Condannati anche la compagna Elisabetta Tulliani, il fratello Giancarlo e il padre Sergio. Al centro dell’inchiesta la compravendita di un appartamento a Montecarlo, lasciato in eredità dalla contessa Annamaria Colleoni al disciolto partito di Alleanza Nazionale. Storace: «Dispiaciuto, ma lui con la politica non voleva più avere niente a che fare». Tutta la vicenda
Condanna a 2 anni e 8 mesi di reclusione per l’ex presidente della Camera Gianfranco Fini. Secondo i giudici della quarta sezione collegiale del tribunale di Roma l’ex segretario di Alleanza Nazionale ha autorizzato la vendita dell’ormai famosa casa di Montecarlo di proprietà del partito di cui era segretario, al centro dell’operazione di lavaggio di soldi sporchi da parte del re delle slot Francesco Corallo, la cui posizione è prescritta.
Dall’ex leader della destra un concorso “morale”, dunque, in una vicenda per cui i pm avevano chiesto nei suoi confronti 8 anni di carcere. Condanna a 5 anni, inoltre, per l’ex compagna di Fini, Elisabetta Tulliani, e condanne anche per i familiari di quest’ultima: il fratello Giancarlo (6 anni) e il padre Sergio (5 anni). Per tutti l’accusa è appunto di riciclaggio.
Fini, l’unico tra gli imputati a essere presente in aula, difeso dagli avvocati Michele Sarno e Francesco Caroleo Grimaldi, ha commentato la decisione dei giudici con poche parole: «Per giungere a questo risultato ci sono voluti setti anni. Questi sono i tempi della giustizia in Italia».
Alla domanda relativa alla carriera politica, innegabilmente frenata dal processo che l’ha coinvolto, Fini preferisce non rispondere. Ma ci pensano i suoi legali. «Questo processo ha distrutto un uomo visionario, che stava dando vita a una destra illuminata, una destra che aveva iniziato a tessere grazie a lui rapporti anche con Nancy Pelosi. In appello ci batteremo per la completa assoluzione».
La vicenda
Più di quindici anni fa, a luglio 2008, Alleanza nazionale ha venduto per 300mila euro un appartamento di Montecarlo, in Boulevard Principesse Charlotte 14. L’immobile era stato donato al partito di Fini dalla contessa Anna Maria Colleoni e poi era stato acquistato da Giancarlo Tulliani attraverso società off-shore.
Il procedimento, originariamente, vedeva anche coinvolti il già citato imprenditore catanese Francesco Corallo, diventato miliardario grazie alla concessione statale per gestire il gioco d'azzardo legalizzato, e l’allora parlamentare del Pdl Amedeo Laboccetta. Come si diceva per i due, lo scorso 29 febbraio, è scattata la prescrizione delle accuse.
Il vecchio impianto accusatorio ipotizzò il riciclaggio in merito al denaro impiegato per l'acquisto della casa: il denaro sarebbe stato reimpiegato dalla famiglia Corallo, attiva nel settore delle videolottery, in attività finanziarie a cui avrebbero partecipato anche i Tulliani.
In altre parole gli indagati mettevano in atto, evadendo le tasse, il riciclaggio di centinaia di milioni di euro. Quel fiume di denaro, una volta ripulito, sarebbe stato utilizzato da Corallo per attività economiche e finanziarie ma anche, sempre per gli inquirenti, in operazioni immobiliari che hanno coinvolto i membri della famiglia Tulliani.
Da qui gli accertamenti sull’immobile di Boulevard Principesse Charlotte 14, nel principato di Monaco, finito nella disponibilità di Tulliani che oggi vive a Dubai. Secondo la procura, Fini sarebbe stato a conoscenza dell’origine illecita del denaro, e avrebbe consapevolmente deciso di vendere la casa di Montecarlo alle offshore di Tulliani.
In altre parole non poteva non sapere.
Parenti serpenti
Ma l’ex leader di An, affermando di aver autorizzato la vendita della casa non sapendo cosa vi si celasse dietro, ha sempre sostenuto di essere stato “ingannato” dai Tulliani, con Elisabetta che in una delle udienze ha al contrario “scaricato” il fratello Giancarlo, rilasciando delle dichiarazioni inequivocabili: «Ho nascosto a Fini la volontà di mio fratello di comprare la casa di Montecarlo. La provenienza di quel denaro, che ero convinta fosse di mio fratello rappresenta una delle più grandi delusioni della mia vita. Spero di avere dato con questa dichiarazione un elemento per arrivare alla verità».
Con la sentenza di oggi pare così chiudersi il primo atto di una vicenda durata quasi dieci anni: iniziò non a caso nel 2008, nello stesso periodo in cui il rapporto tra Fini e Berlusconi si incrinò tanto che il primo uscì dal Pdl e fondò Futuro e Libertà. Il processo sulla compravendita opaca, al contrario, ha preso avvio solo nel 2018, rimanendo fermo per tre anni. Storie dalla Seconda repubblica.
Le reazioni
Mentre il legale di Giancarlo e Sergio Tulliani, Manlio Morcella, ha già depositato una memoria in cui chiede l’annullamento del processo dalla fase Gup «perché il pubblico ministero non era competente», commenti sulla condanna di Fini arrivano anche dai leader di destra, vecchi “compagni” di Fini.
«Sono umanamente dispiaciuto - dice Francesco Storace - Ma non credo che questo processo abbia distrutto Fini. Lui con la politica non voleva più avere niente a che fare. Per scherzare recentemente gli ho chiesto se volesse candidarsi alle Europee, mi ha risposto che ormai potrebbe concorrere solo alle Olimpiadi».
In ultimo, da Fini nessun commento sulla contessa che lasciò in eredità la casa ad An. A questo proposito nell’aula di giustizia in cui si è celebrato il processo all’ex leader della destra qualcuno tra i difensori degli imputati ha cercato di sdrammatizzare: «La contessa nel testamento chiedeva che i nuovi proprietari della casa si sarebbero dovuti prendere cura dei suoi gatti, così poi non è stato. Questione di karma».
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