- «Se non collabori ti frego e ti mando in Brasile. Puoi anche scappare perché qui non ti faccio più mettere piede». Sono le parole rivolte da un carabiniere a una persona trans brasiliana ricattata sessualmente, ed emerse dalle intercettazioni dell’inchiesta Odysseus.
- Gli abusi di potere nei confronti delle persone straniere, tanto più se transessuali, sono un problema anche in Italia, dove vige un sistema collaudato di controlli, fermi frequenti, atteggiamenti aggressivi che troppo spesso sfociano nella violenza. Eppure la profilazione razziale e sessuale è ancora troppo poco indagata e assente dal dibattito pubblico.
- Questo articolo è stato prodotto nell'ambito del progetto INGRiD – Intersecting Grounds of discrimination in Italy finanziato dalla Commissione europea.
«Se non collabori ti frego e ti mando in Brasile. Puoi anche scappare perché qui non ti faccio più mettere piede». Sono le parole rivolte da un carabiniere a una persona trans brasiliana ricattata sessualmente ed emerse dalle intercettazioni dell’inchiesta Odysseus, quando nella primavera del 2020 un’intera caserma, la Levante di Piacenza, finiva sotto sequestro per un sistema di associazione a delinquere messo in piedi da diversi agenti.
Se per quella vicenda ci si è soffermati sulla corruzione e il marcio dilagante nei corpi delle forze dell’ordine italiane, poco si è detto a proposito di un’altra grande problematica: gli abusi di potere nei confronti delle persone straniere, tanto più se transessuali. Al di là di Piacenza, in Italia vige un sistema collaudato di controlli e fermi frequenti ma anche di atteggiamenti aggressivi nei loro confronti che troppo spesso sfociano nella violenza. Un problema di profilazione razziale e sessuale su cui si continua a chiudere gli occhi.
Cos’è la profilazione razziale
La Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza definisce la profilazione razziale «l’uso da parte delle forze dell’ordine, quando procedono a operazioni di controllo, sorveglianza o indagine, di motivi quali la razza, il colore della pelle, la lingua, la religione, la nazionalità o l’origine nazionale o etnica, senza alcuna giustificazione oggettiva e ragionevole».
Negli Stati Uniti è un fenomeno largamente diffuso e di cui si è tornati a parlare dopo l’omicidio del cittadino afroamericano George Floyd per mano dell’agente Derek Chauvin. Una ricerca del Pew Research Center sottolinea che gli adulti neri statunitensi dichiarano di subire fermi di polizia ingiustificati e dovuti all’etnia in misura cinque volte maggiore rispetto ai bianchi. In Europa non va molto meglio. Il 24 per cento delle persone di origine africana intervistate nell’indagine Essere neri nell’Ue dell’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali ha dichiarato di essere stata fermata dalla polizia nei cinque anni precedenti e il 41 per cento di queste ha considerato lo stop come un caso di profilazione razziale.
A livello di singoli paesi, in Francia l’inchiesta Accesso ai diritti sottolinea che i giovani stranieri o apparentemente tali hanno 20 volte più probabilità di essere fermati dalla polizia rispetto al resto della cittadinanza. In Gran Bretagna questo moltiplicatore si attesta a nove, in Danimarca gli immigrati di seconda generazione subiscono controlli fino al 45 per cento in più dei nativi danesi, in Germania invece un immigrato sub-sahariano su tre ha detto di essere stato fermato almeno una volta dalla polizia nei cinque anni precedenti.
In Italia
I rapporti europei rivelano che in Italia il 70 per cento delle persone afrodiscendenti fermate dalla polizia dichiara di aver subito profilazione razziale. Per il resto non esistono studi nazionali e tutto quello che si trova sull’argomento viene dalla cronaca e dalle denunce.
Uno dei casi recenti più eclatanti è quello occorso al calciatore Tiémoué Bakayoko in centro a Milano, fermato con pistola in faccia perché nero e con una felpa verde come la persona che gli agenti stavano cercando, in un episodio giustificato come “scambio di persona” ma che difficilmente si vede con persone bianche. Altri episodi recenti sono stati l’intervento di identificazione molto violento e condito da frasi razziste messo in atto dalle forze dell’ordine contro alcuni minorenni afrodiscendenti nei pressi di un McDonald’s a Milano a giugno 2021, l’aggressione della polizia alla stazione centrale di Milano a due cugini italiani di origine straniera, o ancora le operazioni di polizia in piazza Duomo sempre a Milano con cui venivano fermati quasi esclusivamente giovani non bianchi.
«Ho perso il conto di quante volte sono stato fermato dalla polizia, ci sono periodi più intensi in cui vengo fermato anche 2-3 volte al mese e altri meno. In questi 11 anni in Italia sono stato fermato almeno una trentina di volte in totale», spiega Shahzeb, 22enne di origine pakistana residente a Ferrara. Una volta è stato fermato mentre andava a buttare la spazzatura sotto casa, i documenti li aveva lasciati all’ingresso ma gli agenti volevano portarlo in questura senza dargli la possibilità di prenderli e mostrarglieli. Da quel momento Shahzeb quando va al cassonetto si porta sempre il portafogli. Diverse altre volte è stato fermato in stazione o mentre andava al lavoro, senza un motivo preciso. «Questo atteggiamento continuo e ripetuto demoralizza, io ormai se da lontano vedo una pattuglia cambio strada perché non ho voglia di perdere tempo», chiosa il ragazzo.
