L’incubo di Carmine Zappia, imprenditore di Nicotera (Vibo Valentia) inizia con l’acquisto di un immobile su due piani fuori terra, per la cifra di 400mila euro, nel maggio 2011
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è incentrata su Trame, il festival dei libri sulle mafie che si tiene dal 22 al 26 giugno a Lamezia Terme.
L’incubo di Carmine Zappia, imprenditore di Nicotera (Vibo Valentia) inizia con l’acquisto di un immobile su due piani fuori terra, per la cifra di 400mila euro, nel maggio 2011.
«Nella fase contrattuale rimangono scoperti cento mila euro da dare al venditore – racconta – dopo poco si presenta il cognato del boss Antonio Mancuso, riferendo che da quel momento il fabbricato diventava roba del clan, che Mancuso era socio di quell’affare e che i soldi dovevano essere pagati a lui».
Zappia inizia così a versare cinque mila euro ogni tre mesi, ma non è abbastanza: «Non sono sufficienti neanche per l’affitto» fa sapere il boss.
La somma che stava erogando non sanava il debito dei cento mila euro, era solo la “tassa” dovuta al capobastone della zona. «Ho capito che non ne sarei più uscito, ma ho continuato a pagare. Sotto minaccia raccoglievo soldi dove potevo. Finché non sono finiti».
Il 24 maggio 2019, dopo l’ennesima intimidazione, è maturata l’idea di denunciare e, due mesi più tardi, sono arrivati gli arresti e poi le condanne.
«Nella lunga trattativa con i Mancuso sono sempre stato da solo, nessuno era a conoscenza di quello che stavo vivendo ad eccezione dei miei fratelli. Da quando mi sono recato per la prima volta in caserma però mi sono sentito al sicuro, nonostante le continue visite del boss».
«Per chi denuncia molte porte si chiudono - ammette Zappia – ma è la prima cosa da fare. Il mafioso non è nessuno, siamo noi che lo rendiamo grande rimanendo zitti».
Testimone di giustizia e parte offesa nel processo nato dall’operazione “Maqlub”, dopo l’ intercettazione in cui veniva data disposizione, per il 3 luglio 2019, di prelevarlo e portarlo in un luogo isolato “per ammorbidirlo e farlo pagare”, all’imprenditore taglieggiato è stata subito assegnata la scorta.
«Meglio convivere con i Carabinieri che con un mafioso dietro le spalle».
L’indagine della Dda di Catanzaro ha portato alla condanna di Antonio Mancuso, 83 anni, a 10 anni e 6 mesi di reclusione per estorsione, all’interdizione in perpetuo dai pubblici uffici e al risarcimento del danno cagionato alle parti civili: Carmine, Giulia e Antonio Zappia, la Provincia e la Regione.
In questi giorni, dopo la richiesta della Procura dell’aumento di pena per l’imputato, che si trova agli arresti domiciliari per motivi di salute, la Corte d’Appello ha rideterminato la condanna a 7 anni e 6 mesi di detenzione più il pagamento di 4mila euro di multa, confermando nel resto la sentenza del Tribunale di Vibo.
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