Dopo l’arresto dell’iraniano a Malpensa, la giornalista viene usata dagli ayatollah come pedina. Al lavoro Aise e Mantovano. Gli Usa chiedono l’estradizione, un “no” aiuterebbe la mediazione
Per scarcerare Cecilia Sala si valutano tutte le strade possibili, ma Teheran sembra ad ora voler percorrerne una sola: quella che porta al rilascio di Mohammad Abedini, l’imprenditore iraniano “tecnico dei droni” arrestato all’aeroporto di Malpensa dalla sezione antiterrorismo della Digos lo scorso 16 dicembre.
Il caso è seguito in prima persona dal sottosegretario con delega ai servizi Alfredo Mantovano che è in stretto contatto con il direttore dell’Aise Giovanni Caravelli, e dalla premier Giorgia Meloni che ieri ha definito la vicenda di Cecilia Sala come «complessa, fin dal giorno del fermo».
L’obiettivo – ovviamente – è portare la giornalista italiana a casa il prima possibile. «D’accordo con i suoi genitori, tale obiettivo viene perseguito attivando tutte le possibili interlocuzioni e con la necessaria cautela, che si auspica continui a essere osservata anche dai media italiani», si legge in una nota di Palazzo Chigi.
Meloni è consapevole che le notizie riportate dalla nostra diplomazia non sono positive. L’impressione è che potrebbero volerci settimane - a meno di sorprese - prima di riuscire a liberare Sala, che di fatto è ostaggio in mano al regime degli ayatollah.
La principale carta in mano all’Italia sono i buoni rapporti tra i vertici dell’Aise e quelli dei servizi di intelligence iraniani, che nel 2022 portarono alla liberazione di Alessia Piperno, imprigionata per 45 giorni nello stesso carcere di Sala. Il team di negoziatori è al lavoro, consapevole che la palla è in mano a Teheran e i regimi – soprattutto se in crisi – sono più propensi a prove di forza che a fornire concessioni.
Il nodo estradizione
La via da percorrere è dunque molto stretta. Gli iraniani hanno chiesto la liberazione di Abedini e hanno espresso la loro ira per l’arresto compiuto dalla Digos, che ha solo eseguito l’alert internazionale lanciato dagli USa. Uno scambio, al momento, non è tecnicamente possibile. Almeno fino a quando non si scioglie il nodo dell’estradizione.
Da Washington è arrivata ufficialmente la richiesta di spedire Abedini in Usa. A decidere sarà prima la Corte d’appello di Milano, poi la parola spetterà al ministro della Giustizia Carlo Nordio, in stretta collaborazione con Palazzo Chigi.
Nell’attesa, la diplomazia italiana sta lavorando affinché Cecilia Sala (reclusa dal 19 dicembre) sia tenuta nelle migliori condizioni possibili all’interno del carcere di Evin. La Farnesina ha provato a tranquillizzare famiglia e media spiegando che la giornalista è detenuta in una cella singola e non è in isolamento, ma è un fatto che la prigione iraniana è “specializzata” nel carcere duro per i dissidenti interni e i cittadini stranieri. «Sala sarà trattata nel migliore dei modi, gli iraniani ce lo hanno promesso», dice a Domani una fonte dell’intelligence.
Ieri il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha confermato che non ci sono ancora capi d’accusa specifici contro di lei. «L’avvocato ancora non ha avuto la possibilità di fare la visita in carcere. Speriamo la possa fare nei prossimi giorni e possa avere quanto prima dei capi d'imputazione precisi», ha detto ai cronisti fuori dal Senato.
Ulteriore conferma di quanto per Teheran non era tanto importante il suo lavoro giornalistico, bensì il suo passaporto italiano da utilizzare come possibile pedina di scambio o crudele ritorsione per l’arresto dell’imprenditore.
La difesa di Abedini
Dopo giorni di silenzio ha parlato ieri il difensore di Mohammad Abedini-Najafabadi. L’uomo è accusato di «cospirazione per aver esportato componenti elettronici sofisticati dagli Stati Uniti all’Iran in violazione delle leggi statunitensi sul controllo delle esportazioni e sulle sanzioni». Componenti che poi sarebbero serviti per la costruzione dei droni iraniani, utilizzati per colpire un avamposto dell’esercito americano in Giordania lo scorso gennaio. Il bilancio di quell’attacco è stato di tre morti e quaranta soldati statunitensi feriti. Un duro colpo per Washington, che ora vuole giustizia.
In Italia è accusato anche di associazione a delinquere, ma secondo il suo avvocato Alfredo De Francesco la posizione di Abedini è meno grave di quanto si pensi. «Dall’analisi dei documenti in mio possesso pur essendo formalmente gravi le accuse mosse, in realtà la posizione del mio assistito risulta molto meno grave di quanto può sembrare. Lui respinge le accuse e non riesce a capire i motivi dell'arresto», ha detto ieri ai giornalisti.
Abedini «è teso e preoccupato», dice il legale. Per il momento rimane quindi recluso nel carcere milanese di Opera dopo la misura cautelare emessa dalla Corte d’Appello di Milano. «Il detenuto, essendo ancora non condannato, è trattato con tutte le regole di garanzia che dobbiamo dare», ha detto ieri il capo della Farnesina Tajani ai giornalisti.
«Ha ricevuto visita consolare, il suo avvocato ha avuto la possibilità di conoscere i capi d'imputazione, ma sono capi d'imputazione che vengono da un mandato cattura internazionale, non è una scelta italiana, l'Italia non è competente per il procedimento penale di questo iraniano. Poi si vedrà l'estradizione. Per il momento è trattenuto in carcere con tutte le garanzie che spettano a un detenuto non italiano». Garanzie fornite da ogni paese democratico che si rispetti. Diverso si può dire per Teheran e la sua becera politica degli ostaggi.
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