- Nella serie di errori e omissioni della direttrice se ne aggiunge un altro che imbarazza anche i vertici dell’amministrazione penitenziaria.
- Ha fatto accompagnare Cinzia Leone, una senatrice della repubblica, in visita al carcere, da Armando Schiavo, ex agente della guardia penitenziaria, presentato come suo compagno ed erroneamente identificato alla fine del tour conoscitivo come «autista della senatrice».
- Perché la direttrice, non indagata e non presente il giorno 6 aprile, ma che ha creduto alla tesi dei depistatori e ha detto che Lamine Hakimi era morto perché «strafatto», è rimasta al suo posto? A questa domanda la ministra Cartabia non ha mai risposto.
Elisabetta Palmieri è la direttrice del carcere “Francesco Uccella” di Santa Maria Capua Vetere dal 2017. Nonostante gli errori commessi in occasione del violento pestaggio del 6 aprile 2020 – a cominciare dalla difesa della catena di comando responsabile delle violenze e del successivo depistaggio – è rimasta al suo posto. Per la ministra Marta Cartabia è inamovibile. E lo scorso 13 luglio, quando la Guardasigilli e il presidente del Consiglio Mario Draghi hanno visitato il carcere, Palmieri era lì, in prima fila a presenziare.
Nei giorni scorsi, invece, quando nell’istituto è arrivata la senatrice del M5s, Cinzia Leone, ha trovato ad accompagnarla Armando Schiavo, ex agente della Guardia penitenziaria, presentato come compagno della direttrice ed erroneamente identificato alla fine del tour come “autista della senatrice”. L’esponente della maggioranza è inferocita. «La direttrice è fragile in ragione della sua malattia, ma quel carcere mostra una gestione opaca dove il dominus sembra Schiavo che ha mediato il mio incontro con la direttrice e anche la successiva visita. La ministra la sostituisca subito, non è accettabile un carcere a conduzione familiare», dice Leone che da tempo si occupa di condizione carceraria.
Il depistaggio
Quando erano state pubblicate lo scorso autunno, Palmieri aveva definito le nostre inchieste come «articolacci». Aveva parlato di olio bollente, spranghe, bastoni che i detenuti aveva utilizzato nelle proteste che avevano preceduto l’«orribile mattanza». Aveva raccontato che il magistrato di sorveglianza, Marco Puglia, era stato trattato malissimo dai carcerati contraddicendo le dichiarazioni rilasciate da lui stesso. Aveva detto che Lamine Hakimi, il giovane algerino morto abbandonato da tutti un mese dopo il pestaggio degli agenti di polizia penitenziaria, era morto perché voleva «strafarsi». Insomma, aveva creduto senza alcun dubbio alla versione di chi stava mettendo in atto il depistaggio.
Il nome della direttrice non è presente tra quelli dei 117 indagati per le violenze e le torture commesse il 6 aprile 2020. Lei quel giorno era assente per malattia, ma ha comunque difeso i colleghi escludendo che si trattasse di un pestaggio. Dopo gli arresti che hanno dimostrato la fondatezza delle denunce dei detenuti, in molti si aspettavano un passo indietro o, perlomeno, la sua sostituzione. Invece non è accaduto nulla.
Anzi qualcosa è successo. Il 13 luglio, accogliendo la ministra Cartabia e il primo ministro Draghi, la direttrice ha parlato di una «giornata speciale». Eppure tutto era già noto e pubblico da tempo. Non c’era niente di «speciale». Semmai tutto quello che è accaduto nelle ultime settimane poteva accadere molto prima. Resta quindi senza risposta la sesta delle 13 domande che abbiamo rivolto a Cartabia: perché la direttrice che ha creduto alla tesi dei depistatori è rimasta al suo posto?
Nessuna risposta nemmeno su un’altra grande questione: il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria è informato sulla situazione all’interno dell’istituto di pena? Secondo alcune fonti penitenziarie il carcere è in una situazione a dir poco emergenziale. I responsabili della struttura non entrano nei reparti, in alcuni casi è mancata la fornitura mensile ai detenuti. Durante una giornata in cui mancava l’acqua, le bottigliette sostitutive sono state consegnate solo grazie all’intervento di agenti arrivati dall’esterno. Un detenuto è rimasto per giorni senza la necessaria visita psichiatrica e a placare le sue proteste hanno provveduto gli agenti del gruppo mobile arrivato da Roma. «Alcuni reclusi dell’alta sicurezza non avevano mai visto la direttrice prima di un incontro di qualche mese fa», racconta una fonte all’interno del mondo carcerario campano. Insomma l’impressione è che l’istituto sia senza guida, senza organizzazione.
Il compagno e la senatrice
Ora Palmieri è sotto accusa per quanto accaduto alla senatrice Leone. Arrivata in visita al carcere, l’esponente del M5s è stata accompagnata da un uomo indicato dalla direzione. Leone, due collaboratici, il garante Emanuela Belcuore e il misterioso Cicerone hanno visitato prima il reparto Senna e poi il reparto Nilo, quello dove si è compiuto il pestaggio di stato.
Alla fine della visita sul foglio con i nominativi dei presenti è comparso il nome di Armando Schiavo con la dicitura “autista”. A quel punto la senatrice ha dichiarato di non avere l’autista e ha chiesto l’identità del soggetto. Dopo un imbarazzato silenzio, la commissaria davanti alle insistenze di Lego, ha detto che si trattava del compagno della direttrice, ex rappresentante della polizia penitenziaria in pensione da qualche anno. Schiavo era presente anche durante la visita di Draghi e Cartabia e viene inquadrato, dice la direzione del carcere, come articolo 17: volontario. Ma c’è dell’altro, dalle carte dell’inchiesta sul pestaggio del 6 aprile 2020 emerge che il numero di cellulare in uso alla direttrice è intestato proprio a Schiavo. «Ci sono relazioni agli atti che giustificano tutto il mio operato inviate agli organi superiori», dice Palmieri che non vuole aggiungere altro. Ora la ministra che non l’ha rimossa dovrà rispondere anche sul carcere a gestione famigliare.
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