Lo sciopero della fame di Rita Bernardini (Nessuno tocchi Caino) perché il governo intervenga sulla situazione di sovraffollamento delle carceri. Ad oggi nel 2024 i suicidi in carcere sono stati 45. Lunedì in aula la proposta di legge di Roberto Giachetti (Italia Viva)
Sulla scia delle lotte non violente del leader dei radicali Marco Pannella, la presidente di Nessuno tocchi Caino Rita Bernardini lunedì ha iniziato lo sciopero della fame e della sete.
«Uno sciopero non violento, radicale, non ricattatorio, volto a rischiare la vita nel senso di affermare la vita. E non rischiare la morte», ha spiegato ieri in conferenza stampa alla Camera Sergio D’Elia, segretario di Nessuno tocchi Caino. Uno strumento per chiedere al governo e al parlamento di affrontare il problema sistemico del sovraffollamento delle carceri, per cui l’Italia è stata condannata nel 2013 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, con la sentenza Torreggiani.
Per la Cedu lo stato italiano aveva violato l’articolo 3 della Convenzione che proibisce la tortura e i trattamenti inumani e degradanti, per le condizioni in cui erano costretti a vivere sette detenuti, in meno di quattro metri quadrati a testa.
«Stiamo raggiungendo quasi il 131 per cento di sovraffollamento, con delle punte del 230 per cento a San Vittore», ha spiegato D’Elia, «non lontani dal livello che ha portato alla condanna dell’Italia nel 2013 per il reato più grave che possa esistere in un ordinamento, quello di tortura».
Alla vigilia della giornata internazionale a sostegno delle vittime di tortura, il 26 giugno, D’Elia ha sottolineato un altro «dato drammatico, che riguarda i suicidi». Ad oggi nel 2024 i suicidi in carcere sono stati 45. Per questo Nessuno tocchi Caino ha promosso la proposta di legge di cui è primo firmatario Roberto Giachetti (Italia Viva), che aumenta i giorni di detrazione della pena, da 45 a 60 giorni, ai fini della liberazione anticipata, per ogni singolo semestre di pena scontata.
La proposta
Lunedì in aula è iniziata la discussione della proposta, ma la mancanza di interventi di rappresentanti della maggioranza è stata, per D’Elia, «deprimente e deludente». Il 17 luglio il testo dovrebbe essere votato. Se sarà così, Rita Bernardini riprenderà lo sciopero della fame e della sete, ha fatto sapere, dopo aver accolto le diverse richieste di sospenderlo temporaneamente. La radicale, nel progetto del ministro della Giustizia Carlo Nordio, avrebbe dovuto assumere il ruolo di garante dei detenuti, prima che gli fosse imposta la scelta di Felice D’Ettore, ex deputato di Forza Italia, passato a Fratelli d’Italia, senza alcuna esperienza pregressa nel settore.
Gli interventi
Gli interventi che hanno portato a ridurre la popolazione carceraria, dopo la condanna del 2013, sono stati quello della liberazione anticipata speciale, i rimedi risarcitori, «ma soprattutto», evidenzia Bernardini, «la sentenza della Consulta che aveva dichiarato incostituzionale la legge Fini-Giovanardi, che eliminava la distinzione tra droghe leggere e pesanti, grazie alla quale uscirono dal carcere circa 8mila detenuti».
Ed è di pochi giorni fa il rapporto dell’Associazione Coscioni da cui emerge che il 34 per cento dei detenuti è in carcere per la legge sulle droghe, quasi il doppio della media europea, al 18 per cento.
Le modalità con cui il governo sta rispondendo all’emergenza, sottolineano durante la conferenza stampa, sono di tipo militare. Il ddl Sicurezza a cui la maggioranza sta dando nuovo impulso prevede un nuovo reato di rivolta carceraria, che equiparerà le proteste violente con quelle non violente. «Il governo pensa di risolvere le violazioni di diritti umani introducendo un reato per chi non accetta di vivere in quelle condizioni?», conclude D’Elia.
Né questo decreto, né tantomeno quello annunciato da Nordio, per i promotori della proposta di legge, possono risolvere l’emergenza in corso. «Nel diritto penale non impedire un evento che si ha l’obbligo di impedire equivale a cagionarlo», sottolinea Maria Brucale, membro del direttivo di Nessuno tocchi Caino. C’è quindi bisogno, proseguono i membri dell’associazione, di riaprire la procedura a Strasburgo, per riportare la questione all’attenzione delle istituzioni sovranazionali.
La legge contro la tortura
La Cedu ha più volte condannato l’Italia per l’assenza del reato di tortura, entrato nel nostro ordinamento nel 2017 in una versione più blanda, dopo un travagliato iter parlamentare. Su quella legge, che il governo ha annunciato di voler modificare più volte, oggi si reggono diversi procedimenti, come quello di Reggio Emilia, in cui sono imputati dieci agenti di polizia penitenziaria accusati a vario titolo di tortura e lesioni ai danni di un detenuto.
Lunedì sono iniziati gli interrogatori degli agenti. Uno degli imputati ha preso le distanze dal comportamento dei colleghi che hanno incappucciato il detenuto con una federa e lo hanno colpito. Perché non ha denunciato? A questa domanda l’agente ha risposto che c’erano i superiori e le telecamere. Pensava fosse solo testimone e che non dovesse fare alcuna denuncia. È emerso anche un possibile precedente. Si è fatto cenno a un procedimento penale per un possibile caso analogo accaduto tra il 2020 e il 2021, ai danni di un detenuto che, però, non avrebbe riconosciuto alcun responsabile.
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