Su Meloni e il caso Giambruno: «Un’idea sacrificale della donna». La premier, la sinistra, il neoliberismo, Rubiales: parla la filosofa radicale che orienta il pensiero e i movimenti femministi da almeno mezzo secolo
La leggono le giovanissime. Se la contendono i media più autorevoli. Silvia Federici ha 80 anni e mantiene una voce in levare: che le si chieda di Meloni o della sinistra, del neoliberismo o di Rubiales, non c’è risposta senza passione. Filosofa, femminista e radicale, ha segnato gli anni Settanta con Wages against housework, gli Ottanta con Il grande Calibano, e tuttora orienta attiviste di ogni generazione. Trascende i tempi e i luoghi: vive a New York, è nata a Parma.
Questo venerdì interviene al festival Re-sister organizzato da Casa delle donne e Comune di Parma. Che impressione fa tornare nella città natale con Meloni al governo?
Per me è un’emozione essere qui, e tornare nella casa dei miei genitori, dove ora vive mia sorella. Non ho mai perso i contatti con Parma; solo la pandemia ha rarefatto i miei viaggi in Italia. Qui vedo le stesse tendenze che in Usa e a livello internazionale.
A quali tendenze si riferisce?
La commercializzazione dell’esistenza, la difficoltà crescente nell’usufruire di servizi sociali. Le morti sul lavoro e le discriminazioni sociali che si vivono qui, sono in continuità con quel che osservo negli Usa. Tra le tendenze positive, invece, c’è la circolazione di teorie e di pratiche: ci sono movimenti ecologisti e femministi con idee per il futuro.
Eppure la parola «futuro», e questa dimensione, sono quasi assenti dal discorso pubblico; ci si imbatte più di frequente nella nostalgia. E la sinistra pare in difensiva.
Sono del tutto d’accordo, e vale anche fuori dall’Italia. Infatti io non parlo dei partiti, progressisti: su quel fronte purtroppo è in corso una danza tra destra e sinistra, e su molti temi di fondo è difficile vedere differenze. Parlo di futuro perché ho in mente quel mondo di attivismo che cresce – pur ridotto all’invisibilità sui grandi media – e ha ben presente che serve un cambiamento radicale. Si guardi ai disastri climatici – in Grecia ho assistito a scene apocalittiche – o ai migranti in fuga in condizioni disperate. È il capitalismo a non dare futuro, a consegnarci un mondo desertificato.
La parola «radicale» torna spesso nel suo percorso; lei ha anche fondato la Radical Philosophy Association. Cosa vuol dire per lei?
Un pensiero radicale per me non è solo pensiero: è un modo di vita. Non sono una moralista, però ho un principio morale: non si può costruire la nostra vita sulla sofferenza degli altri. Inoltre non c’è attività creativa più soddisfacente che vivere per cambiare il mondo.
Mentre parliamo, Meloni è al summit demografico con i pro life.
Un mondo di un’ipocrisia spaventosa. Bisogna dire forte e chiaro che il pro life è una bugia: si fissa sulla vita nel pancione ma non si interessa che il bimbo abbia accesso a sanità, scuola, cibo. Questo non è aiutare le donne; è una forma di disciplinamento, delle donne. Poi, di fronte alla gente che muore nel mediterraneo nell’indifferenza, di che pro vita si parla? E di fronte alla mancanza di protezione sul lavoro, con le morti che ne conseguono?
Una premier donna rende l’Italia meno maschilista?
Ovvio che no. Meloni è a capo di un partito che annovera i “Fratelli d’Italia”. Le sorelle dove sono?
La sorella di Meloni è ora ai vertici di quel partito…
(Ride). Essere donna in sé non è sufficiente a definire un progresso politico. Sin dall’esordio del movimento femminista diciamo che la donna come soggetto politico è fondamentale. Corpo e sessualità sono terreni attraversati da politiche e rapporti di potere.
Cosa pensa delle parole della premier e di Giambruno sugli stupri? Meloni dice che bisogna «fare del proprio meglio per non mettersi in condizione diconsentire a questi animali di fare quel che vorrebbero».
È un concetto sacrificale della donna. Le raccomandazioni che Meloni attribuisce alle madri – non uscire tardi, non vestirti in un certo modo – disciplinano noi donne a comportarci come se avessimo la colpa del nostro corpo, invece di disciplinare gli uomini a non considerarci un campo di conquista.
La Spagna ha battezzato il suo #MeToo sul caso Rubiales e le dimissioni. È davvero questa la grande lotta femminista oggi?
Rubiales doveva scusarsi. Ma è ridicolizzante pensare che il femminismo sia questo. Perché non chiediamo che i ministri si dimettano quando tagliano fondi ai servizi sociali, o versano soldi per armi che uccidono le popolazioni? Perché non si dimette chi attua politiche urbanistiche che costringono la gente a vivere in strada? New York è piena di giovani con la testa sul pavimento. Se arrivi dal dottore con le metastasi perché non avevi soldi o tempo per le cure: voglio dimissioni.
Come rilegge le sue teorie sul lavoro domestico alla luce della pandemia?
Avevo articolato una prospettiva che oggi è fondamentale in tutti i movimenti femministi: il lavoro domestico non è “naturale”, è una forma di produzione capitalista, e sostiene qualsiasi altra attività. Marx andava riletto con questa prospettiva. Negli anni, questa prima articolazione sul lavoro domestico si è allargata alla riproduzione sociale in senso più ampio; oggi è impossibile pensare al femminismo senza pensare anche all’ecologia. Il covid ha reso visibile una crisi preesistente – donne che vivono boccheggiando tra ore di lavoro disumano, figli, casa – e ora già si prova a normalizzarla. Il sistema capitalista sta distruggendo un’enorme ricchezza sociale perché la sua logica ferrea è quella del profitto immediato. Ma le risorse non sono infinite.
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