Al centro dell’inchiesta i brogli elettorali alle regionali del 2020 e 2021 e alle comunali di Reggio del 2020. Tra gli indagati Giuseppe Neri, figura di spicco della destra meloniana in regione, e Giuseppe Francesco Sera, consigliere comunale del Pd. Il primo, scrive il gip, aveva «consapevolezza circa il ruolo della cosca nella raccolta dei consensi a suo favore, siglando patti di scambio»; il secondo, in campagna elettorale, «faceva visita personalmente al boss». Il ruolo di Daniel Barillà, genero del boss e dirigente dem locale
«Scrivi Neri. O scrivi “G puntato”». È Domenico Araniti, detto il Duca, a esortare la moglie a votare Giuseppe Neri, oggi capogruppo di Fratelli d’Italia al Consiglio regionale della Calabria. Il boss del clan attivo a Reggio, e più in particolare a Sambatello, viene intercettato mentre «indica la modalità di espressione del voto per il candidato sostenuto dalla cosca».
Oggi Araniti è agli arresti anche per aver «sfruttato la sua influenza al fine di condizionare e indirizzare il consenso elettorale della comunità di Sambatello verso esponenti politici». Con lui sono state arrestate dal Ros dei carabinieri altre tredici persone, a vario titolo accusate di associazione mafiosa, estorsione aggravata dal metodo mafioso, reati elettorali, corruzione per atti contrario ai doveri d’ufficio, falsità materiale e ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici. E di aver permesso al clan Araniti di condizionare, per l’appunto, l’esito delle regionali del 2020 e del 2021 e del Consiglio comunale di Reggio Calabria nel 2020, rispettivamente, a favore di Neri e di Giuseppe Francesco Sera, consigliere comunale del Partito democratico.
Per quell’intercettazione del “Duca” con la moglie, i giudici precisano: «Quest'ultima deciderà poi di esprimere la propria preferenza a favore del Pd (come già più volte ribadito, non in contrasto con la strategia di voto pianificata dalla cosca), conformemente alle sue idee politiche e criticando aspramente la scelta della cosca di votare Neri».
troppa paura per denunciare
Ma se la moglie del capocosca ha dunque la forza di rispondere “no”, sarà lo stesso per il resto della comunità? Nell’ordinanza il gip del tribunale di Reggio Calabria, Vincenzo Quaranta, scrive di un contesto sociale che allarma.
«Quello che emerge dalle intercettazioni è un quadro assai disarmante, se si considera che vi è una situazione ambientale in ragione della quale gli imprenditori sanno bene cosa devono fare per poter operare in "tranquillità" e sanno bene che non conviene denunciare in quanto la ‘ndrangheta non dimentica chi osa ostacolare la propria azione di assoggettamento, e mettono in atto ogni stratagemma pur di evitare di dover un domani deporre dinanzi alla Autorità giudiziaria sui fatti patiti», si legge nelle carte. «Le organizzazioni di ‘ndrangheta hanno ormai definito un codice comportamentale che va a connotare, inquinare, il tessuto sociale ed economico di determinate aree. Gli imprenditori sanno benne che se vogliono lavorare devono individuare il referente di zona e regolare con la ‘ndrangheta un preciso conto, che si trasforma inevitabilmente in un costo di impresa».
Un do ut des, insomma, inevitabile.
Il boss e il “controllo politico”
Grazie all’inchiesta della Dda di Reggio guidata da Giovanni Bombardieri e in base a cui, più in particolare, sette persone sono finite in carcere, quattro ai domiciliari e tre dovranno presentarsi alla polizia giudiziaria, a emergere sarebbe quindi tutto il potere della cosca Araniti. Un potere caratterizzato dal «controllo di attività economiche (finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto o il profitto di delitti), di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici».
Un controllo che si baserebbe pertanto anche sui legami politici, non solo su quelli imprenditoriali. Gli stessi Neri e Sera sono indagati. E, contro la decisione del gip che ha rigettato l’istanza di misura cautelare, i pm faranno appello.
