Un emendamento di FdI prevede dal 2025 un voucher da 1.500 euro per studente, spendibile esclusivamente in una scuola paritaria e destinato a famiglie con reddito Isee fino a 40mila euro. Un altro di Noi Moderati stanzia un contributo di 100 milioni per le paritarie a rischio chiusura. I sindacati: un governo che getta la maschera e lavora contro la scuola pubblica. Avs: norma che viola la Costituzione
L'anno si è aperto con un regalo da 700 milioni alle scuole private, da parte del ministro dell'Istruzione Giuseppe Valditara, e si chiude con l'annuncio di un paio di regalini natalizi da 164 milioni totali, 64 per studenti di paritarie con Isee inferiori ai 40mila euro e 100 milioni per gli istituti privati che rischiano la chiusura.
Come ciò sia possibile in uno Stato la cui Costituzione stabilisce, all'articolo 33, che «enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato» è una questione giuridica assai dibattuta ma lo vedremo più avanti.
Ora ascoltiamo perché, dopo avere firmato a febbraio due decreti che prevedevano, complessivamente, uno stanziamento di oltre 700 milioni di euro a favore delle scuole paritarie per l’anno scolastico 2023/2024, sostenendo che «il nostro obiettivo è valorizzare tutte le realtà educative che fanno parte del nostro sistema pubblico di istruzione», giovedì il ministro Valditara abbia deciso di appoggiare un emendamento alla manovra, presentato dal deputato di Fratelli d’ltalia Lorenzo Malagola, che prevede dal 2025 un voucher da 1.500 euro per studente, spendibile esclusivamente in una scuola paritaria e destinato a famiglie che hanno un reddito Isee fino a 40mila euro.
L’altro emendamento, firmato fra gli altri da Maurizio Lupi e Mara Carfagna di Noi Moderati, prevede un contributo di 100 milioni di euro per quelle scuole paritarie che rischiano la chiusura. Perché? «Per fronteggiare la progressiva chiusura, nell’ultimo decennio, di sempre più scuole dell’infanzia paritarie e di istituti scolastici di primo e secondo grado paritari, come anche per garantire e tutelare la libertà della scelta educativa sancita dall’articolo 30 della Costituzione, il contributo di cui all’articolo 1, comma 13, della legge 10 marzo 2000, n. 62 è incrementato di 100 milioni di euro per l’anno 2025».
Lo spartiacque, dunque, ricordato da Lupi e Carfagna è il 10 marzo 2000, Governo D'Alema II. Seguì il governo Amato II. Ebbene, dopo che i governi di centro-sinistra decretarono «come obiettivo prioritario l'espansione dell'offerta formativa» all'articolo 1 della legge 62/2000, nel giro di dieci anni l’Italia fu il solo Paese che registrò una diminuzione della spesa pubblica per le istituzioni scolastiche, tra il 2000 e il 2011. Altro che «espansione».
Le reazioni di protesta
Nelle reazioni alla proposta del voucher da 1.500 euro il coro dei sindacati è quasi univoco: Cgil, Uil e Gilda concordano nel criticare lo stanziamento di 64 milioni per le scuole paritarie. «Mentre con la legge di bilancio si taglia la scuola pubblica, quella che lo Stato dovrebbe garantire a tutti e tutte, la maggioranza di governo propone un bonus di 1.500 euro per frequentare le scuole private. Quindi non ci sono soldi per il rinnovo contrattuale degli insegnanti, si tagliano 8mila posti tra personale docente e Ata, non si assumono i precari su tutti posti disponibili, ma si trovano le risorse per il sistema privato. È un governo che ha gettato la maschera e opera scientemente contro la scuola pubblica, calpestando la Costituzione. Motivo ulteriore per aderire alle iniziative di mobilitazione e allo sciopero generale del 29 novembre», ha dichiarato Gianna Fracassi, segretaria generale della Flc Cgil.
