- Le nuove carte dell’inchiesta su Luca Di Donna, ex socio di Giuseppe Conte indagato per traffico di influenze in merito ad affari sulle mascherine e test molecolari anti-Covid, aprono nuovi spaccati sulla presunta associazione a delinquere.
- I militari, citando intercettazioni tra avvocati e business man, segnalano come Di Donna avrebbe infatti «acquisito potere e potuto condurre interventi che hanno portato un arricchimento economico per tutti i sodali» del gruppo criminale, dopo che una persona (cioè l’ex premier Conte) si è affermata «sotto il profilo politico».
- «Sarà lui il referente di Conte nel M5s». «Il professore è aviduccio, ma ora ci serve». La mail di Fella a Bertolaso: «Aiutami tu, Arcuri è sfacciato».
Le nuove carte dell’inchiesta del nucleo investigativo dei carabinieri che ha indagato su Luca Di Donna, ex socio di Giuseppe Conte indagato per traffico di influenze in merito ad affari sulle mascherine e test molecolari anti-Covid, aprono nuovi spaccati sulla presunta associazione a delinquere. E su quello che gli investigatori definiscono «il sistema Di Donna».
I militari, citando intercettazioni tra avvocati e business man intercettati per mesi, segnalano come l’avvocato di stanza nello studio Alpa avrebbe infatti «acquisito potere e potuto condurre interventi che hanno portato un arricchimento economico per tutti i sodali» del gruppo criminale, dopo che una persona (cioè l’ex premier Conte) si è affermata «sotto il profilo politico: da quel momento le porte della pubblica amministrazione si sono aperte».
Modello Prof
Di Donna è indagato dalla procura di Roma insieme ad altre 11 persone, tra cui Gianluca Esposito, Valerio De Luca e Pierpaolo Abet. Questi ultimi due, intercettati, mettono a un certo punto in contrapposizione quello che definiscono il “Modello Prof” (cioè quello di Di Donna, ordinario alla Sapienza) con uno che vogliono sviluppare in proprio, che chiamano “Team”.
«Devi capire che a questi gli è cambiata la vita, si sono trovati da un giorno all’altro da sfigato a fare il fenomeno» dice De Luca al sodale. Abet: «E stanno a sfruttare la situazione!» De Luca aggiunge: «Hanno capito che la gente gli va a chiedere le cose. Cioè non li devono cercare, ci vanno! Lui dice che è lui, è il suo nome che invece dà valore alle cose» Poi consiglia all’amico come bisogna comportarsi in presenza del fedelissimo dell’ex premier: «Devi partire dal presupposto che chi ha il potere lo vuole esercitare, e devi accettarlo. In termini pratici di dirgli che è bravo, che è più bravo lui, che è più fico lui».
Peccati e vanità
De Luca con Di Donna fa affari d’oro, ma al telefono lo definisce «uno aviduccio...non è che siamo amici: la categoria dell’utile è quella che regola i nostri rapporti». Le cose funzionano grazie al poderoso sistema relazionale dell’avvocato, ma De Luca, numero uno dell’associazione Task Force Italia e Universal Trust, sta già pensando come bypassarlo in futuro. La missione di De Luca è quella di entrare in contatto con funzionari pubblici, in particolare del ministero dello Sviluppo, «per ottenere dagli stessi» scrivono i carabinieri «provvedimenti favorevoli alle ditte che ad essi si rivolgono».
Come contattarli? Attraverso convegni e seminari della sua Task Force Italia: «Noi li coinvolgiamo con una scusa per farli chiacchierare e dargli 15 minuti di visibilità, poi ce lo agganciamo noi», dice all’amico. E Abet: «Ma infatti! Abbiamo questo specchietto per le allodole, di dare visibilità a gente che magari è qualificata ma vive nell’ombra no? E a quel punto si crea un legame». De Luca: «La vanità è veramente, come nel film “L’avvocato del diavolo”, è “il mio peccato preferito”».
«È il referente di Conte»
De Luca è intercettato anche quando discute con Di Donna su come devono farsi pagare alcune fatture da Adaltis, l’azienda che secondo i magistrati di piazzale Clodio li ha indebitamente retribuiti (insieme a Esposito) con centinaia di migliaia di euro per una presunta mediazione illecita (in quanto basata su relazioni personali con pubblici ufficiali della struttura di Arcuri). Un deal che avrebbe permesso alla ditta di incassare commesse per circa 3,2 milioni di euro. Un’operazione ha cui avrebbe partecipato anche Lorenzo Gragnaniello, napoletano e collaboratore di Adaltis, che più volte si incontra con Di Donna.
Gragnaniello, anche lui ascoltato di nascosto dai militari, lo scorso il 21 luglio uscendo dallo studio dell’allievo di Alpa chiama un dirigente della Adaltis sintetizzandogli l’incontro con De Luca e Di Donna appena avvenuto. «Lui è confidente, gli hanno assicurato che entro quest’anno qualcosa si fa... ha ribadito che nell’indice di gradimento siamo in una posizione molto alta». L’11 agosto aggiunge: «Di Donna comunque ora è il referente di Conte per quanto riguarda la ristrutturazione del partito... ha avuto questo incarico, quindi di conseguenza sarà pure impegnato politicamente... io lo chiamerò a questo punto per dirgli “andiamo su casi specifici”, quando mi serve ti chiamo “on demand”».
