Un rigore parato da un portiere che non doveva essere lì. Sulla fine dell’esperienza di Roberto Mancini come allenatore della nazionale saudita incide uno degli effetti della globalizzazione sportiva: la caccia all’atleta eleggibile, titolare di altra cittadinanza ma selezionabile in virtù dei miracoli della dual citizenship, o grazie a provvedimenti di naturalizzazione ad hoc emessi da governi che agiscono come agenzie di reclutamento del talento.

L’episodio è avvenuto il 5 settembre, al minuto 79 di una partita valida per le qualificazioni ai Mondiali 2026; quando Marteen Paes, olandese che gioca nella MLS Usa col FC Dallas, ha respinto il tiro dal dischetto del saudita Al-Dawsari mettendo al sicuro il pareggio (1-1) per la propria nazionale. La nazionale dell’Indonesia. E se questo suona strano, pensate quanto lo è sapere che in quel momento Paes era l’undicesimo calciatore naturalizzato e messo a disposizione dell’Indonesia.

Quanto bastava per schierare una squadra intera composta da calciatori nati all’estero. Quasi tutti olandesi, per ragione di eredità coloniale fra i due paesi.

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Nemmeno un mese dopo quella gara giocata a Gedda, sono arrivati altri due olandesi a rafforzare i ranghi indonesiani. Uno dei due, Eliano Reijnders, è il fratello del milanista Tiijani Reijnders. Che dal canto suo ha optato per la nazionale olandese. A guidare questa operazione di caccia al naturalizzato è un nome noto al calcio italiano: Erick Thohir, l’uomo che nel 2013 ha comprato l’Inter da Massimo Moratti e ne è rimasto presidente fino al 2018, quando ha lasciato definitivamente il campo ai cinesi di Suning.

Adesso Thohir, oltreché ministro delle partecipazioni statali in carica, è presidente della federcalcio indonesiana (PSSI). Per lui, ogni nuovo naturalizzato è la dimostrazione di come la PSSI non stia lasciando alcunché d’intentato per aumentare la competitività del calcio nazionale. E pazienza se le avversarie si lamentano per la scelta di questo metodo sbrigativo.

A lui interessano i risultati, perciò agisce sul mercato dei naturalizzabili come se fosse ancora un presidente di club. Come se fosse ancora presidente dell’Inter, e dovesse accontentare le esigenze di allenatori fra i quali ha figurato anche Roberto Mancini.

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Caccia grossa

Le federazioni sportive nazionali non hanno tempo da perdere né tornei da mancare. Dunque scelgono la scorciatoia dell’acquisizione del talento all’estero, scandagliano un mercato delle opportunità come se fossero dei club. In fondo sono animali ibridi, cui tocca intestarsi missioni talmente diverse da risultare opposte. Devono promuovere la massima diffusione della loro disciplina sportiva sul territorio nazionale (missione sociale), ma al tempo stesso devono raggiungere risultati del più alto livello possibile (missione competitiva).

La prima delle due cose è una foresta che cresce in silenzio (sempre che cresca), la seconda è spesso una quercia che crolla con fragore. E allora bisogna scatenare la caccia al talento che mantenga elevata la competitività internazionale. Catturare capitale umano. E in fondo, cosa c’è di diverso rispetto alle politiche adottate da qualsiasi stato-nazione?

Tutti i governi nazionali si dotano di norme per catturare il talento straniero e acquisire maggiori possiblità nell’arena della competizione internazionale. Nello sport tutto ciò si fa soltanto in modo più esplicito. Persino con naturalizzazioni ad hoc, prive di qualsiasi nesso con gli ordinari procedimenti che regolano l’acquisizione della cittadinanza (ius sanguinis, matrimonio con cittadino/a nazionale, lunga residenza nel territorio nazionale).

Così la federazione cestistica spagnola ha potuto regalare alla sua nazionale lo statunitense Lorenzo Brown: ha provveduto un decreto firmato da re Felipe, a avallare le “circostanze eccezionali”. Un formula che maschera le esigenze di rafforzamento della competitività sportiva nazionale. Pochi mesi prima il cestista statunitense stava per essere naturalizzato dalla Croazia. La cosa non è andata avanti. Circostanze non troppo eccezionali.

L’ora dello scouting

La chiave di volta è un principio denominato eleggibilità, ormai trasformato in un passepartout per razziare talento. Soprattutto, si fa largo il criterio dello scouting, che è una via ibrida fra quelli che sono sempre stati gli opposti criteri per la selezione del talento: la formazione e il reclutamento.

Lo scouting è un’opera di setaccio dei talenti selezionabili, tramite costruzione di vasti data base cui attingere in un secondo momento. Su questo versante il calcio si è spinto verso i termini estremi. La Fifa ci ha messo del suo rendendo meno restrittivi, nel 2020, i requisiti dell’eleggibilità e i percorsi del cambio di nazionalità sportiva. E a dare scacco matto ha provveduto una sentenza del Tas che ha autorizzato il centrocampista svizzero Nedim Bajrami (ex Empoli e Sassuolo) a giocare per l’Albania. Ma le federazioni si muovevano già e nel tempo hanno affinato gli strumenti dello scouting. La stessa federcalcio albanese, nelle scorse settimane, ha annunciato che nel mese di novembre terrà delle giornate di selezione per giovani talenti di nazionalità straniera ma di origine albanese. Si lavora sul medio-lungo periodo, anche se la decisione di tenere la selezione a Tirana non incentiva.

In questo senso, fanno molto meglio i polacchi. In fondo alla home page del sito della federazione (PZPN) si trova un curioso link: “skauting zagraniczny”. Che tradotto significa “scouting estero”. In questi giorni il link si apre su una pagina vuota. Ma una ricerca mirata sul web permette di recuperare la vecchia pagina, in cui viene illustrato il progetto.

Negli anni recenti la PZPN ha messo in piedi una struttura per monitorare il talento estero naturalizzabile, da pescare a strascico nella vasta diaspora sparsa per il mondo. Vi figurano cinque aree geografiche (Polonia, Germania, Inghilterra, Irlanda e Usa) con relativi responsabili dello scouting. Fino a qualche tempo fa si trovavano anche le pagine dedicate ai singoli appuntamenti all’estero, utilizzati per fare effettuare i provini ai giovani selezionabili ma anche per creare un’atmosfera da riconnessione con la madrepatria.

Adesso quelle pagine non risultano visibili. Rimane invece il testo con cui i giovani naturalizzabili vengono invitati a creare un profilo personale nel sito della PZPN. E rimane anche l’invito, fatto a tutti i polacchi all’estero, affinché segnalino talenti di origine nazionale che possano essere d’interesse per la madrepatria.

Un’operazione capillare che segna il salto definitivo nell’era dello scouting come strumento per costruire una squadra nazionale competitiva. Con la definizione di un principio chiaro: la diaspora viene trasformata in un asset da sfruttare. Così succede nell’epoca della globalizzazione avanzata. Doveva essere la fine degli stati-nazione e invece è stata la premessa della loro risorgenza.

Gli stati naturalizzano, le federazioni sportive reclutano e si rafforzano. La nuova ricchezza delle nazioni sono le nazioni.

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