Stavolta anticipiamo i tempi, eleggiamone uno che è già stato condannato. Superba ironia, quella usata da Manuel Jabois, commentatore del quotidiano El País, per salutare l’ascesa di Rafael Louzán alla presidenza della Real Federación Española de Fútbol (RFEF). Un’istituzione che ormai ha fatto del fango l’elemento naturale, al punto da averci stabilito una linea di galleggiamento: fino al mento ok, da lì in su se ne discute.

La storia recente dell’istituzione è impietosa. Gli ultimi tre ex presidenti della RFEF sono stati messi fuori gioco, non attraverso l’ordinario rovescio di matrice democratica (leggi: sconfitta elettorale), ma da scandali o inabilitazioni. Sono diventati impresentabili o lo erano già. Sicché eleggere un presidente che l’etichetta di impresentabile se la porta in giro durante la campagna elettorale è stato come portarsi avanti col lavoro, un modo per cauterizzare lo scandalo prima che esploda.

Qui sta il punto: Rafael Louzán, il presidente benedetto dal voto dell’assemblea elettiva dello scorso 16 dicembre, ha già subito una condanna per abuso d’ufficio. Che per di più ha a che fare col calcio, dunque il curriculum è perfetto. Il risultato è che adesso la RFEF ha un presidente con asterisco: in carica ma col rischio di essere disarcionato già il prossimo 5 febbraio, dopo nemmeno due mesi in carica, quando il Tribunal Supremo emetterà la sentenza definitiva sulla sua vicenda giudiziaria. A quel punto la federazione spagnola dovrebbe eleggere il quinto presidente in sette anni.

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Il vizio di Moaña

La storia risale al tempo in cui il fresco presidente della RFEF era presidente, in quota Partido Popular, dell’amministrazione provinciale (Deputación) di Pontevedra, in Galizia. Oggetto della vicenda è la concessione di un finanziamento da 86.331 euro per le opere di sistemazione di un campo di calcio nella municipalità di Moaña. La sentenza pronunciata dal Juzgado n. 3 di Pontevedra nel febbraio del 2021 ha condannato Louzán a 2 anni di carcere e 8 anni di interdizione dai pubblici uffici.

La richiesta di appello ha prolungato l’iter giudiziario e permesso all’ex presidente della Deputación di mantenere la presidenza della sezione galiziana della RFEF. In quel momento il barone del calcio gallego non immaginava che la sospensione degli effetti della pena lo mettesse in pista per salire addirittura ai vertici del calcio del regno. E a dire il vero non se lo sarebbe aspettato nessuno di vedere questo grigio funzionario del sottogoverno PP come numero della RFEF.

Ancor meno ci si sarebbe aspettati di vedere un altro impresentabile ai vertici della federcalcio di Spagna, dopo lo spettacolo di tre presidenti di fila costretti a farsi da parte. Perché va bene perdere l’innocenza e abbracciare un disincanto che sconfina nel cinismo; ma la faccia e la reputazione bisognerebbe provare a restaurarle. E invece no, pare proprio essere scattato l’atteggiamento opposto: poiché ci siamo sputtanati, abbassiamo definitivamente l’asticella e rendiamoci la vita più semplice. Se tanto ci dà tanto, non osiamo immaginare il profilo dell’eventuale quinto presidente da eleggere dopo il 5 febbraio.

La galleria del disonore

Il primo della serie è stato Ángel Mária Villar, in retrospettiva un gigante rispetto a chi gli è succeduto. Come tutti i burosauri dell’era Havelange-Blatter, è scivolato in modo pressoché inerziale verso l’uso personalistico e familistico del potere. Eletto per la prima volta nel 1988, Villar è stato per ventinove anni  a capo della RFEF; un dato che, letto adesso, dà la misura di quale sconvolgimento sia maturato nel frattempo.

Durante il trentennio al potere è arrivato a essere vicepresidente Fifa e Uefa, con una presidenza ad interim della confederazione europea che ha coperto il periodo fra la caduta di Michel Platini e l’elezione di Aleksander Ceferin. Il suo regno si è chiuso in modo inglorioso nel luglio 2017 (due mesi dopo essere stato rieletto per l’ottava volta a capo della RFEF), quando è stato arrestato assieme al figlio Gorka con l’accusa di corruzione.

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Il successore di Villar è stato Luis Rubiales, eletto a maggio 2018 dopo essere stato presidente dell’associazione dei calciatori spagnoli (AFE). Era parso un deciso cambio di rotta. Perché sarà vero che anche Villar aveva un passato da calciatore, ma mandare a capo della RFEF il numero uno del sindacato dava l’idea di compimento di un progetto da potere operaio. Invece la gestione di Rubiales è finita cinque anni dopo nell’ignominia, persino peggio di quanto successo a Villar.

La vicenda del bacio inflitto a Jenni Hermoso, calciatrice della nazionale appena laureata campione del mondo, è stata soltanto l’episodio più eclatante di una presidenza già segnata da passaggi squallidi. Come quello sulla gestione affaristica della Supercoppa di Spagna spostata in Arabia Saudita; ma anche la storia del viaggio negli Usa con la presunta compagna di allora, la pittrice messicana Ana Lobeira, pagato con fondi della RFEF. Il tentativo di resistere in sella alla federazione nonostante le accuse gravi è stato per Rubiales il peggior modo di uscire di scena.

Per beffarda coincidenza, la vicenda del bacio proditorio lo porterà a processo in febbraio, giusto nei giorni in cui Louzán potrebbe essere costretto a lasciare la carica di presidente.

Fra Rubiales e Louzán c’è stato il breve interregno di Pedro Rocha (settembre 2023-luglio 2024), finito anch’esso ingloriosamente con sospensione inflitta dal Tribunale Amministrativo dello Sport e divieto di ricandidarsi, a causa di un abuso di potere. Che è quasi un peccatuccio veniale, viste le accuse mosse ai predecessori. 

Caos anche in campo

Invero, al pari di Rocha, anche Louzán non avrebbe dovuto candidarsi alla presidenza della RFEF. O almeno così sostiene il Consiglio Superiore dello Sport spagnolo, secondo il cui parere lo status di condannato avrebbe dovuto impedire a Louzán di entrare nell’arena elettorale.

Invece il neo-presidente sostiene che, fino a condanna definitiva, può godere dell’elettorato passivo. Una questione da sbrogliare in punta di diritto, sulla quale interverrà comunque il Tribunal Supremo con un colpo d’accetta. E a quel punto, magari, ci si renderà conto in modo definitivo della crisi morale del calco spagnolo. La federazione che fra cinque anni dovrà ospitare i mondiali (in cooperazione con Marocco e Portogallo) è a capo di un movimento che continua a esprimere sui campi da gioco valori tecnici eccellenti ma, al tempo stesso, ha perso la bussola del controllo etico-morale. E il caos si abbatte anche sul campionato.

La vicenda della mancata iscrizione di Dani Olmo, a partire dal primo gennaio, ha gettato nel caos non soltanto il Barcellona, ma l’intero torneo che perde un protagonista insieme a parecchia credibilità. Che il club blaugrana avesse preso una pessima china era noto da tempo. Eppure si è lasciato che continuasse a vivere al di sopra delle proprie possibilità. Adesso arriva il conto.

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