«Consentire a tutti pari opportunità significa anche operare per eliminare la disuguaglianza di genere: non è ammissibile che le donne mediamente guadagnino meno degli uomini per le medesime mansioni. In generale, esiste nel nostro paese un problema di riconoscimento della dignità delle persone e del loro lavoro, mal retribuito a causa di contratti precari e di lavoratori sfruttati».

È questo uno dei passaggi salienti della relazione introduttiva con la quale il cardinale Matteo Zuppi ha aperto oggi pomeriggio, 22 gennaio, i lavori del Consiglio episcopale permanente. L’arcivescovo di Bologna ha descritto un quadro sociale immobile nel quale crescono le diseguaglianze e si cronicizza la povertà.

All’interno di una situazione già di per sé drammatica, il cardinale ha messo in luce come le differenze di trattamento salariale a parità di lavoro svolto, fra uomo e donna, siano diventate inammissibili. Zuppi ha anche ricordato come vocazione della Chiesa sia l’unità dei popoli, per questo ha criticato le visioni nazionaliste e frammentarie e gli etnicismi che percorrono il dibattito pubblico.

Un plauso è stato invece espresso dal presidente della Cei per il raggiungimento dell’accordo, avvenuto lo scorso 9 febbraio, tra conferenza episcopale e «ministero dell’Istruzione e del Merito per il prossimo concorso degli insegnanti di religione cattolica. Questi insegnanti – la stragrande maggioranza dei quali sono laici – comunicano a scuola i valori dell’umanesimo cristiano. Sono i formatori delle prossime generazioni. A loro il compito ecclesiale e civile di educare alla pace, di educare alla legalità, di educare alla cultura, mostrando come il cristianesimo ha contribuito a fondare i valori di libertà e rispetto dell’altro, che sono alla base della nostra società».

La questione morale

Tuttavia, è al tema della pace e soprattutto alla questione sociale, che il cardinale ha dedicato la parte più fortemente legata all’attualità della sua relazione. «La questione sociale – ha infatti affermato – è sempre anche una questione morale e, oserei dire, spirituale. Nella nostra società si assiste a una divaricazione sempre più ampia tra chi è povero e chi è benestante, le disuguaglianze sono aumentate e c’è come una cronicizzazione della povertà. Lo si nota dall’accesso ai beni fondamentali come il cibo, i servizi sanitari e le medicine, l’istruzione soprattutto quella superiore. Il malessere dei poveri, che crea sacche di pericolosa depressione, deriva anche dalla consapevolezza che non c’è più un ascensore sociale che consenta di sognare un miglioramento».

In tale contesto, ha proseguito, «consentire a tutti pari opportunità significa anche operare per eliminare la disuguaglianza di genere: non è ammissibile che le donne mediamente guadagnino meno degli uomini per le medesime mansioni. In generale, esiste nel nostro paese un problema di riconoscimento della dignità delle persone e del loro lavoro, mal retribuito a causa di contratti precari e di lavoratori sfruttati».

«Se vogliamo essere profeti di speranza nella nostra terra – ha aggiunto il cardinale affrontando il nodo relativo al ruolo e alla funzione sociale e pubblica della Chiesa e del cattolicesimo in Italia – dobbiamo assumere il peso delle sofferenze degli ultimi, aiutando, nel vicendevole rispetto dei ruoli ma anche nella necessaria collaborazione, anche chi governa a riconoscere le priorità nelle decisioni che riguardano il bene di tutti».

Odio e violenza

Nella prima parte della sua introduzione Zuppi, ha toccato il tema dei conflitti che attraversano il mondo e dell’impegno profuso dalla Chiesa per fermarli. «La pace – ha detto –  è quello di cui l’umanità ha più bisogno oggi. Più volte abbiamo parlato di questo tempo di guerra. Ma dobbiamo farlo, perché è la realtà di oggi e proietta la sua ombra sinistra su tutti. Guardando al contesto internazionale, non possiamo non esprimere forte preoccupazione per l’escalation di odio e violenza che, in Ucraina, in Medio Oriente e in moltissime altre parti del mondo, sta seminando morte e distruzione. Il rumore delle armi continua ad assordarci; il male della guerra si allarga; la società è come assuefatta al dolore e chi parla di pace è come se gridasse nel deserto. Questo vuol dire che dobbiamo rassegnarci? Mai».

Il presidente della Cei ha quindi affermato che si sta realizzando l’accoglienza dei bambini ucraini, grazie alla Caritas, alla quale lui stesso aveva lavorato come inviato speciale del papa in Ucraina.

Sonnambuli 

Di cultura della pace, del dialogo, della comprensione reciproca, ha bisogno anche la Chiesa attraversata da troppe tensioni. «Le nostre Chiese – secondo Zuppi – devono abolire il linguaggio della discordia e della divisione, devono avere parole di pace, chiamando i fedeli a nutrire pensieri e sentimenti di pace». Il capo dei vescovi italiani, infine, ha affermato come non bisogna lasciarsi intimidire dal tempo di crisi che la fede sta vivendo in Italia, uno spaesamento che ha un suo riscontro sul piano sociale. «Spesso la speranza sembra offuscarsi. Magari è solo una sensazione. Forse un clima dovuto alle conseguenze del Covid - ha ragionato Zuppi - che ha toccato in profondità persone e rapporti. Questo, però, induce allo spaesamento di tante persone. Il Rapporto annuale del Censis sulla situazione sociale del Paese (2023) parla degli italiani come “sonnanbuli”: “Il portato antropologico della difficile transizione dalla grammatica trasparente di un mondo che presentava problemi risolvibili con competenza, impegno raziocinio, a un mondo reso opaco dall’incertezza”. Spaesamento, muoversi da sonnambuli in un mondo opaco, dove non si vede il futuro. Questo avviene un po’ anche nella Chiesa: un senso di declino, evidenziato da tanti indicatori negativi: i numeri decrescenti di vocazioni e praticanti, il diminuito rilievo della Chiesa. Il senso del declino si diffonde tra sacerdoti, cristiani, mentre una Chiesa troppo preoccupata, se non rassegnata, diventa poco attrattiva, soprattutto per i giovani».

E però, se questo è certamente un aspetto dello spaccato sociale ed ecclesiale del paese, «oggi la Chiesa è chiamata a essere sé stessa con animo aperto, cuore fiducioso e mente lungimirante: chiamata dal Signore, dalla sete di senso e di fede di tanti, dal disorientamento di molti, dal bisogno dei poveri, dalla solitudine orgogliosa e disperata di parecchi, dalle inquietudini. Non è solo il tempo della secolarizzazione, ma è anche il tempo della Chiesa! È il tempo della Chiesa, della sua forza di relazione, di gratuità. Non del declino, ma della vocazione a essere Chiesa di Dio! La Chiesa, con i suoi limiti, è un grande dono per noi e per l’umanità degli italiani».

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