- Tortura e lesioni aggravate sono i reati per i quali la procura di Modena ha iscritto nel registro degli indagati diversi agenti della polizia penitenziaria per i fatti accaduti nel carcere Sant’Anna, l’8 marzo 2020.
- L’iscrizione è avvenuta a fine 2021 e ha trovato conferma, qualche giorno fa, durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario. Alcuni detenuti hanno riconosciuto diversi agenti consultando un album fotografico che gli inquirenti hanno sottoposto alla loro attenzione quando sono stati ascoltati come persone informate sui fatti.
- L’indagine è nella fase dell’indagine preliminare, l’ultima proroga è stata richiesta e ottenuta dalla locale procura nel settembre scorso.
La procura di Modena ha iscritto nel registro degli indagati diversi agenti della polizia penitenziaria. Sono accusati di tortura e lesioni aggravate, per i fatti accaduti nel carcere Sant’Anna l’8 marzo 2020. L’iscrizione è avvenuta a fine 2021 e ha trovato conferma, qualche giorno fa, durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario. A quanto risulta a Domani, alcuni detenuti avrebbero riconosciuto diversi agenti, consultando un album fotografico che gli inquirenti hanno sottoposto loro quando sono stati ascoltati come persone informate sui fatti. Il procedimento è nella fase delle indagini preliminari, l’ultima proroga è stata richiesta e ottenuta dalla procura nel settembre scorso.
La rivolta violenta di Modena
Nel carcere di Modena, l’8 marzo 2020, i detenuti hanno inscenato una rivolta violenta che è stata contenuta dagli agenti della polizia penitenziaria, intervenuti per “riprendere” il controllo del carcere. Per i fatti accaduti in quelle ore la procura ha aperto tre fascicoli. Uno per le devastazioni compiute dai detenuti, un altro per la morte di nove reclusi e un ultimo per le violenze che i poliziotti penitenziari avrebbero compiuto durante e dopo la rivolta.
La prima indagine è ancora in corso. La seconda inchiesta è stata archiviata perché i detenuti sono morti, secondo i risultati delle indagini, per overdose di metadone e non sono emerse altre responsabilità. Contro l’archiviazione del fascicolo è stato presentato un reclamo, poi respinto. L’associazione Antigone, con l’avvocata Simona Filippi, ricorrerà alla Corte europea dei diritti dell’uomo, così come hanno già fatto i familiari di un detenuto, assistiti dall’avvocato Luca Sebastiani.
L’inchiesta relativa alle violenze sui detenuti è appunto nella fase delle indagini preliminari e su di essa c’è il massimo riserbo. Gli inquirenti stanno cercando di fare luce su quel giorno di violenza e lutto, ma le indagini sembrano procedere a rilento. Sono iniziate a seguito di diversi esposti presentati, ancora nel 2020, da sette detenuti che hanno raccontato quello che era successo nel carcere. Il fascicolo è nelle mani della magistrata Lucia De Santis e del procuratore Luca Masini.
Le testimonianze
Uno dei primi esposti è stato presentato, nel marzo 2020, dall’associazione Antigone e dagli avvocati delle vittime. Conteneva i racconti di alcuni detenuti. Tutti sostenevano di essere stati coinvolti, in maniera passiva e senza parteciparvi, alla rivolta dell’8 marzo, di aver assistito al pestaggio di alcuni detenuti poi morti e successivamente di essere stati trasferiti nel carcere di Ascoli Piceno. In queste fasi avrebbero subìto ogni tipo di violenza. Il loro racconto, con i diversi esposti presentati, sono confluiti in un fascicolo, modello 44, ovvero contro ignoti, che alla fine dell’anno scorso è diventato modello 21, a carico di persone note e identificate: sono gli agenti penitenziari indagati per lesioni aggravate e tortura.
Lo ha confermato nei giorni scorsi la procuratrice generale facente funzioni di Bologna, Lucia Musti. Durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario nel distretto di Bologna, ha aggiornato lo stato delle indagini partendo proprio da quella che ha riguardato i decessi dei detenuti.
«È stato aperto un fascicolo a modello 21 (indagati noti) a seguito delle numerose denunce presentate da detenuti/persone offese per il delitto di tortura le cui indagini (oggetto di proroga) proseguono nel più stretto e doveroso riserbo», ha detto Musti.
Ma cosa hanno raccontato i detenuti? «Noi stessi siamo stati picchiati selvaggiamente e ripetutamente dopo esserci consegnati spontaneamente agli agenti. Dopo essere stati ammanettati e privati delle scarpe ed essere stati picchiati, siamo stati fatti salire sui mezzi della polizia penitenziaria. Contrariamente a quanto scritto in seguito dagli agenti, non avevamo fatto alcuna resistenza», hanno sostenuto i detenuti.
A seguito delle violenze, i detenuti sono stati trasferiti nel carcere di Ascoli Piceno e in altri istituti. Anche qui i reclusi hanno denunciato di avere subìto un nuovo pestaggio così come nei giorni seguenti. Raccontano anche di un altro detenuto, ufficialmente morto per overdose di metadone, ma, stando alla loro ricostruzione, picchiato e al quale non sarebbe stato prestato il necessario soccorso.
Le vittime sono state ascoltate tra settembre e ottobre dello scorso anno, a 18 mesi dai fatti. Avrebbero riconosciuto alcuni agenti consultando un album fotografico che gli inquirenti hanno sottoposto loro. Dopo il riconoscimento ci sarebbe stata l’iscrizione nel registro degli indagati di alcuni agenti. Ma le domande sui detenuti morti, sulle modalità di trasferimento, sulla presenza delle telecamere (che emerge da alcune annotazioni di polizia) restano ancora senza risposta.
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