Sempre più in basso. La Ligue1, il massimo campionato di calcio francese, è sprofondato in una crisi globale che ne fa l’anello debole del sistema calcistico europeo d’élite. La recente ondata di attacchi agli arbitri, il cui ultimo episodio ha coinvolto l’ex tecnico milanista Paulo Fonseca, è soltanto l’ennesimo fronte di un’emergenza che tocca diversi aspetti e proietta una vasta ombra di discredito sul sistema del calcio francese. Su altri fronti la linea rossa era già stata oltrepassata.

Quello della violenza negli stadi era esploso con massima virulenza in coincidenza col ritorno del pubblico sugli spalti, dopo la parentesi della pandemia. E a seguire si è avuta l’interminabile crisi dei diritti televisivi, che si trascina dal 2020 e nelle scorse settimane ha toccato il punto più acuto, col conflitto aperto fra la lega professionistica (LFP) e DAZN. Questa somma di elementi fa emergere una prospettiva sempre più difficile da contestare: quella della crisi di sistema, che colpisce duramente il calcio francese. Un movimento che con grande generosità è stato inserito nel gruppo delle Big Five, le cinque leghe europee più ricche e potenti. E che invece proprio non riesce a tenere il passo delle altre quattro (Premier League, Bundesliga, Liga, Serie A), delle quali può essere nulla più che una sorella minore.

Assalto agli arbitri

La scena che si è verificata la scorsa domenica ha lasciato un shock: Paulo Fonseca, persona in genere garbata (pure troppo, secondo alcuni fra coloro che hanno vissuto il dietro le quinte della sua esperienza al Milan), ha perso la testa. Di più: l’ha praticamente appoggiata sulla fronte dell’arbitro Benoît Millot, con fare minaccioso.

L’episodio è avvenuto durante una fase concitata della gara che l’Olympique Lione, squadra allenata dal tecnico portoghese, ha giocato e vinto in casa (2-1) contro il Brest. L’espulsione che ne è seguita potrebbe costare una lunga squalifica a Fonseca (si parla di sette mesi).

ANSA

Ma il punto davvero cruciale della questione è che i fatti avvengono a una sola settimana dalle accuse sbracate del presidente del Marsiglia, Pablo Longoria, contro l’arbitro Jérémy Stinat. Che dopo la partita persa 3-0 dai marsigliesi in casa dell’Auxerre si è visto appiccicare l’etichetta da corrotto, e che nei giorni successivi ha subito minacce e intimidazioni.

Per Longoria è arrivata una squalifica da 15 partite. Inoltre, le due associazioni degli arbitri francesi hanno preannunciato querela. Pareva che quello fosse il punto più basso toccato dal calcio francese. E invece, soltanto una settimana dopo, siamo giunti alla quasi aggressione fisica di un arbitro da parte di un tecnico. L’impressione è che un argine stia pericolosamente cedendo.

Violenza senza limiti

Su un altro versante l’argine era saltato da parecchio: quello del tifo violento. Dopo la pandemia c’è stata una straordinaria accelerazione, come se un altro virus si fosse impossessato del calcio francese e avesse attaccato la parte più radicale del tifo da stadio. Anche in questo caso, come in quello della crescente aggressività verso gli arbitri, è come se fosse saltato l’argine protettivo che dovrebbe tutelare i protagonisti del calcio.

Il segno di questo cambiamento si è avuto ad agosto 2021, durante la gara fra Nizza e Marsiglia. In quella circostanza, dopo che erano già stati fatti oggetto di un tiro al bersaglio dalle tribune, i calciatori della squadra ospite sono stati l’obiettivo di una caccia all’uomo da parte del pubblico di casa che ha invaso il campo. Nella sua radicalità, l’episodio ha segnato un passaggio chiaro: gli stadi francesi sono sempre pericolosi e nessuno può sentirsi al riparo. Da allora la serie degli episodi di violenza si è incrementata. Fino a toccare un altro limite nel corso di una partita di categoria Under 20 nella periferia parigina, due settimane fa: con lo spogliatoio degli ospiti preso d’assedio nell’intervallo e qualcuno degli assaltati costretto a lanciarsi nella Senna.

