L'on. D'Angelo, dopo la strage di Ciaculli, affermava: «La nostra lotta non può e non deve essere solo rivolta contro la mafia che uccide, contro la mafia che si caratterizza come fenomeno di criminalità poiché c'è un'altra mafia che si fonda sul malcostume e sulla prepotenza». E concludeva: «Per il primo tipo di mafia c'è la polizia e potrebbe esserci anche la durezza della legge, per il secondo tipo dovremmo soprattutto sollecitare la nostra coscienza morale».
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata alla relazione antimafia del 1976 scritta da Pio La Torre e dal giudice Cesare Terranova. Un documento che a circa cinquant’anni di distanza rimane ancora attuale.
La città di Palermo attraversa un momento di grande rilievo della sua storia. La tragica esplosione di Ciaculli ha inciso profondamente nelle coscienze, ha messo in moto forze sociali, economiche e politiche che hanno aperto l'animo dei siciliani alla speranza che, finalmente, si stiano ponendo le premesse per un profondo rinnovamento della vita palermitana, delle sue strutture, dei rapporti civili e politici.
La via di questo profondo rinnovamento ha un passaggio obbligato: l’estirpazione della mafia. Non vi è e non vi può essere rinnovamento della società palermitana, la nostra città non può e non potrà veder concretizzarsi alcun processo di sviluppo civile e moderno se non attraverso l'eliminazione di questo tumore che si è venuto ramificando a tutti i livelli della vita cittadina.
La lotta contro la mafia, l’azione parallela a tutti i livelli per identificare, isolare, colpire e sradicare l'attività mafiosa è oggi il compito principale dei comunisti palermitani, di tutti i sinceri democratici, di tutti i cittadini onesti.
È questo un anello che deve congiungere e rinsaldare in un unico significato o ad un livello superiore le lotte politiche, sociali, l'azione dalle forze democratiche nei prossimi mesi.
La dilatazione dell'influenza mafiosa è giunta a un punto tale che la battaglia per l'estirpazione della mafia incrocia un momento decisivo. O essa sarà coronata da successo, o, forse, le conseguenze in tutti i gradi della vita della neutra città saranno irrimediabili.
Noi sappiamo, come abbiamo sempre saputo e sostenuto, che la lotta contro la mafia non è esclusivamente o preminentemente un problema di polizia. Oggi, questa nostra valutazione è condivisa da molti.
L’on. D’Angelo - nelle dichiarazioni programmatiche all'Assemblea regionale il 30 luglio 1963 – affermava: «La nostra lotta non può e non deve essere solo rivolta contro la mafia che uccide, contro la mafia che si caratterizza come fenomeno di criminalità poiché c'è un'altra mafia che si fonda sul malcostume e sulla prepotenza». E concludeva: «Per il primo tipo di mafia c'è la polizia e potrebbe esserci anche la durezza della legge, per il secondo tipo dovremmo soprattutto sollecitare la nostra coscienza morale».
La necessità di una profonda moralizzazione della vita pubblica è stata sempre avanzata dai comunisti: le prime e dirette vittime del malcostume, della corruzione del sottogoverno, degli amministratori - per parafrasare l’on, D’Angelo - «che discriminano ed abusano del potere», della burocrazia «lenta talvolta a compiere il suo dovere di servizio, verso il cittadino e spesso pronta a condizionarlo in tutto ciò che sa di intermediazione, di clientelismo, di illecito favoritismo, le prime e dirette vittime sono i lavoratori, i cittadini che vivono del loro onesto lavoro».
Contro la mafia, non solo l’azione della polizia
E tuttavia, se è ben vero che l'operazione antimafia non può restringersi e ridursi ad una operazione di polizia contro gli aspetti più vistosamente criminosi, è anche evidente che non può venire dispersa in una vaga e generica “sollecitazione” alla coscienza morale.
E qui occorre fare una precisazione ben chiara: noi respingiamo l’interpretazione moralistica che fa della mafia una “questione di costume”.
Questa interpretazione l'abbiamo sempre respinta, perché in primo luogo erronea, in secondo luogo perché, sul piano pratico, impedisce un'azione vigorosa, concreta e tangibile volta all'estirpazione della mafia.
Non esistono due mafie, una tesa ad attività criminali, penalmente perseguibili, e una circoscritta ad "atteggiamenti di costume". Esiste una sola mafia, che si manifesta a vari livelli ed è strettamente interdipendente, la cui attività si esprime ponendosi al di sopra della legge e dei diritti inalienabili dei cittadini, e si concretizza, ogni qualvolta le sia necessario in attività criminose violente.
Questa mafia è costituita in associazione a delinquere poiché è pronta a sostenere con il delitto i propri soprusi, dispone di menti direttive, di braccia esecutive e di complicità estese ma ben localizzabili. Essa è ben delimitabile ed identificabile. Delimitarla ed identificarla è un obiettivo preciso e raggiungibile: ad esso intende contribuire questo memoriale, ed in questa direzione i comunisti auspicano vogliano muoversi tutte le forze politiche che intendano contribuire concretamente ad una battaglia che è battaglia di civiltà.
In questa direzione, d'altro canto, si muovono le decisioni raggiunte nella fase preliminare dei lavori della Commissione Parlamentare d'Inchiesta e tutti quei settori d'opinione pubblica della vita palermitana liberi dalla preoccupazione di celare connivenze e complicità, preoccupazione di cui è intessuta a Palermo la rete dell'omertà non solo di singoli ma anche di determinate forze politiche e di precisi pubblici poteri, "Ogni giorno - scrive il "Giornale di Sicilia" - a piccoli gruppi, qualche volta a dozzine, ignobili individui vengono raggiunti dalla giustizia sotto l'accusa di essere mafiosi e avviati al carcere in attesa di giudizio. Sono colpevoli di avere fatto soprusi, di avere ucciso.
Ma con chi avevano rapporto costoro? Come esercitavano la loro nefanda azione nella società? Come venivano in possesso di licenze di commercio all'ingrosso? Come venivano iscritti negli albi degli appaltatori? Con chi trattavano? Chi li favoriva? Quali uomini politici hanno avuto rapporti con loro?". Secondo notizie pubblicate dalla stampa con nomi e cognomi, un capraio di un paese di provincia avrebbe ottenuto due case polari a pubblicate popolari a Palermo. Chi gliele ha assegnate? Chi lo ha raccomandato?
In altri termini, se ci sono rapporti fra i mafiosi di diversi livelli che abbiamo distinto secondo lo "strumento" di azione, questi rapporti vanno individuati e denunziati e i colpevoli vanno mandati al confino, quale che sia la carica che rivestono e anche se, invece di maneggiare tritolo, hanno maneggiato biglietti di raccomandazione.
© Riproduzione riservata