- La Venere è diventata una icona contemporanea, una visione del nostro tempo, un laico altare votivo, con la divinità chiamata a tenere insieme un cumulo di stracci, rifiuti, scarti.
- Distruggerla è stato un atto politico, come politica è stata la decisione di installare la Venere in piazza, e politica è la scultura di Pistoletto.
- «La Venere è fatta per morire e rinascere», ha commentato Pistoletto.
«Una cosa di cui non si può fare a meno è credere», è una frase che Michelangelo Pistoletto ama ripetere. A maggior ragione ora, quando all’alba di questa mattina è arrivata la notizia che qualcuno ha dato fuoco alla sua Venere degli Stracci, collocata nel cuore di Napoli, tra il porto e il Maschio Angioino, di fronte a palazzo San Giacomo che del comune è la casa. In pochi minuti della Venere è rimasto solo qualche mucchietto annerito.
Eravamo in tanti per l’inaugurazione della Venere a Napoli il 28 giugno, voluta dal sindaco Gaetano Manfredi, affiancato dallo storico e critico Vincenzo Trione, consigliere per arte e musei.
Per festeggiare il maestro di Biella, che tre giorni prima aveva compiuto novant’anni, il sindaco aveva preparato una sorpresa, una torta gigante con la forma della sua scultura più famosa nel mondo e gli stracci di cioccolato.
Era felice Pistoletto, in testa il panama bianco, lo sguardo bambino con cui guarda le cose del mondo, si era lasciato fotografare con la moglie Maria, «è lei la mia Venere», davanti alla sua opera.
Il capolavoro dell’arte povera che ha immaginato alla fine degli anni Sessanta, dopo essersi portato a casa una scultura da giardino per reggere gli stracci utilizzati per pulire i suoi Quadri specchianti.
È diventata una icona contemporanea, una visione del nostro tempo, un laico altare votivo, la Venere di spalle che simboleggia la classicità perduta, chiamata a tenere insieme un cumulo di stracci, rifiuti, scarti, i frammenti di cui è composta la nostra civiltà, trasformati in opera d’arte, in una possibilità di bellezza.
Chi ha dato fuoco alla Venere voleva distruggere questa possibilità. Un atto politico, come politica è stata la decisione di installare la Venere in piazza, e politica è la scultura di Pistoletto.
A Napoli ancora una volta sospesa tra arretratezza e modernità, degrado e splendore, sudditanza e riscatto, angeli e diavoli. Negli ultimi giorni, nonostante il grande successo, si era sviluppato un tam tam via social, un appello a incendiare gli stracci, quasi che infastidisse la presenza anti-retorica della Venere che non giudica ma chiama il passante a entrare in discussione, come tutta l’arte di Pistoletto.
Dai Quadri specchianti, che fanno risuonare l'identità e svanire il narcisimo (mi sono tornati in mente mentre ascoltavo la ministra Daniela Santanchè in Senato vantarsi di guardarsi ogni mattina allo specchio e di essere contenta di sé), alla Grande sfera di giornali, cominciata nel 1966, una grande palla ricoperta dai fogli di cui sono composti i quotidiani, spinta di mano in mano da sconosciuti che portano le notizie altrove, a testimoniare la forza del giornalismo che trasmette a tutti le notizie, ma anche la potenza della manipolazione che trascina una falsa verità.
Love Difference, con il Mediterraneo specchio in cui si riflettono le diversità, e il segno dell'infinito, la Formula della creazione, l'incontro con l'Altro: io, tu, noi.
Anche la Venere bruciata nel centro di Napoli è la testimonianza di questo incontro difficile, quando lo si affronta senza protezione. La fatica, lo sforzo di tenere insieme quello che andrebbe perduto.
Cuciture che si strappano, nonostante l'impegno di politici illuminati. «La rifaremo», ha reagito il sindaco Manfredi. «La Venere è fatta per morire e rinascere», ha commentato Pistoletto. Chi ha acceso il fuoco voleva distruggere, ma in quelle fiamme all'alba, in quella Venere che brucia, brilla il ciclo della vita. In quella cenere, in quel nulla che resta e che tuttavia è degno di grandezza e di umanità.
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