Le condizioni alla partenza della maratona sono proibitive, il termometro segna quasi trenta gradi e l’umidità è alle stelle. In Corea del Sud sono da poco passate le due del pomeriggio e si sta per celebrare l’atto conclusivo dei Giochi della XXIV Olimpiade, quella di Seul. Al via 3 italiani: Orlando Pizzolato, Gianni Poli e Gelindo Bordin. Si parte. Al trentacinquesimo, ben oltre dopo l’ora e mezza di gara, Bordin è nel gruppetto di testa, capannello che andrà via via sfilacciandosi nei minuti a seguire. A 2 chilometri dal traguardo pur con qualche difficoltà il corridore veneto stacca tutti e riesce vincere con un distacco di 15 secondi senza mai voltarsi.

È domenica 2 ottobre 1988 e Gelindo Bordin ha appena compiuto una delle più grandi imprese che l’atletica leggera italiana possa ricordare. In quegli stessi giorni dal Piemonte alla Toscana, da Barolo a Montalcino e al Chianti Classico, vengono vendemmiate uve che porteranno a vini memorabili, celebrati ancora oggi come testimoni di una delle migliori annate di quel decennio.

Vini spesso ancora oggi eccezionali, poche bottiglie disponibili grazie alla scelta dei produttori di tenerle nelle loro cantine o di alcuni appassionati di scommettere sulla loro evoluzione.

Quanto vale conservare

Invecchiare un vino significa decidere consapevolmente di acquistare una bottiglia e conservarla in un luogo fresco, buio e non troppo asciutto per un certo numero di anni, consentendo così al vino di evolvere durante la permanenza all’interno della bottiglia.

Aprirla, dopo molto tempo, ci permette di rivivere non solo il momento dell’acquisto ma anche gli avvenimenti legati a quella specifica vendemmia e quindi annata. Che si tratti di una maratona olimpica, della nascita di un figlio o di qualsiasi altro anniversario, riusciamo a toccare con mano un momento che appartiene al passato: una bottiglia di vino può anche essere una macchina del tempo particolarmente efficace.

Inoltre, aspetto tutt’altro che secondario, l’invecchiamento contribuisce a far emergere nel vino odori e sapori che in gioventù non gli appartenevano e che quindi appaiono ai nostri sensi come nuovi, diversi, tutti da scoprire.

Non tutti i vini sono però adatti all’invecchiamento. Dipende dalla loro longevità, la capacità cioè di un vino di affrontare il passare del tempo mantenendo un certo equilibrio. Non necessariamente la sua capacità di migliorare nel tempo quanto quella di evolvere in maniera virtuosa. Nel mondo del vino si dice genericamente che solo l’1 per cento delle bottiglie sia adatto all’invecchiamento, e che il restante 99 per cento vada bevuto entro pochi anni.

Non perché queste vadano a male, nessun vino ha una data di scadenza, ma perché non si trarrebbe alcun beneficio dall’attesa. Quali vini invecchiare e quali no, allora? È una questione di qualità prima ancora che di prezzo, per quanto i vini più costosi nella stragrande maggioranza dei casi siano anche longevi. «Il termine “buono” è aleatorio, quello che può essere buono per me può non esserlo altrettanto per qualcun altro» dice Nelson Pari, Italian wine buyer per Swig, noto importatore inglese.

«La questione della longevità è possibile affrontarla a partire dalla complessità del vino. Una questione puramente aritmetica: quanti più cluster, riconoscimenti, è in grado di avere un vino quanto allora è più complesso, e non mi riferisco alla complessità olfattiva ma al numero di aromi che attraverso le nostre sensazioni retronasali siamo in grado di percepire in bocca.

Parlo della bocca e non del naso perché quello che sentiamo al suo interno è strettamente legato alla capacità del vino di veicolare gli aromi: la sua freschezza, la sua struttura, il suo calore alcolico. Tutte cose che, combinate in un contesto di particolare equilibrio, fanno esplodere, in bocca, gli aromi. Li rendono leggibili, apprezzabili. Sei, sette riconoscimenti sono più che sufficienti per definire un vino complesso, e quindi anche longevo: sono aromi che con il passare degli anni cambieranno, evolveranno senza diminuire».

Un’opera d’arte

Se i vini migliori sono quelli con maggiore complessità, quindi anche longevi, stiamo parlando dei cosiddetti fine wine, la cima della piramide mondiale della produzione vitivinicola, sulla carta i migliori vini possibili. Questa una delle definizioni che va per la maggiore: «Un fine wine è un vino complesso, equilibrato, con un potenziale di invecchiamento ma caratterizzato da un’ottima bevibilità in ogni fase della sua evoluzione. Si tratta di un vino capace di suscitare emozioni e meraviglia in chi lo beve, riflettendo al tempo stesso l’intenzione del suo produttore. È riconosciuto come tale ed è sostenibile dal puntfo di vista ambientale, sociale e finanziario».

Una definizione che non prende in considerazione il mercato, fondamentale per appartenere a questa cerchia così esclusiva: se nel tempo il suo valore tende ad aumentare allora fa certamente parte del club. «È come la Fontana di Duchamp, è un’opera d’arte perché è in un museo - continua Nelson Pari. Lo stesso vale per i cosiddetti fine wine, si definisco tali perché sono bottiglie che sono presenti nelle carte dei vini dei ristoranti più prestigiosi del mondo, ma c’è un universo oltre a quelli».

Oltre infatti ai vini più prestigiosi, provenienti dalle denominazioni più note, c’è moltissimo: la complessità non è esclusiva del sangiovese a Montalcino e nel Chianti Classico o del nebbiolo a Barolo, anzi: senza scomodare altri talentuosi vitigni come il riesling o il pinot nero ci sono decine e decine di varietà che possono portare a vini di straordinaria piacevolezza e discreta complessità.

Vini quindi potenzialmente longevi, che magari non sono considerati dei fine wine: per il loro prezzo o per la loro assenza dal mercato secondario. Vini che però possono regalare straordinarie soddisfazioni, se aspettati. Alcuni Ciliegiolo dell’Italia Centrale o Schiava in Alto Adige, quindi vini rossi di particolare dinamicità. Certi vini rosati. Tantissimi vini bianchi troppo spesso acquistati per un consumo pressoché immediato.


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