Il tasso di sovraffollamento delle carceri italiane è al 107 per cento, oltre il 115 considerando i posti realmente disponibili. La recidiva è alta, con quasi il 20 per cento dei detenuti che è già stato in cella 5 o più volte, mentre sono diversi i procedimenti per tortura aperti.

I dati, contenuti nel rapporto dell’associazione Antigone, confermano che il sistema penitenziario italiano presenta gli stessi problemi di sempre e aspetta riforme annunciate ma mai attuate. A fine marzo nelle nostre carceri c’erano 54.609 reclusi. Al 31 dicembre 2021 quasi 20mila di loro (poco meno del 40 per cento del totale), dovevano scontare una pena residua pari o inferiore a 3 anni. Anche per questo Antigone chiede di allargare la platea dei detenuti che possono accedere alle misure alternative. Una soluzione che, nei fatti, potrebbe quasi “svuotare” gli istituti penitenziari.

Il carcere della morte

Quello fotografato dal rapporto è un carcere che ancora ospita madri con bambini, precisamente 19, nonostante annunci e impegni governativi. Un dato in diminuzione rispetto agli anni scorsi anche grazie alla pandemia che ha obbligato il sistema ad attuare norme emergenziali che hanno inciso positivamente anche su altri aspetti.

«Tale calo dimostra quindi come sia possibile ricorrere a soluzioni alternative, tramite percorsi di esecuzione penale che limitino l’ingresso di bambini in carcere e al contempo evitino la separazione dalle loro madri», si legge.

Ma i pochi numeri positivi scompaiono davanti a quelli che descrivono il carcere come un luogo di morte e violenze. In Italia cinque detenuti al mese si tolgono la vita in cella. Nel 2021 sono stati 57 quelli che si sono suicidati e il loro numero è in aumento. «Guardando all’andamento del dato nell’ultimo decennio, osserviamo come nei due anni passati il tasso di suicidi in carcere sia particolarmente alto. Purtroppo tale crescita sembra confermarsi anche nel 2022, essendo già numerosi i casi di suicidi avvenuti nei primi mesi dell’anno», sotto linea Antigone.

Da gennaio sono già 21 e un istituto in particolare preoccupa: cinque di loro sono morti nel carcere di Regina Coeli a Roma. Tre suicidi e due per cause ancora da accertare.

Numeri che sono anzitutto storie, molte delle quale raccolte nel rapporto “Morire di carcere”, elaborato da Ristretti Orizzonti. Come quella di un sedicenne che si è suicidato all’interno di una casa alloggio, in provincia di Caserta, dove era ospitato da qualche mese dopo aver compiuto una rapina.

Tortura e violenze

Ci sono i suicidi, ma anche le violenze. Alcuni processi sono in corso e la pubblica accusa contesta il reato di tortura. Nel rapporto vengono menzionati i procedimenti nei quali Antigone si è costituita parte civile. A partire da quello in corso a Santa Maria Capua Vetere, nell’aula bunker del tribunale, dove il giudice Pasquale D’Angelo non ha ancora chiuso l’udienza preliminare, iniziata lo scorso dicembre, che vede imputati 107 tra agenti, funzionari e dirigenti del dipartimento. L’inchiesta riguarda l’orribile mattanza compiuta il 6 aprile 2020 quando, muniti di caschi e manganelli, circa 300 agenti hanno fatto ingresso nel reparto Nilo del carcere Francesco Uccella massacrando per oltre 4 ore i detenuti inermi.

Ma non c’è solo il caso campano, che resta per agenti coinvolti e dinamica il più grave. Un altro processo riguarda le violenze nel carcere di San Gimignano, in Toscana, con cinque agenti imputati e altri dieci già condannati con rito abbreviato per tortura e lesioni aggravate.

Il caso Torino

C’è poi quello che vede a giudizio 25 agenti e funzionari del carcere di Torino (13 le persone offese). Tre degli imputati, il direttore del carcere, il comandante del reparto di polizia penitenziaria e un agente, hanno scelto il rito abbreviato che, in caso di condanna, riduce la pena di un terzo.

Dei 29 capi che compongono la richiesta di rinvio a giudizio, dodici riguardano proprio il reato di tortura. Nel rapporto vengono descritte alcune delle accuse contestate agli imputati. «L’atto configura un vero e proprio sistema di gestione penitenziaria fondato sull’uso della violenza e dell’intimidazione. Moltissimi gli episodi riportati. In uno si riporta come due agenti di polizia penitenziaria, dopo aver condotto in infermeria un detenuto, gli sputassero addosso mentre uno di loro pronunciava la frase “figlio di puttana, ti devi impiccare”, e lo colpissero con violenti pugni al volto a seguito dei quali l’uomo perderà un dente incisivo superiore. In un altro episodio dove si rinviene un trattamento inumano e degradante, si riportano schiaffi, pugni e calci inferti ancora al momento dell’ingresso in carcere a un detenuto, che poi veniva lasciato a dormire per alcuni giorni sulla lastra di metallo della branda senza materasso, impedendogli inoltre di partecipare all’ora d’aria nonché di andare dal medico», si legge nel dossier.

Alla presentazione del rapporto di Antigone ha partecipato anche il nuovo capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. «Mi piacerebbe mettere allo stesso tavolo mondi e realtà apparentemente distanti ma animati dalla voglia di risolvere i problemi attraverso una collaborazione proficua», ha detto Carlo Renoldi. Il carcere, in realtà, non necessita di tavoli, ma solo di risposte e riforme, auspicate anche dal presidente di Antigone, Patrizio Gonnella, e attese da decenni.

 

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