Il dispendioso modello Albania usato per realizzare i centri per migranti ha seguito una regola soltanto: l’assenza di regole, o meglio la deroga al Codice degli appalti, quindi affidamenti diretti a pioggia, con minore possibilità di controlli adeguati sulle procedure. Una modalità, in realtà, che nel sistema penitenziario italiano è prassi consolidata.

Domani ha infatti scoperto che sono centinaia gli appalti senza gara nelle carceri, che oggi sono una polveriera pronta a esplodere a causa del sovraffollamento e del record di suicidi, 85 solo quest’anno. La maggior parte delle commesse senza gara riguarda l’acquisto di materiali edili, elettrici e arredi. Tanti altri invece fanno riferimento a lavori di manutenzione ordinaria: si va dalla tinteggiatura alle riparazioni di tetti e caldaie.

Tutti sono stati assegnati nell’ultimo anno con affidamento diretto, procedura veloce senza confronti competitivi. Come successo, appunto, per la realizzazione dei centri per migranti in Albania, nessuna gara, solo lavori a chiamata diretta, che, come ha calcolato questo giornale tramite i documenti ufficiali, sono stati pari a 60 milioni di euro.

Cifre che per le carceri sono inferiori, ma anche nei penitenziari l’affidamento senza gara sotto soglia sembra essere la regola.

Dai voli al gas

Il ministero della Giustizia pubblica gli atti sugli appalti senza gara. In alcuni elenchi figurano anche i biglietti per voli aerei. È il caso di San Vittore a Milano, dove questa voce di spesa, a giugno scorso, superava i 9mila euro. I costi più esosi riguardano le forniture di gas. I direttori di Cremona e San Vittore, per esempio, hanno firmato l’affidamento con la stessa società, il gruppo Hera Comm. Cambiano gli importi, che sfiorano i 500mila euro per il carcere milanese. Rebibbia, invece, aderisce alla convenzione per la fornitura di gas a inizio anno. La spesa ammonta a 800mila euro.

Tramite affidamento diretto avviene anche l’acquisto di medicinali. L’istituto di pena per minorenni ad Acireale, in Sicilia, compra più volte «farmaci non dispensati dal Sistema sanitario nazionale» e dà l’incarico a una ditta del luogo. Molti istituti penitenziari individuano le società sul Mepa, il mercato elettronico dove le amministrazioni pubbliche acquistano beni e servizi: consultano più preventivi o si rivolgono a un solo operatore economico. Spesso, però, non sono attive le convenzioni Consip, la società che fa capo al ministero delle Finanze. Succede soprattutto in due casi: l’acquisto di attrezzature generiche e la manutenzione ordinaria. Altre volte i direttori delle carceri procedono autonomamente. Ne è un esempio Pesaro, che non ricorre al Mepa per comprare il materiale per la lavanderia.

«Il nuovo Codice degli appalti semplifica gli affidamenti di importo inferiore a 40mila euro. I requisiti delle aziende sono verificati tramite un sorteggio a campione, ma sotto la soglia dei 5mila si dà addio al principio di alternanza a diverse imprese e cade l’obbligo di consultare il Mepa», spiega l’avvocato Giulio Delfino.

In teoria l’Anac (Autorità nazionale anticorruzione) e la Corte dei conti, tramite la Ragioneria di Stato, effettuano i controlli. «Gli affidamenti diretti sono ovviamente monitorati, perché possono gonfiare i costi all’amministrazione anche per migliaia di euro», afferma Delfino. Di solito però la Corte dei conti interviene su «cose più specifiche e rilevanti, come i mega contratti fatti dai provveditori regionali per il vitto e sopravvitto nei penitenziari», sostiene Mauro Palma, ex garante nazionale delle persone detenute.

Sugli appalti in affidamento diretto con un importo basso è raro che vigili un ente esterno. I direttori delle carceri sono responsabili unici del progetto (Rup), «emanano la determina e controllano tutte le fasi», afferma Palma, che fa notare la contraddizione, cioè il controllore è allo stesso tempo il controllato.

Rischio irregolarità

A volte questo tipo di procedure, però, può nascondere un rischio, e portare a irregolarità. A Taranto, per esempio, nel 2022, secondo la Guardia di finanza, una funzionaria della Casa Circondariale, che ricopriva il ruolo di direttrice dei lavori, avrebbe favorito l’affidamento diretto a un’impresa dietro compenso in denaro. L’incarico riguardava «l’impermeabilizzazione di alcuni locali». Secondo Palma, i lavori edili però in quanto attività del Mof (manutenzione ordinaria fabbricato) dovrebbero essere eseguiti dalle persone detenute, anche se spesso sono «fatti fare a ditte esterne».

Sul caso di Taranto è intervenuta anche l’Anac. L’oggetto della contesa, un «possibile conflitto d’interesse»: l’allora direttrice del carcere aveva stretto un accordo con una cooperativa, di cui faceva parte il cognato, per realizzare un laboratorio di pasticceria a scopo educativo. La convenzione fu annullata poco dopo. Inizialmente la Finanza nella sua informativa di aprile 2024 contestava l’abuso d’ufficio, poi però abolito dal governo. In ogni caso la direttrice è estranea alla vicenda degli appalti truccati.

«Di solito», sottolinea Palma, «nessuno vigila né sui lavori di manutenzione ordinaria né sugli accordi con le cooperative, che offrono un piano formativo per i detenuti». I direttori delle carceri possono assegnare gli incarichi tramite affidamento diretto alle cooperative, scegliendole sul Mepa. È il caso di Pavia, che ha stipulato una convenzione per un importo di 16mila euro circa, scegliendo una cooperativa su quella piattaforma con l’obiettivo di proporre un’offerta formativa ai detenuti.

«Sarebbe importante che i direttori attuassero dei controlli a valle sia per gli accordi con le cooperative sia per i lavori di manutenzione ordinaria», suggerisce Palma. L’avvocato Delfino riscontra «opacità» nelle procedure senza gara: «Gli enti e le istituzioni pubbliche possono assegnare in maniera fiduciaria i contratti, ma a danno della concorrenza. Gli attori dell’affidamento diretto sono unicamente la stazione appaltante e l’operatore economico. Non c’è nessun altro che rivesta il ruolo di arbitro».

Il magistrato antimafia Alfonso Sabella, quando lavorava al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, sollecitò un’indagine sulla gestione anomala degli appalti. Sul caso la procura di Roma aprì un’inchiesta. «Con la secretazione e il frazionamento era facile orientare le gare. Volevano superare la normativa europea che consente di assegnare i lavori a più di un’impresa», racconta Sabella. «Se parliamo dei piccoli appalti negli istituti penitenziari, ce ne sono di vari tipi. Lì ci possono essere imbrogli in qualunque modo, ma sono importi sotto la soglia dei 40mila euro, che vengono dati in affidamento diretto. Questo è un problema serio in tutta Italia, non solo nelle carceri».

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