Indi non può respirare da sola, non può mangiare da sola, molto probabilmente non ha una attività cerebrale e mai la potrà avere, perciò non è cosciente e, per fortuna, probabilmente non riesce neanche a provare dolore. Senza lo sforzo dei medici e il costante ausilio delle macchine, Indi sarebbe morta poche ore dopo la nascita
Prolungare le sofferenze di un neonato destinato alla morte, che non può parlare e non si può difendere, e illudere inutilmente la madre e il padre di quel neonato, straziati dal dolore, facendogli credere che il loro figlio potrà sopravvivere se curato meglio, anche se chi lo fa è mosso da ideali politici o religiosi, è una delle cose più turpi e crudeli che si possano immaginare.
Stiamo parlando del caso di Indi Gregory, la bimba inglese di soli otto mesi al centro della cronaca di questi giorni. L’Alta Corte britannica ha deciso che il trattamento di supporto che tiene in vita la piccola Indi Gregory, ricoverata al Queen’s Medical Center di Nottingham, avrebbe dovuto essere interrotto alle 14 di giovedì 9 novembre ora britannica, per poi prorogare la disposizione di un giorno dopo il ricorso del console italiano per chiedere di spostare la giurisdizione.
I medici di quell’ospedale hanno stabilito che per Indi ogni altra cura sarebbe stata inutile, ma i genitori hanno chiesto che la loro bambina tornasse nella loro casa di Ilkeston, nel Derbyshire.
Il giudice Robert Peel ha accolto le tesi dei medici, e nella sentenza ha confermato che continuare a tenere in vita la bambina – affetta da una grave patologia mitocondriale – con la ventilazione meccanica e l’alimentazione artificiale per via nasale sarebbe un accanimento terapeutico che la farebbe soltanto soffrire.
Il magistrato ha dunque ritenuto che Indi non può essere trasferita in Italia, dove l’ospedale Bambin Gesù si era offerto di accoglierla, dopo che il Consiglio dei ministri – convocato d’urgenza dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni – con una decisione lampo le aveva concesso nei giorni scorsi la cittadinanza italiana. Trasportarla in Italia, afferma la sentenza, sarebbe non solo inutile dal punto di vista medico, ma anche un modo di infliggere ulteriori sofferenze a una piccola malata di appena otto mesi.
«Faremo ancora ricorso in appello», ha affermato Simone Pillon, l’ex senatore della Lega che ora agisce come avvocato della famiglia Gregory. È grazie all’instancabile opera di Pillon e di altri attivisti del movimento Pro vita che il caso di questa bambina tiene banco in Italia. «Sono orgoglioso che mia figlia sia italiana, grazie di cuore al vostro governo, al vostro ospedale, al vostro popolo, vorrei che anche i politici britannici la pensassero così», ha detto Dean Gregory, il padre 37enne di Indi, che, insieme alla moglie Claire, 35 anni, ha condotto un’estenuante battaglia processuale per tenerla in vita ad ogni costo.
I genitori sostengono che Indi a dispetto della sua malattia risponde agli stimoli, muove le braccia, sorride, e quindi è cosciente. E sono comprensibilmente straziati dal dolore all’idea che i medici le tolgano il supporto artificiale, lasciandola morire. «Non sono religioso e non sono battezzato. Ma quando ero in tribunale mi sembrava di essere stato trascinato all’inferno. Ho pensato che se l’inferno esiste allora deve esistere anche il paradiso, e io voglio che Indi vada in paradiso, per questo l’ho fatta battezzare», ha detto Dean in una intervista rilasciata a La Nuova Bussola Quotidiana.
La rivista online è stata fondata nel 2012 da Riccardo Cascioli, un giornalista autore di libri quali “Il complotto demografico”, in cui sostiene che le grandi potenze del pianeta e le organizzazioni umanitarie hanno ordito un complotto per sottomettere i poveri del mondo, e “Le bugie degli ambientalisti”, in cui afferma che il riscaldamento globale non esiste. La Nuova Bussola Quotidiana, come recita la sezione “chi siamo” del sito, «riunisce un gruppo di giornalisti cattolici, accomunati dalla passione per la fede, che vogliono offrire una bussola per orientarsi tra le notizie del giorno, una prospettiva cattolica nel giudicare i fatti: certi che l’esperienza cristiana è in grado di abbracciare e rispettare pienamente la dignità dell’uomo».
