vendetta sino a estrometterlo, con l'aiuto dei gestori delle esattorie, dalla scena politica siciliana
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