Per Giuseppe D’Aprile, segretario generale Uil Scuola Rua, è «un emendamento che va nella direzione opposta alle nostre rivendicazioni. Se ci sono fondi disponibili, i finanziamenti devono servire, prioritariamente, ad aumentare le retribuzioni del personale per colmare la loro progressiva perdita di potere d’acquisto. Invece, da un lato si incentiva la frequenza della scuola privata, dall’altro, nella scuola statale, si prevedono tagli pari a 5.660 docenti e 2.174 Ata. Più che incentivare indirettamente le iscrizioni alle scuole paritarie, bisognerebbe invece ripartire con il potenziare prima la scuola statale, nazionale e laica di questo Paese per garantire a tutti lo stesso diritto all’istruzione. Sono prove tecniche di privatizzazione? Resteremo vigili e attenti e non resteremo a guardare, a partire dalla mobilitazione del prossimo 29 novembre».
Per Vito Carlo Castellana della Gilda Insegnanti, «la notizia desta sconcerto, con decine di migliaia di famiglie che fanno fatica a vedersi garantito il diritto allo studio previsto dalla Costituzione per i propri figli che frequentano la scuola pubblica statale, si dirottano risorse verso coloro che possono permettersi la scuola paritaria. Sarebbe utile e auspicabile piuttosto un voucher che copra le spese di libri di testo e trasporti per gli studenti in difficoltà economica che frequentano la scuola pubblica statale».
Fuori dal coro la segreteria della Cisl Scuola Ivana Barbacci che sostiene: «Siamo del parere che il sistema scolastico pubblico dentro il quale si colloca la scuola statale e la scuola paritaria debba essere sostenuto e valorizzato. È importante che le famiglie, con meno possibilità economiche, siano sostenute nell’esercizio pieno del diritto allo studio dei propri figli. La scuola statale cosi come quella paritaria vanno valorizzate anche in una dimensione di sostegno da destinare alle famiglie in termini economici, sia per la frequenza scolastica che per l’acquisto di libri di testo, trasporti e mense».
Si sono associate alle critiche dei sindacati le forze politiche di opposizione: il Movimento 5 Stelle ha definito quella del voucher una «proposta choc», il Partito Democratico una «vergogna», infine Alleanza Verdi Sinistra sostiene che l'emendamento di Malagola «viola chiaramente la Costituzione». Ma è davvero, così?
«Senza oneri per lo Stato»
La questione relativa al finanziamento delle scuole private provocò un intenso dibattito fin dai lavori preparatori della nostra legge fondamentale, tanto da rappresentare una delle maggiori discussioni all'interno dell’assemblea costituente. Il punto di fondamentale scontro, secondo il giudice del tribunale di Agrigento Matteo De Nes, che analizzò la questione in un suo studio del 2015, «verteva sulla volontà della parte democristiana di salvaguardare il patrimonio dell’istruzione cattolica, contrapposta alla posizione della componente socialista e comunista che invece riteneva meritevole di copertura costituzionale solamente la scuola statale. Il compromesso che ne emerse fu la ben nota concessione della libertà per enti e privati di istituire scuole che potessero ottenere la parità con quelle statali, in cambio dell’inserimento della clausola “senza oneri per lo Stato”. Fin da subito la dottrina costituzionalista ha assunto diverse posizioni, l’opinione prevalente, in ogni caso, ha sempre propeso per un divieto assoluto di finanziamenti pubblici, diretti o indiretti, alla scuola non statale. A fronte di posizioni piuttosto nette della dottrina maggioritaria, tuttavia, la situazione fattuale è stata ed è ben diversa. Le scuole private, infatti, hanno sempre ricevuto qualche forma di sostegno pubblico, intensificatosi in seguito all’approvazione della legge sulla parità scolastica (n. 62 del 2000) e all’introduzione del principio di sussidiarietà orizzontale con la riforma [costituzionale] del Titolo V del 2001. A determinate condizioni, inoltre, le scuole private hanno sempre potuto godere dell’esenzione delle imposte locali sugli immobili sin dall’introduzione dell’ICI all’inizio degli anni Novanta».
È chiaro, dunque, che invocare il soccorso della giustizia, come spesso è accaduto negli ultimi trent'anni, è un'arma spuntata: la questione è tutta politica.
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