Poche speranze
La piccola Indi soffre della sindrome da deplezione del Dna mitocondriale. Con questo nome viene indicato un gruppo di varie malattie genetiche che causano tutte una significativa diminuzione del Dna mitocondriale all’interno delle cellule. I mitocondri sono speciali organuli contenuti all’interno delle nostre cellule che servono da centrale per la produzione di energia. Il Dna contenuto al loro interno – e per questo denominato Dna mitocondriale – serve a produrre le proteine necessarie per il loro corretto funzionamento. Se il Dna mitocondriale è “scarso”, alcune delle proteine dei mitocondri non vengono prodotte, e quindi i mitocondri stessi funzionano male e non riescono a fornire la quantità sufficiente di energia alle cellule, che cominciano a soffrire e in molti casi a morire.
Esistono varie forme di sindrome da deplezione del Dna mitocondriale che possono colpire in varia combinazione le fibre muscolari, le cellule del fegato, le cellule intestinali e i neuroni del cervello. Queste malattie sono sempre gravissime e fatali, e i soggetti affetti in genere muoiono nei primissimi mesi di vita. Solo in rarissimi casi gli individui colpiti dalla forma più lieve della malattia – che interessa solo le cellule dell’intestino o del fegato – possono sopravvivere fino all’infanzia o alla prima adolescenza, ma con gravi deficit motori e mentali.
Purtroppo per lei, la piccola Indi è affetta da una delle forme più severe della sindrome da deplezione del Dna mitocondriale, quella che colpisce contemporaneamente le cellule dell’intestino e i neuroni del cervello, contro la quale non esiste cura. Già durante la gravidanza, le ecografie avevano rivelato gravi difetti di sviluppo e i medici avevano consigliato ai genitori di abortire, ma loro si erano rifiutati di farlo.
Quando è nata, il 24 febbraio 2023, Indi non respirava, era cianotica, una enorme quantità di liquor si era accumulata all’interno del suo cranio comprimendo il suo cervello atrofico. Poco dopo il parto, Indi ha smesso di respirare ed è stato necessario rianimarla e attaccarla a un macchinario per la ventilazione artificiale.
Indi da allora non respira da sola. Qualche ora dopo ha iniziato ad avere crisi epilettiche, provocate dai danni che ha sofferto la sua corteccia cerebrale, compressa dal liquido in eccesso. A quel punto i medici sono stati costretti a intervenire: hanno dovuto aprire un buco nella sua testa per lasciare defluire il liquor in eccesso.
Se sopravviverà, a Indi dovrà esser lasciata per sempre questa apertura nel cranio. Qualche giorno dopo, i medici hanno tentato di nutrire la neonata con un po’ di latte, ma si sono accorti che non riusciva a deglutire, perché aveva l’intestino malformato e otturato, per cui sono stati costretti a operarla e a tagliarle un pezzo di intestino, così adesso e per il resto della sua vita Indi dovrà essere nutrita con un sondino che attraverso il naso le fa arrivare il cibo nello stomaco.
I suoi genitori sono convinti che lei risponda agli stimoli, si volti a guardare la mamma che le parla, ma i suoi – purtroppo – sono solo movimenti automatici e riflessi di orientamento guidati dalle parti più antiche del cervello. In pratica Indi non può respirare da sola, non può mangiare da sola, molto probabilmente non ha una attività cerebrale e mai la potrà avere, perciò non è cosciente e, per sua fortuna, probabilmente non riesce neanche a provare dolore.
Senza lo sforzo dei medici, senza le molteplici operazioni e il costante ausilio delle macchine, Indi sarebbe morta poche ora dopo la nascita. La povera neonata ora vive una vita artificiale, che è crudele e inumano definire “vita”.
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