La Procura di Roma ha rinviato a giudizio i quattro agenti di sicurezza egiziani accusati del sequestro del ricercatore friulano
Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif sono stati rinviati a giudizio dalla procura di Roma nell’ambito del processo sul caso Regeni. I quattro agenti dei servizi di sicurezza egiziani sono accusati di sequestro di persona, mentre Sharif sarà anche chiamato a rispondere di lesioni e concorso nell’omicidio di Giulio Regeni, il ricercatore friulano torturato e ucciso nel 2016 a Il Cairo.
«Paola e Claudio (i genitori di Regeni ndr.) dicono spesso che su Giulio sono stati violati tutti i diritti umani. Da oggi abbiamo la fondata speranza che almeno il diritto alla verità non verrà violato. Ci abbiamo messo 64 mesi. Ma è un buon traguardo e un buon punto di partenza» ha dichiarato Allessandra Ballerini, la legale della famiglia Regeni dopo il rinvio a giudizio.
La decisione del giudice per le udienze preliminari, Pierluigi Balestrieri, arriva dopo che ha respinto l’eccezione presentata dalle difese sull’irreperibilità e la mancata notifica agli imputati, dei quali le autorità egiziane non hanno mai fornito gli indirizzi utili a dare notizia degli atti del processo. «Tutti gli imputati hanno avuto certamente notizia dell’esistenza del procedimento penale italianoo – ha sottolineato l’accusa – essendo stati tutti e più di una volta, ascoltati dalla magistratura egiziana a seguito di richiesta rogatoriale di questo ufficio». La prima udienza del procedimento coordinato dal procuratore Michele Prestipino e dal pm Sergio Colaiocco è fissata per il prossimo 14 ottobre.
«Il rinvio a giudizio di oggi è un passo avanti compiuto grazie alla determinazione della Procura di Roma e della famiglia Regeni.
Una sfida che pretende dal Governo un impegno concreto per ottenere dall'Egitto rispetto, verità e giustizia»: è stata questa invece la reazione del deputato Erasmo Palazzotto (LeU), presidente della commissione parlamentare d'inchiesta sulla morte di Giulio Regeni.
I depistaggi
Lo scorso 7 aprile un nuovo testimone è stato ascoltato dalla procura di Roma che ha rivelato importanti dichiarazioni. Ha raccontato dei depistaggi dei servizi segreti del generale al Sisi che hanno provato a mascherare l’omicidio per una rapina finita male. «Ho notato che era palesemente spaventato – dice il testimone riferendosi a Mohammed Abdallah il sindacalista egiziano che denunciò alle forze di sicurezza Giulio Regeni – so che durante la giornata del 2 febbraio 2016 Abdallah era nell’ufficio della State security a Nasr City, in compagnia di un ufficiale di polizia e questi, in sua presenza, ha ricevuto una telefonata da un suo collega del commissariato di Dokki, dove era detenuto Regeni che, a seguito di tortura, è deceduto». Il testimone racconta anche del coinvolgimento diretto del figlio del presidente egiziano nei depistaggi e proprio per questo venne fatto allontanare e fu mandato in Russia come addetto militare dell’ambasciata d’Egitto.
In concomitanza della prima udienza preliminare, prevista per lo scorso mese ma poi rinviata per un caso di Covid-19 tra i legali della difesa, è stato pubblicato su Youtube il documentario “The story of Regeni” della durata di 50 minuti che prova a gettare fango sulla figura del ricercatore italiano.
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