Teheran annuncia ufficialmente l’arresto della reporter di Chora Media e del Foglio. La premier punta sui giudici della Corte d’Appello di Milano e sull’amicizia con il prossimo presidente americano Donald Trump
Il regime iraniano ha interrotto il suo silenzio sull’arresto ingiustificato di Cecilia Sala. Lo ha fatto tramite il dipartimento generale dei media esteri del ministero della Cultura e dell'orientamento islamico dell'Iran. Il ministero religioso, controllato dalla parte più conservativa del governo, ha confermato in una nota che la giovane giornalista è stata arrestata «per aver violato le leggi della Repubblica islamica dell'Iran».
«La cittadina italiana è arrivata in Iran il 13 dicembre con un visto giornalistico ed è stata arrestata il 19 per aver violato la legge della Repubblica islamica dell'Iran. Il suo caso è sotto inchiesta. L’arresto è stato eseguito secondo la normativa vigente e l’ambasciata italiana è stata informata. Le è stato garantito l’accesso consolare ed il contatto telefonico con la famiglia», si legge nella nota.
«La politica del ministero è sempre stata quella di accogliere le visite e le attività legali dei giornalisti stranieri, aumentare il numero di media stranieri nel paese e preservare i loro diritti legali», prosegue il comunicato. «È stato aperto un fascicolo sulla cittadina italiana Cecilia Sala, e sono attualmente in corso le indagini. Il suo arresto è avvenuto in base alla normativa vigente. Saranno forniti ulteriori dettagli se la magistratura lo riterrà necessario».
Accuse senza senso
Il comunicato è un primo segnale di vita da parte del regime silente dal 19 dicembre scorso, ma non annuncia alcuna novità. Le accuse rivolte a Sala sono ancora generiche, gli stessi servizi di sicurezza iraniani ammettono che stanno indagando sul suo caso. In mano non hanno niente, per il momento, se non generiche accuse di violazione della legge islamica. Può vuol dire tutto e nulla.
Ma una motivazione, al di là delle posizioni ufficiali c’è: gli iraniani sono in attesa degli sviluppi dell’autorità giudiziaria e del governo italiano sul caso di Mohammad Abedini. La scarcerazione di Sala, infatti, è strettamente legata al destino del cittadino svizzero iraniano arrestato dalla sezione antiterrorismo della Digos all’aeroporto di Malpensa il 16 dicembre scorso su mandato degli Stati Uniti, tre giorni prima che i servizi di sicurezza di Teheran prelevassero la giornalista italiana dal suo hotel.
Abedini è accusato di aver violato le sanzioni americane attraverso una società fittizia con sede legale nel politecnico di Losanna in Svizzera dove è stato ricercatore, inviando in Iran i componenti elettronici per i droni Shahed 101. Droni che oltre a essere impiegati dall’aviazione dei Pasdaran sia nella regione che in Ucraina, sarebbero stati utilizzati in un attacco nel nord-est della Giordania in cui sono stati uccisi tre soldati americani e feriti altri quaranta a fine gennaio 2024.
Abedini al momento si trova nel carcere milanese di Opera dopo che è stato trasferito da quello di Rossano Calabro. Sulla sua estradizione, già richiesta ufficialmente dalle autorità statunitensi, dovrà decidere la Corte d’Appello di Milano. Intanto il suo avvocato Alfredo De Francesco, che domani incontrerà il 38enne nell’istituto penitenziario, ha depositato l’istanza per richiedere gli arresti domiciliari fornendo anche un indirizzo in Italia dove eventualmente trasferire Abedini in attesa della decisione.
Al momento sono esclusi i domiciliari in Svizzera. I giudici dovranno esprimersi entro quarantotto ore. Ma il precedente di Artem Uss, il cittadino russo accusato di frode bancaria, riciclaggio e contrabbando di armi, fuggito dai domiciliari a Milano in attesa di essere mandato negli Stati Uniti, non gioca a suo favore.
Le carte sul tavolo
Cecilia Sala è a tutti gli effetti un ostaggio che i servizi dell’intelligence iraniana vogliono usare per liberare il loro uomo. Al momento la situazione è molto complicata. Gli Stati Uniti lo vogliono processare e in carcere, l’Iran, invece vuole Abedini libero. L’ingegnere arrestato dopo essere atterrato da Istanbul, non è un semplice ostaggio.
Serve agli 007 sia dell’Iran sia degli Stati Uniti. Washington vuole interrogarlo per via delle sue conoscenze tecnologiche e con la speranza di ottenere informazioni chiavi sull’aviazione delle guardie rivoluzionarie, Teheran ha l’obiettivo, invece, di evitare che riveli segreti cruciali ai servizi di sicurezza statunitensi. Inoltre Abedini è un ingranaggio cruciale per le forze armate degli ayatollah che grazie ai droni portano avanti le loro guerre per procura.
Le trattative per la liberazione di Sala, quindi, rischiano di essere lunghe. I ricercati con cittadinanza iraniana e cinese per la Cia sono semplicemente “non trattabili”, pena ira funesta sugli alleati che non rispettano la linea rossa di Langley.
La visita del presidente uscente Joe Biden in Italia del 9 gennaio prossimo, che alcuni media hanno ipotizzato come risolutiva, rischia di non spostare gli equilibri. Sarà Donald Trump a decidere, quando si insedierà a partire dal prossimo 20 gennaio. Meloni punta ai buoni rapporti tra sovranisti. L’amicizia tra i due sarà una carta importante da giocare, soprattutto se la magistratura italiana deciderà in favore dell’estradizione di Abedini. Scenario diverso se la Corte d’appello di Milano deciderà di non estradarlo. In quel caso il governo avrebbe indietro Sala, ma si troverebbe in una posizione complicata nei confronti di Washington.
A Chigi studiano ogni opzione, tra cui quella - banale ma non peregrina - di ricordare all’alleato che in Italia vige la separazione dei poteri. E che se Abedini, rilasciato dai giudici, va poi in Svizzera o in Iran, Meloni nulla ci può fare.
I tempi saranno lunghi e giocano contro il governo: per ora l’arresto di Sala ha unito opposizioni, maggioranza e media. Ma la premier sa che se non riporta a casa la giornalista, presto le polemiche potrebbero diventare feroci.
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