Domani ha sentito l’entourage di Di Donna, che esclude qualsiasi partecipazione alla riorganizzazione del Movimento stelle, né ipotesi, già ventilate dal Fatto Quotidiano qualche mese fa, che l’amico potesse essere promosso da Conte capo della costituenda scuola di formazione politica del M5s. Insomma, quelle di Gragnaniello sarebbero solo «chiacchiere al vento».
Lo sfogo
Il lavoro degli uomini del nucleo investigativo dei carabinieri comandato dal tenente colonnello Dario Ferrara evidenzia anche altri dettagli inediti dell’inchiesta. In primis sulla genesi della stessa. Qualcuno tra gli indagati ipotizza da giorni manovre oscure organizzate da manine sapienti per incastrare Di Donna e inguaiare indirettamente Arcuri (non indagato) e Conte, anche lui solo “trafficato”. Tutto, però, sembra essere partito da uno sfogo di Mattia Fella, socio del super testimone dell’accusa Giovanni Buini, a un ufficiale dei carabiniere suo conoscente, Alessandro Amadei.
Fella, che con Buini aveva provato senza successo a vendere 160 milioni di mascherine ad Arcuri nel maggio del 2020, era rimasto lo scorso dicembre impressionato dalle risultanze delle prime inchieste giudiziarie sui business dell’ex giornalista Mario Benotti con la struttura commissariale, e aveva deciso di raccontare le sue disavventure con la struttura commissariale e Di Donna all’autorità giudiziaria.
Una volta confidati i sospetti su possibili illeciti ad Amadei, il militare scrive un’annotazione di polizia che sintetizza il colloquio e che finisce – il giorno della vigilia di Natale - sulla scrivania dei magistrati romani Paolo Ielo, Fabrizio Tucci e Gennaro Varone. I quali chiamano a deporre, nelle ore successive, sia Fella sia Buini.
Ai pm Buini dichiara ai pm di essere entrato in contatto con Di Donna ed Esposito per chiedergli aiuto per piazzare mascherine «a prezzi calmierati» alla struttura commissariale e alla Federfarma, cliente finale dell’imprenditore. E come gli stessi due legali – per la loro mediazione con l’ente – gli propongono un accordo che prevede a loro favore una ricca percentuale. Quando Buini decide di non accettare, salta «in singolare concomitanza» dicono i magistrati anche tutti i deal tra Buini e la struttura commissariale: agli atti l’imprenditore consegna una mail dell’11 maggio 2020 di Antonio Fabbrocini, ex braccio destro di Arcuri, in cui il dirigente chiarisce al commerciante non solo che «per sopravvenute mutate esigenze della struttura commissariale la stessa non procederà all’acquisto delle 500mila mascherine già consegnate, che verranno pertanto immediatamente restituite alla società con oneri e spese a carico della struttura stessa», ma conferma pure «la rinuncia a future consegne di ulteriori mascherine».
Nessuna spiegazione sui motivi del dietrofront, seppure è possibile che la struttura fosse entrata in allarme avendo saputo che il 6 e il 7 maggio l’azienda di Buini aveva avuto una visita dei Nas (che nulla però aveva rilevato) e una perquisizione della Guardia di Finanza.
Arriva Bertolaso
I carabinieri allegano agli atti i contatti telefonici avvenuti tra Di Donna e Arcuri (tra il 5 e il 15 maggio se ne contano 22, in gran parte sono tentativi di chiamata e sms), e pure un interessante scambio di messaggi tra Fella ed Esposito: quando Buini manda una pec a Di Donna per ritirare il mandato da poco sottoscritto, Esposito si arrabbia: «Caro Mattia mi spiace molto quello che ci avete fatto. Non si agisce così peraltro senza farmi neanche una telefonata. A buon rendere», scrive. E Fella, di risposta, ammette: «Non mi pare di aver fatto niente di strano mandando una revoca a un mandato che non ha senso. Quello che ti avevo chiesto era un appuntamento con Arcuri. Giovanni (Buini, ndr) è venuto due volte da Perugia a Roma e non è accaduto niente di quello per cui ci eravamo parlati, ti ho telefonato e ti ho detto che a questo punto avremmo trovato altre strade».
Strade che Fella e Buini (ad oggi non indagati) trovano presto: se Di Donna ed Esposito sono troppo esosi e poco efficienti, i due imprenditori per entrare in rapporti con Arcuri tirano in ballo direttamente Guido Bertolaso, allora collaboratore della Regione Lombardia e amico di Fella da tempo. «Nessuna raccomandazione», dice ora Bertolaso. «Ho solo detto ad Arcuri che Buini poteva forse aiutarlo con le mascherine». C’è però un’altra mail, del 20 maggio 2020, di Fella a Bertolaso. Il primo tiene aggiornato l’ex capo della protezione civile sul contenzioso con Arcuri: «Se ti viene in mente qualche idea per poter incontrare l’Arcuri sarebbe la migliore soluzione, sono sicuro che seduti a un tavolo possiamo trovare una soluzione. Per quanto il soggetto possa essere sfacciato non penso che alla luce dei fatti sia interessato a ricevere un esposto penale e civile».
Dopo sei mesi, scatta la denuncia.
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