Doveva essere la cura di tutti i mali, non solo per la città della Lanterna. E invece il modello Genova, nato dall'urgenza di ricostruire il ponte Morandi, si sta sbriciolando per effetto della tempesta giudiziaria del caso Toti.

A mandare in crisi il sistema sono le accuse di corruzione, i rapporti tra politica e imprese che al di là dei possibili reati appaiono quantomeno discutibili, inquinati dall'intreccio tra finanziamenti elettorali e le concessioni portuali. Così, adesso, il modello Genova è finito su un binario morto con gravi conseguenze per le attività portuali e per l'immagine della città stessa.

Troppe proroghe

L'abuso del ricorso alle proroghe per l'affidamento delle concessioni dei terminal aveva già fatto perdere competitività e sviluppo al porto. Una situazione di paralisi gestionale tale che gli autotrasportatori, che servono i terminal container di Genova, denunciano il persistere delle lunghe attese per il carico e scarico dei container e chiedono l’applicazione di una “Congestion Fee”, ossia di un supplemento alle tariffe di autotrasporto per sostenere i nuovi costi generati dalle lunghe attese di questi giorni.

Secondo gli autotrasportatori, la quotidiana congestione delle banchine è generata da terminal ingiustificatamente inadeguati (i concessionari sono garantiti da concessioni pluriennali) a livello strutturale nel servire il traffico camionistico.

Le lunghe attese al carico e scarico nelle aree buffer (distanziamento Tir) dei Terminal, i black out del Pcs portuale (piattaforma informatica) e dei processi documentali e autorizzativi, hanno provocato da molte settimane enormi perdite di produttività ed extra costi delle imprese di autotrasporto.

I sindacati dei lavoratori denunciano che l'ente portuale è privo di autonomia, nonostante la legge gli affidi ampie competenze per le scelte gestionali, scelte che invece vengono imposte da altri soggetti politici/economici. È il caso, per esempio, della proroga trentennale della concessione del terminal rinfuse che ha finito per diminuire ulteriormente la competitività del porto. Competitività che non potrà certo aumentare, neppure grazie ai fondi garantiti dal Pnrr, se l’ente portuale continuerà ad essere gestito con logiche politiche e non d'impresa.

Le critiche dell’Anac

L'Anac ha contestato l’inserimento della nuova diga foranea nel cosiddetto decreto Genova, che riguardava esclusivamente la costruzione di strade, ponti e collegamenti per ripristinare la viabilità dopo il crollo del ponte Morandi. Secondo l’Anac la diga sarebbe stata inserita in modo illegittimo e quindi non doveva essere interessata da nessuna delle deroghe previste dal decreto.

L'urgenza di ricostruire il ponte Morandi aveva dato un assist alla politica e alle grandi imprese private e di Stato per consolidare il potere delle lobby più influenti. Un potere esercitato ai danni delle risorse pubbliche, dell'efficienza del porto e anche dell'ambiente.

Negli anni scorsi il "decreto Genova" era diventato un riferimento politico e giuridico per come fare (male e ad alti costi pubblici) le opere pubbliche evitando la trasparenza.

Paralisi

Con questi presupposti si è accentuata la crisi della città di Genova e infine della Liguria tutta. L'ente porto è commissariato dallo scorso settembre ed è reduce da cinque anni di convivenza forzata con la struttura commissariale per la ricostruzione del Morandi e la supervisione del piano straordinario delle opere portuali.

La paralisi del porto si è accentuata nelle ultime settimane con l’indagine della procura che ha portato all’arresto di Paolo Emilio Signorini, presidente dell’ente portuale dal dicembre 2016 fino a settembre dell’anno scorso. Nel lungo elenco degli indagati è finito anche l’attuale commissario straordinario Paolo Piacenza.

Lo sbandierato “modello Genova”, frutto del decreto che ha trasferito pieni poteri di commissario alla ricostruzione al sindaco Marco Bucci, ha lasciato una pesante eredità di cui sarà molto difficile liberarsi.

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