- Nel caso Hasib restano ancora molti punti oscuri. Per esempio, perché il 25 luglio scorso gli agenti di polizia sono entrati a casa del disabile sordomuto senza un mandato di perquisizione?
- Dopo molto silenzi, durati un giorno intero, la procura ha fatto chiarezza su un dato ormai assodato: ha ammesso che non c’era alcun ordine dei pm per entrare a casa di Hasib.
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Come anticipato da Domani, già alcuni testimoni sono stati sentiti da chi indaga. In particolare la vicina di casa, che si trovava sul balcone e ha sentito il tonfo provocato della caduta di Hasib dalla finestra. Un’altra figura chiave di questa storia potrebbe essere il titolare di un bar di Primavalle, citato in un’indagine sulla ‘ndrangheta.
Nel caso Hasib Omerovic restano ancora molti punti oscuri. Per esempio, perché il 25 luglio scorso gli agenti di polizia sono entrati a casa del disabile sordomuto senza un mandato di perquisizione?
Dopo molti silenzi, durati un giorno intero, la procura ha fatto chiarezza su un dato ormai assodato: ha ammesso che non c’era alcun ordine dei pm per entrare a casa di Hasib.
E allora qual è il motivo della visita dei poliziotti che si è trasformata in un incubo per l’uomo, tanto da rifugiarsi in camera e da lì finire in strada in una pozza di sangue? Hasib si è buttato o è stato spinto incautamente? E ancora: perché sulla scena c’era un manico di scopa rotto e un lenzuolo insanguinato, poi sequestrati dai magistrati di Roma che indagano sul volo di Hasib?
Come anticipato da Domani, già alcuni testimoni sono stati sentiti da chi indaga. In particolare la vicina di casa, che si trovava sul balcone e ha sentito il tonfo provocato della caduta di Hasib dalla finestra: «Ha sentito la necessità di urlare ad alta voce avvisando tutti che l'uomo a terra era sordomuto e che non poteva comprendere le rassicurazioni che tutti cercavano di dargli», si legge nella denuncia presentata dai legali della famiglia.
Questo particolare rivela che probabilmente nessuno dei presenti era a conoscenza della disabilità e della fragilità di Hasib.
Eppure un’altra conoscente di Hasib parla a Domani e spiega: «Lo incontravo in strada, girava sempre con un carrello, facevamo fatica a comunicare, ma si faceva capire. Lui ogni tanto si lamentava dei poliziotti che lo fermavano vicino ai cassonetti. In quartiere girava la storia delle presunte molestie, con me non è mai successo niente, ma sono cose che mettono paura», dice. Questo certifica che i poliziotti fossero a conoscenza delle difficoltà del giovane.
Un’altra figura chiave di questa storia potrebbe essere il titolare di un bar di Primavalle. È stato lui il giorno prima ad avvertire la sorella del disabile che qualcuno poteva avercela con Hasib. Possibile che la polizia sia andata a trovare Hasib solo per parlargli informalmente e che una volta dentro l’abitazione qualcosa sia andato storto? Anche questa è un’ipotesi. Di certo il risultato dell’intervento dei poliziotti è stato disastroso.
L’indagine
Il disabile di origine rom precipitato dalla finestra della sua stanza della casa popolare nel quartiere di Roma Primavalle dopo la visita di quattro agenti della polizia è ancora in gravi condizioni. La linea del dipartimento di pubblica sicurezza, del ministero dell’Interno e della questura è quella del basso profilo: solo una nota ufficiale per comunicare ai media che il capo della polizia seguirà da vicino la vicenda e ci sarà la massima collaborazione con la procura di Roma, che ha aperto un’inchiesta contro ignoti ipotizzando il reato di tentato omicidio.
La famiglia ha atteso quindici giorni prima di denunciare l’accaduto, il 10 agosto ha presentato al pm Stefano Luciani un esposto molto dettagliato, con testimoni e altro materiale utile all’indagine, come alcune foto dei post apparsi sui social contro Hasib, accusato da gente del quartiere di importunare le ragazze.
L’assenza di un mandato di perquisizione e la contestazione scritta sul decreto di sequestro del manico di scopa e del lenzuolo sporchi di sangue, firmata dal pubblico ministero, è l’unica certezza in questa storia di silenzi e forse omissioni denunciata il 12 settembre con una conferenza stampa alla Camera dei deputati da Riccardo Magi, presidente di +Europa, dai familiari di Hasib e dal team di avvocati che seguono il caso.
Magi ha sostenuto che la dinamica dei fatti, i buchi neri e le tracce lasciate, ricordano il caso di Stefano Cucchi, morto nel 2009 mentre era in custodia cautelare. La sorella di Stefano, candidata con Sinistra Italiana, è intervenuta sui social chiedendo che si faccia al più presto chiarezza su quanto accaduto a Primavalle, periferia ovest della capitale.
La testimone e il barista
In questa zona la famiglia di Hasib viveva in un alloggio popolare, assegnato durante la giunta di Virigina Raggi, che aveva avviato un piano per ricollocare le famiglie dai campi rom in abitazioni dignitose. Hasib nei giorni precedenti la visita della polizia era diventato bersaglio di denunce su Facebook: una signora aveva pubblicato alcune sue foto e lo aveva definito un molestatore di ragazze. Di questo la famiglia non sapeva nulla.
Solo la sorella era stata avvertita dal titolare di un bar in una delle piazze del sobborgo. Il proprietario del locale ha spiegato alla ragazza che suo fratello rischiava grosso perché qualcuno voleva dargli una lezione. Il barista e la sorella di Hasib avrebbero dovuto incontrarsi per parlare di queste minacce, ma non c’è stato il tempo: il giorno dopo il disabile riceve la visita degli agenti e precipita dalla finestra. «Mi dispiace, abbiamo fatto tardi», avrebbe poi detto il titolare del locale: nella denuncia viene indicato come Paolo Barone, in realtà si chiama Paolo Soldani.
Nel quartiere è molto conosciuto, ha qualche precedente alle spalle, tentato omicidio, lesioni. Più volte citato, ma non indagato, nell’inchiesta della direzione investigativa antimafia sulle infiltrazioni della mafia calabrese in quelle zone. A Primavalle regnano alcune famiglie di ‘ndrangheta potenti, un tempo interessate alla gestione degli alloggi popolari, e convivono con la mala romana ben radicata in quello spicchio di città. Il bar che gestisce è stato, per anni, cosa loro prima della nuova proprietà che ha mantenuto il caffè caro al clan, ma nulla più se non un’indagine a carico della moglie, ritenuta in stretto contatto con alcuni esponenti della cosca.
Nel caso Hasib il barista avrebbe solo provato a evitare guai peggiori senza riuscirci. La famiglia di Hasib, intanto, ha cambiato zona di residenza. Per paura.
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