«Quello della mancanza di ricerche sul tema della profilazione razziale è un problema prettamente italiano», sottolinea Robert Elliot, attivista di Occhio ai media. «Nel discorso politico-mediatico in Italia prevale l’idea che siano cose che succedono solo all’estero, ma non è così. C’è una tendenza diffusa a voler sempre giustificare, a negare che in Italia ci sia un problema di razzismo». Elliot cita il caso di Bakayoko, con la questura e buona parte della politica e dei giornali che hanno fatto a gara a ridimensionare l’accaduto. Questo non aiuta all’emersione del fenomeno. «Le vittime della profilazione razziale si vergognano di parlarne, un mio amico senegalese 60enne è stato fermato diverse volte ma non vuole dirlo a sua moglie, un altro ragazzo che conosco non lo racconta alla madre perché non vuole farla preoccupare», continua Elliot, che sottolinea come quello della profilazione razziale sia un problema soprattutto per i più giovani stranieri o apparentemente tali. Le cose peggiorano ulteriormente quando poi subentrano nuove condizioni, come la transessualità.
Contro le persone trans
Le persone transessuali straniere sono vittime di un doppio stigma da parte della società e delle forze dell’ordine in Italia, su cui però non si è mai realmente indagato. «Il fatto che non vi siano segnalazioni dirette e rapporti sulla profilazione sessuale della polizia in Italia non vuol dire che questo non succeda. Semplicemente, è un fenomeno che non è stato ancora studiato», ammette Elliot.
In California un’analisi del procuratore generale ha rilevato che le persone transgender vengono fermate dalla polizia per “ragionevoli sospetti” quattro volte le persone cisgender, e vengono perquisite a un tasso doppio. Uno studio del Williams Institute evidenzia che negli Usa le persone appartenenti alle minoranze sessuali vengono fermate in luogo pubblico quasi sei volte più del resto della popolazione e questo valore cresce ulteriormente quando minoranza sessuale e minoranza etnica vanno a braccetto.
In Italia tutto quello che c’è sull’argomento appartiene alla cronaca. Il concorso di polizia pubblicato sul sito del ministero dell’Interno all’inizio del 2022 che equiparava l’essere transessuale a un disturbo mentale la dice lunga sull’approccio culturale delle forze dell’ordine all’argomento. Fatti come quelli della caserma di Piacenza, la violenta retata della polizia nel 2021 nel quartiere di San Berillo a Catania con racconti di agenti che infierivano con botte e manganelli su una donna trans straniera o, ancora, le numerose denunce carcerarie di abusi sessuali da parte di agenti penitenziari sulle persone detenute transessuali straniere dipingono bene il quadro. Ma al di là di questi fatti più eclatanti, è tutta la quotidianità italiana delle persone trans, soprattutto se sex workers e straniere, a essere un inferno senza fine.
«C’è una profonda persecuzione contro le persone transessuali in Italia fatta attraverso tutti gli strumenti legislativi possibili. Le sex workers transessuali per esempio vengono continuamente identificate, fermate, allontanate anche più volte al giorno», sottolinea Pia Covre, fondatrice del Comitato per i diritti civili delle prostitute. «La situazione peggiora con le persone transessuali straniere. Nel caso delle sex workers risultano più visibili e sono maggiormente perseguitate rispetto a chi è italiano. L’atteggiamento intimidatorio di certi agenti e la paura di peggiorare la loro situazione già precaria fa però sì che raramente si denuncino gli abusi subiti».
Il Comitato raccoglie molte di queste testimonianze attraverso uno sportello operativo nel Friuli-Venezia Giulia da cui arrivano chiamate da tutta Italia. Altre realtà come La Magnifica Occupata, casa transfemminista fiorentina, da tempo denunciano gli abusi delle forze dell’ordine nei confronti delle persone transessuali straniere, come quelle subite da due australiane loro compagne durante la permanenza in Italia. L’obiettivo è che si inizi a parlare di un tema che si fa finta non esista, discriminazione nella discriminazione da parte delle istituzioni.
«Gli episodi si sprecano, è un po’ la norma per noi. Succedono e basta», spiega un attivista, d’accordo con l’esclusione dal pride di Bologna a giugno di Polis Aperta, associazione Lgbt di appartenenti alle forze dell’ordine e armate: «Era solo un tentativo di rainbowashing delle forze di polizia». Che rischiava di nascondere ulteriormente il problema italiano della profilazione razziale e sessuale.
Questo articolo è stato prodotto nell'ambito del progetto INGRiD – Intersecting Grounds of discrimination in Italy, finanziato dalla Commissione europea nell'ambito del programma REC (Rights, Equality, Citizenship) 2014-2020.
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