«Un centro di detenzione in mezzo al nulla, per persone che non hanno commesso alcun crimine»: l’on. Laura Boldrini in visita alla struttura albanese racconta chi sono i migranti trattenuti al suo interno e perché il progetto non ha senso
«Un centro di detenzione in mezzo al nulla, per persone che non hanno commesso alcun crimine». É così che l’onorevole Laura Boldrini, deputata del Partito democratico, presidente del Comitato permanente sui diritti umani nel mondo della Camera, descrive il centro per migranti di Gjader in Albania: «Un mausoleo nella roccia, un edificio che sembra un carcere di massima sicurezza. Situato in mezzo al nulla, alle pendici di una montagna rocciosa. Tutta la struttura è circondata da una recinzione composta da sbarre di ferro che saranno alte almeno quattro metri. Le stesse inferriate si trovano anche all’interno, per separare le diverse sezioni».
Nel centro di Gjader, tanto voluto dalla premier Giorgia Meloni in seguito al protocollo firmato con il premier albanese Edi Rama, e composto da un’area per il trattenimento di richiedenti asilo da 880 posti, un Cpr con 144 posti e un penitenziario da 20 posti, oggi ci sono centinaia di lavoratori tra forze dell’ordine, operatori dell’ente gestore, Medihospes Albania Srl, medici e infermieri. E sette migranti.
Provengono da Egitto e Bangladesh. Paesi sicuri secondo la lista stilata dal governo italiano nel decreto fatto di fretta. Un po’ meno secondo la sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione europea dello scorso 4 ottobre. A cinque dei richiedenti asilo rinchiusi a Gjader la domanda di protezione internazionale è già stata rifiutata, gli altri due ancora vivono nella speranza di potersi costruire un futuro in Europa. Mentre i giudici del tribunale di Roma sono chiamati a esprimersi sulla convalida del loro trattenimento.
«Sono persone che non hanno commesso alcun crimine. Neanche possono essere accusate del reato di immigrazione clandestina, visto che sono state soccorse in acque internazionali. Una situazione surreale», ribadisce la presidente del Comitato permanente sui diritti umani nel mondo, visto che è nelle acque internazionali a sud di Lampedusa che i migranti sono stati trasferiti a bordo della nave della Marina militare Libra che li ha portati in Albania: «Penso che il governo dovrebbe sentirsi in forte imbarazzo per questa situazione. Invece attaccano la magistratura, che deve essere indipendente come è giusto che sia in uno stato di diritto, con i giudici che devono fare soltanto il loro lavoro e non essere al servizio del governo di turno».
Come sottolinea Boldrini, infatti, sono serviti milioni di euro per la costruzione dei centri per migranti di Shengjin, dove si trova l’hotspot, e per quelli di Gjader. E molti altri se ne stanno spendendo per mantenere in funzione le strutture, con il personale dentro che ci lavora, e attivare la nave Libra alla ricerca di migranti in mare da deportare in Albania. Con il risultato, però, che i centri di Shengjin e Gjader sono vuoti. Mentre centinaia di persone continuano ad arrivare a Lampedusa: «Se non è questa la fotografia di un fallimento che cos’altro può essere? La gestione italiana dell’immigrazione doveva diventare un modello per l’Europa, secondo gli esponenti di governo. Invece è un grande flop».
Secondo la deputata del Pd in visita ai centri in Albania - perché «non possono diventare terra di nessuno. Vogliamo vigilare sul rispetto dei diritti umani, visto che per il protocollo Italia-Albania le strutture sono sotto la giurisdizione italiana» – è il criterio stesso di selezione delle persone soccorse in mare, basato sulla loro vulnerabilità, che impedisce il loro trasferimento nel paese governato da Rama: «Chiunque abbia affrontato un viaggio del genere è una persona fragile. Scappa da privazioni, vessazioni e violenza. Ha subito torture, umiliazioni e sevizie durante il viaggio. Ha pensato di morire in mare».
La storia di Mohamed
Durante la sua visita al centro di Gjader, Boldrini ha avuto anche l’opportunità di parlare con i migranti rinchiusi al suo interno: «In particolare con uno di loro, Mohamed, ha trent’anni è sposato con due figli. Il secondo non l’ha neanche visto nascere perché era già partito. È tra quelli la cui richiesta d’asilo è ancora in fase di analisi. È terrorizzato dall’idea di essere rispedito indietro».
Da quanto Mohamed racconta, le forze dell’ordine egiziane l’hanno preso di mira, cosa comune nel suo paese, dove gli arresti sono spesso arbitrari. Ha paura del rimpatrio perché teme di finire nelle mani dei servizi segreti e sparire come è già successo ad un suo amico. Sognava, invece, che la moglie lo avrebbe raggiunto quanto prima in Italia.
«Mohamed mi ha detto che quando lui e si suoi compagni di viaggio sulla Libra sono stati informati del trasferimento in Albania è calato un senso di sconfitta e scoramento. C’era anche chi voleva buttarsi in mare», riferisce l’ex presidente della Camera dei deputati. Che racconta anche quanto i migranti le hanno riferito sulle procedure di screening in alto mare dei naufraghi da mandare in Albania: «Avviene sui mezzi della Guardia costiera, subito dopo il salvataggio dell’imbarcazione in difficoltà. Chi viene portato a bordo della Libra è già considerato idoneo per il trasferimento. Non può, quindi, che trattarsi di un controllo del tutto approssimativo, perché oggettivamente non ci sono né gli strumenti, né gli spazi, né l’expertise per fare una valutazione approfondita di persone che sono sconvolte dal viaggio in mare e da tutto quello che l’ha preceduto. Stanno male fisicamente e non sono in grado di rispondere alle domande. Cercano solo un po’ di sollievo dopo aver pensato di morire affogati», conclude Boldrini mentre si allontana dalla struttura di Gjader.
Sul navigatore dell’auto su cui viaggia si legge ancora “Italian migrant detention center” a 3,7 chilometri. Perché è con questo nome che anche Google maps identifica il centro.
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