EPA

Un povero business

Fra tanta violenza fisica e verbale trova posto anche l’isteria sul tema dei diritti televisivi. Praticamente un caos annunciato, messo in pausa ma non risolto la scorsa settimana. A metà febbraio DAZN, che è quasi esclusivista dei diritti sulla Ligue1 (8 partite su 9 di ogni giornata; la rimanente è trasmessa da BeIN, l’emtittente controllata da Qatar) ha deciso di saldare soltanto metà della rata dovuta per il mese di febbraio: 35 milioni di euro anziché i 70 dovuti. E per chiarire che non si trattava di inadempienza causata da ristrettezze finanziarie, DAZN aveva immobilizzato i restanti 35 milioni di euro in un conto corrente riservato, con impegno a sbloccarli quando fossero state risolte le cause della sua insoddisfazione. Che sono tre.

In primo luogo, c’è il basso numero di abbonati: fermo a 500mila, un terzo rispetto al milione e mezzo che l’emittente sperava di raggiungere. In secondo luogo, c’è la questione della lotta alla pirateria: tema sul quale DAZN si aspettava un’azione più fattiva da parte della Ligue de Football Professionnel. Infine, c’è insoddisfazione per la mancata collaborazione dei club nella produzione di contenuti “inside”, cioè tutto il contorno pre- e post-partita, ma anche i frammenti di infotainment infrasettimanale che dovrebbero arricchire un’offerta altrimenti scarna. Sono tre diversi capitoli nella lista delle doglianze presentata dal network televisivo e tutte quante chiamano in causa uno scarso impegno da parte della LFP; accusata di pensare soltanto a incassare senza preoccuparsi di dare una mano a sviluppare prodotto e business. Infine, la scorsa settimana DAZN ha pagato gli altri 35 milioni di euro. Ciò che soltanto momentaneamente ha chiuso la vicenda. Restano infatti toni e minacce difficili da sanare.

EPA

Da un tribunale all’altro

La LFP capitanata da Vincent Labrune aveva risposto che quelle di DAZN erano obiezioni pretestuose. E oltre a prendere l’impegno di attingere a fondi propri per anticipare ai club la somma non corrisposta da DAZN, aveva portato la controversia in tribunale. Il giudizio avrebbe dovuto essere pronunciato il 14 febbraio, poi rinviato al 28, quando l’emittente ha deciso di pagare i restanti 35 milioni. A ogni modo, proprio sul versante dei tribunali è partito il contrattacco di DAZN. Che si è rivolta ai giudici per chiedere un risarcimento da 573 milioni di euro, così suddivisi: 309 milioni per mancata chiarezza sulla qualità del prodotto e 264 milioni per violazioni accertate.

Lo scontro rimane aperto. E in tutto ciò il paradosso è che le due parti devono comunque trovare un modus vivendi. Il contratto firmato la scorsa estate, quando mancavano pochi giorni all’inizio del campionato, è valido fino al 2029. Il documento è condizionato da una clausola a tutela dell’emittente: se entro il 1° dicembre 2025 non verrà toccata la quota del milione e mezzo di abbonati (evento alquanto improbabile), DAZN potrà recedere dall’accordo. E a questo punto verrebbe da sospettare che per l’emittente possa trattarsi di una liberazione. Ma fino a allora sarà necessario tenere in piedi il rapporto con la LFP. Che dal canto suo, come svelato qualche giorno fa dal quotidiano L’Equipe, ha anche le mani legate. Si è saputo infatti di una clausola del contratto per cui, fino a quel fatidico 1° dicembre, la lega professionistica non può avviare trattative con altre emittenti. Una situazione senza uscita. Che è anche un avviso per le altre grandi leghe europee. Il business televisivo è in crisi, non soltanto in Francia. Meglio prepararsi.

© Riproduzione riservata