Secondo l’accusa Giuseppe Neri, figura di spicco della destra meloniana in seno alla Punta dello Stivale, aveva «consapevolezza circa il ruolo svolto dalla cosca Araniti nella raccolta dei consensi a suo favore». In più «si sarebbe incontrato con i vari soggetti facenti parte del “gruppo di Sambatello”, siglando patti di scambio con cui garantirà la sua messa a disposizione per la distribuzione di incarichi e opportunità di guadagno».
Sera, invece, durante «lo svolgimento della sua campagna elettorale (…) farà addirittura visita personalmente ad Araniti Domenico», definendolo un «dovere».
Anche il sindaco dem di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà, oltre a Neri e a Sera, è indagato in quest’inchiesta della Procura di Reggio Calabria. Per il primo cittadino tuttavia non è stata chiesta alcuna misura cautelare causa mancanza di prove.
«Ho bisogno di una grande, grande mano», dice intercettato l’allora aspirante sindaco a Daniel Barillà, definito dai giudici longa manus degli Araniti. Una “grande mano” «per ottenere la vittoria al ballottaggio, ricevendo garanzie in tal senso e un piano di pronta attuazione». Perché è chiaro al clan: per appoggiare Sera, bisogna appoggiare Falcomatà. Quest’ultimo affida, poi, a una nota una dichiarazione. «Sono una persona onesta, chiarirò nelle sedi opportune».
I “brogli” elettorali
A venir fuori, non a caso, è anche la figura del già citato Daniel Barillà, genero del boss Domenico Araniti detto “il Duca”, nonché dirigente locale del Pd reggino, finito ai domiciliari. «Barillà - è scritto nell’ordinanza - non si limitava a sfruttare l'aura della cosca Araniti per raccogliere i voti promessi a Sera ma, dirigendo l'abile giostra dei rappresentanti di lista e degli scrutatori, soprattutto all'interno del seggio di Sambatello, si curava di far risultare i voti garantiti mediante il (quasi) perfetto sistema di brogli collaudato nella precedente tornata elettorale».
Un meccanismo che si sarebbe ripetuto sia per le elezioni regionali del 2020 che per le elezioni comunali reggine dello stesso anno 2020. «Barillà - si rileva nelle carte giudiziarie - si preoccupava in primo luogo di sistemare i propri e compiacenti scrutatori, in particolare nella Sezione 88, ricadente nel territorio di Sambatello, di individuare compiacenti rappresentanti di lista, con il compito di agevolare specifiche operazioni illecite da parte di taluni componenti del seggio elettorale, di reperire, anche ottenendo duplicati, le schede elettorali e i relativi documenti di identità di soggetti talora del tutto ignari di tali operazioni, di coordinare dall'esterno i compiacenti componenti del seggio e i soggetti che materialmente dovevano poi provvedere a compilare le schede e a fornire i documenti per la relativa registrazione sui registri elettorali».
E in cambio? Secondo la tesi accusatoria Daniel Barillà non ne sarebbe uscito a bocca asciutta. Dopo il voto, alla “longa manus” viene conferito l'incarico di professionista esterno per la redazione di un progetto di Piano per lo sviluppo infrastrutturale e della mobilità nell'Area dello Stretto.
«Devastante potere ‘ndranghetista»
“Favori” dunque al Pd e a Fratelli d’Italia. Una scelta che potrebbe sembrare contraddittoria. Ma dietro c’è una logica precisa, che non si basa sulla scelta dello «schieramento politico, ma su di una suddivisione calibrata del pacchetto di voti a disposizione della consorteria mafiosa, finalizzata ad accontentare, almeno all'apparenza, tutti i soggetti politici ritenuti utili».
Ciò che viene fuori è una visione che non promette speranze, riscatto per il territorio. «Esiste una sovrapposizione tra cultura sociale - si legge nell’ordinanza -, espressione di una parte della società civile, presente sui territori che controlla la cosca, e cultura mafíosa-ndranghetistica che non fa intravedere speranze per la liberazione del locale territorio dal distruttivo e devastante potere ‘ndranghetisti».
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