Un monolocale in periferia a 200 euro a notte su Airbnb. Una stanza singola in centro a 900 euro. Milano è un modello delle difficoltà che la crescita comporta» dice l'urbanista Federica Verona
A Milano l’affitto di una stanza singola costa in media 626 euro ma arriva a 900 euro in zona ticinese, Porta Genova. Nel frattempo ci sono agenzie che, facendosi passare per privati, affittano su
A Milano l'affitto di una stanza singola costa in media 626 euro ma arriva a 900 euro in zona ticinese, Porta Genova. Nel frattempo ci sono agenzie che, facendosi passare per privati, affittano su Airbnb monolocali in periferia a 200 euro a notte: divano-letto in cucina, un certo squallore compreso nel prezzo. Arriva la settimana della moda (o del design, o della musica, o dei libri) e, a chiunque abiti a Milano con fatica, passa per la testa il pensiero di affittare la propria stanza su Airbnb, che può essere l'occasione per guadagnare mille euro in pochi giorni e pagare l'affitto.
Così si va a dormire sul divano di un amico mentre qualche sconosciuto abita nella propria stanza. In sostanza è uno dei modi per sopravvivere economicamente a Milano, turistizzarla, renderla città-evento, offrirla a caro prezzo a chi passa. Ma è anche quello che la sta portando ad essere sempre più proibitiva in un circolo vizioso che sembra solo peggiorare.
Italo Calvino ne La speculazione edilizia scriveva: «Il modo turistico di godere la vita, modo milanese e provvisorio». Era il 1957. Siamo ancora lì? È questo l'unico modello di abitare immaginabile nella seconda città italiana guidata dal centrosinistra?
Privato selvaggio
«Milano è un modello. Non solo di crescita ma anche delle difficoltà che la crescita comporta» dice Federica Verona, urbanista esperta di social housing e consigliera di amministrazione di Consorzio Cooperative Lavoratori, realtà promossa da Acli e Cisl.
«Manca un chiaro intervento delle istituzioni nella regolazione degli interventi privati. Le amministrazioni sono molto povere dal punto di vista economico, quindi hanno bisogno del privato. Ma se il pubblico non guida il privato, questo farà il buono e il cattivo tempo, proponendo stanze in studentati privati che partono dai 750 euro e arrivano a 1.300», continua Verona.
Non si tratta più di un disagio che riguarda solo la fascia sociale più bassa, ma anche quella media inizia non potersi permettere la città. Lo dimostra il movimento “Tende in piazza” nato a maggio scorso dagli studenti che hanno montato delle tende in piazza Leonardo Da Vinci, di fronte alla sede del Politecnico di Milano per manifestare contro il prezzo degli affitti e la carenza di residenze studentesche a prezzi calmierati.
«Non riguarda solo gli studenti. In primis perché chi oggi studia domani sarà un lavoratore che al primo stipendio guadagnerà più o meno come un operaio o un cameriere» aggiunge Verona.
Il divario
L'innalzamento vertiginoso dei prezzi delle case ha preso avvio a partire da expo. Il costo degli affitti è cresciuto del 40 per cento rispetto al 2015, mentre il reddito è cresciuto solo del 5 per cento. Si è affermata la tendenza alla valorizzazione di ogni metro quadro disponibile da parte di privati, senza un adeguato intervento della giunta Sala, che dopo il riaccendersi delle proteste di “tende in piazza” in seguito allo sgombero dell'ex cinema splendor, vuoto da 16 anni e occupato dagli studenti, ha promesso 600 posti letto in quello che il Comune ha chiamato “uno studentato diffuso”. Si tratta del recupero di appartamenti del patrimonio pubblico che sono da ristrutturare affittandoli a studenti a prezzi ridotti, tra i 250 ei 350 euro. In questa modalità l'offerta di studentati è del 5 per cento.
Insomma una risposta emergenziale a una domanda che non è un'emergenza, ovvero non è un problema emerso dal nulla, ma è il prevedibile risultato della finanziarizzazione degli immobili messa in atto nell'ultimo decennio, tutta rivolta a una popolazione “a breve termine ” , di passaggio e benestante.
Nella trasformazione da città produttiva a città attrattiva Milano non ha fornito risposte alla fascia sociale medio-bassa, che se pure per il Comune è meno interessante in termini di immagine e di marketing, è anche la vera linfa vitale e quella che permette a Milano di funzionare.
L'unica risposta sembra essere l'invito a spostarsi ai confini della città: Abbiategrasso, Bisceglie, San Donato Milanese. Sono però zona dove, se non si interviene con politiche che invertono la tendenza, si applicheranno le stesse regole che vigono in città, ovvero affitti proibitivi senza nemmeno un'offerta di servizi adeguati.
Si tratta peraltro di una risposta altamente esclusiva, che rende la città “modello” della crescita in Italia una città per ricchi o cosiddetti nomadi digitali. Ai primi la calma degli affitti non interessa perché sono anche quelli che detengono il patrimonio immobiliare. Ai secondi interessa poco, perché non vivono la città a lungo termine ma la fruiscono come esperienza, una città-evento più che luogo da abitare, e sono quindi disposti a pagarne il prezzo come si paga il prezzo di un concerto.
Intanto gli studenti fuori-sede non votano a Milano, i lavoratori più poveri vengono respinti fuori dal comune, e la fascia media cerca di barcamenarsi tra stipendi stagnanti e innalzamento del costo della vita galoppante.
«Forse è il momento, in questa Milano dove i privati hanno estratto tantissimo valore da quello che hanno costruito a partire da Expo, di chiedere loro alloggi popolari, alloggi per studenti, costruendo un piano strutturato. Bisogna smettere di considerare il disagio abitativo come un'emergenza e trattarlo come un problema che ha delle cause chiare e delle conseguenze problematiche», conclude Verona.
Le condizioni proibitive del mercato immobiliare milanese hanno aumentato le disuguaglianze: chi aveva di più ha guadagnato sempre di più e chi aveva redditi medi o più bassi ha finito per impoverirsi a livello reale, cioè è diminuito il suo potere di acquisto e il suo diritto all'abitare.
Le condizioni proibitive del mercato immobiliare milanese hanno aumentato le disuguaglianze: chi aveva di più ha guadagnato sempre di più e chi aveva redditi medi o più bassi ha finito per impoverirsi a livello reale, cioè è diminuito il suo potere di acquisto e il suo diritto all’abitare.
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