«Se è vero che le condizioni delle carceri rispecchiano quelle della nostra democrazia, l’istituto penitenziario di Ancona racconta di una crisi che sembra senza via di uscita», denuncia la senatrice Ilaria Cucchi che ha visitato l’istituto. Lì si trova un detenuto che secondo la sorella è «in una condizione psicofisica disastrosa»: ecco la sua testimonianza
«Ho mio fratello in carcere, si chiama Seifeddine Ben Ahmed. Sono andata a trovarlo e l’ho visto in una condizione psicofisica disastrosa (difficoltà nel parlare, tremolio e saliva che gli scendeva della bocca). È entrato che pesava 96 chili e adesso dopo quattro mesi ne pesa circa 50».
Questo è un passaggio di una lettera inviata a Domani dalla sorella di un detenuto, recluso nel carcere di Ancona. Aouatef Ben Ahmed ha inviato una comunicazione anche al garante dei detenuti, territoriale e nazionale, nella quale ha lamentato condizioni insostenibili di detenzione, la presenza di lividi sul corpo e l’abuso di psicofarmaci.
Ben Ahmed è in carcere perché è stato condannato per rapina a quattro anni e quattro mesi. Il detenuto, neanche trentenne, ha più volte praticato atti di autolesionismo e, nelle scorse ore, è stato trasferito nuovamente all’ospedale perché ha ingerito alcune pile, come era già accaduto in passato.
L’ispezione di Cucchi
Sul caso è intervenuta anche la senatrice Ilaria Cucchi che si è precipitata in carcere per un’attività ispettiva riscontrando una situazione drammatica all’interno dell’istituto di pena. «Se è vero che le condizioni delle carceri rispecchiano quelle della nostra democrazia, l’istituto penitenziario di Ancona racconta di una crisi che sembra senza via di uscita. Le celle sono sovraffollate: dovrebbero contenere in totale 250 persone, ma sono più di 300 quelle rinchiuse», dice Ilaria Cucchi a Domani.
Il detenuto tunisino da settembre a oggi ha avuto 8 accessi al pronto soccorso, ha ingerito pile, cuffie e un accendino. Ha raccontato che vuole essere trasferito in Sicilia e ha negato di aver subìto violenze, ma è sottoposto a un uso massiccio di psicofarmaci.
«Sono usati in una quantità disarmante, per il medico della struttura non c’è alternativa e li assumono quasi tutti i detenuti. A colpire, più dei numeri, è la gravità degli episodi che si sono succeduti in neanche un’ora. Ho visto un detenuto ingerire un accendino a pochi metri da me, per essere trasferito. A un vetro di distanza, quello che separa i due corridoi del piano che ho ispezionato, ne ho visto un altro urlare in preda alla rabbia, continuando a sbattere con forza i cestini della spazzatura contro le pareti che lo circondavano. Il gesto della corda al collo che mi ha rivolto un detenuto parla, grida per tutti, per un posto che ha perso ogni possibilità di proiettarsi oltre le sbarre che lo delimitano», conclude Cucchi.
Carceri dimenticate
Una situazione comune a ogni carcere del paese, la situazione all’interno degli istituti di pena racconta i fallimenti del governo sul tema. «Il mese di dicembre si è aperto con due notizie. La prima è che il numero delle persone detenute ha superato nuovamente la soglia dei 60mila. Era da prima della pandemia di Covid-19 che ciò non accadeva. Il tasso di affollamento è di oltre il 125 per cento, i posti disponibili sono 48mila».
«La seconda notizia è quella dei suicidi, due, entrambi avvenuti l'8 dicembre. Il totale del 2023 è di 66 persone che si sono tolte la vita in carcere, il terzo dato più alto mai registrato da quando Ristretti Orizzonti tiene questa statistica (dal 1992)», fa sapere in una nota l’associazione Antigone.
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