- La procura della repubblica di Santa Maria Capua Vetere ha chiesto il processo per 107 imputati delle violenze nel carcere ‘Francesco Uccella’ avvenute il 6 aprile 2020.
- La richiesta è arrivata nel corso dell’udienza preliminare in corso presso il tribunale sammaritano che si svolge davanti al giudice Pasquale D’Angelo. Uno degli imputati è stato prosciolto mentre altri due hanno fatto richiesta del rito abbreviato.
- Quel 6 aprile quasi 300 agenti penitenziari, provenienti anche da altri istituti campani, entrano nel carcere e per oltre 4 ore massacrano di botte i detenuti, una mattanza documentata dai video che Domani ha pubblicato lo scorso giugno. La procura contesta anche la tortura aggravata dalla morte di un detenuto che spinge il processo, in caso di accoglimento, davanti alla corte d’Assise del tribunale casertano.
La procura della repubblica di Santa Maria Capua Vetere ha chiesto il processo per 107 imputati delle violenze nel carcere ‘Francesco Uccella’ avvenute il 6 aprile 2020.
Quel 6 aprile quasi 300 agenti penitenziari, provenienti anche da altri istituti campani, entrano nel carcere e per oltre 4 ore massacrano di botte i detenuti, una mattanza documentata dai video che Domani ha pubblicato lo scorso giugno.
La richiesta è arrivata nel corso dell’udienza preliminare in corso presso il tribunale sammaritano che si svolge davanti al giudice Pasquale D’Angelo. Uno degli imputati è stato prosciolto mentre altri due hanno fatto richiesta di rito abbreviato.
I reati contestati agli agenti della polizia penitenziaria, comandanti, ex provveditore regionale sono, a vario titolo, tortura, falso, depistaggio, ma tra le contestazioni c’è anche la tortura con l’aggravante della morte di un detenuto. Questo spinge il processo, visto che il reato contestato prevede la pena massima di 30 anni, in corte d’Assise dove si celebrano dibattimenti per fatti di sangue ed efferati delitti. Una richiesta contestata dalla difesa che evidenzia come sia il giudice per le indagini preliminari che il tribunale del Riesame abbiano già bocciato la tesi della morte di un detenuto causata dalle botte subite.
Per la procura, la pubblica accusa è rappresentata da Alessandro Milita, Daniela Pannone e Alessandra Pinto, quei pronunciamenti riguardavano l’esigenza di misure cautelari e non inficiano sulla contestazione. Il detenuto morto, il 4 maggio 2020, è Lamine Hakimi, giovane algerino che viene pestato nel corso della perquisizione straordinaria del 6 aprile, viene ingiustamente messo in isolamento, riempito di botte, privato di cure e medicinali, prima del decesso il 4 maggio per l’assunzione di un mix di oppiacei.
L’orribile mattanza
Per la morte del giovane algerino i familiari di Lamine Hakimi si sono costituti parte civile grazie all’impegno di Antigone, sono rappresentati dall’avvocata Simona Filippi, che ha ottenuto il mandato dai familiari del giovane algerino brutalmente picchiato dagli agenti penitenziari e poi morto il 4 maggio 2020 senza medicinali e senza cure dopo un isolamento ingiusto e illegittimo.
La morte di Hakimi, il 4 maggio 2020, rappresenta una pagina buia che rende quel pestaggio organizzato nei confronti di detenuti inermi, una delle giornate più nere della storia del nostro paese.
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