- Si contendono il primato regionale, si scontrano per motivi religiosi, sostengono parti contrapposte in zone di conflitto. Ma su una cosa Iran e Arabia Saudita sono alleati: sull’ossessivo ricorso alla pena capitale.
- I dati di Amnesty International, sulla pena di morte nel 2022 lo mostrano chiaramente. Quasi il 90 per cento delle esecuzioni registrate a livello globale (se si esclude la Cina, dove queste informazioni sono un segreto di stato) ha avuto luogo in quei due stati: almeno 576 in Iran e 196 in Arabia Saudita su un totale di 883 condanne eseguite nel mondo in 20 stati.
- In Arabia Saudita, dove non si rilevavano così tante esecuzioni da almeno 30 anni, c’è stato anche un macabro record: 81 impiccagioni in un solo giorno. Un autentico “rinascimento”… Da par suo, l’Iran ha continuato a rimanere l’unico stato in cui, in flagrante violazione delle norme internazionali, vengono eseguite condanne a morte di minorenni al momento del reato.
Si contendono il primato regionale, si scontrano per motivi religiosi, sostengono parti contrapposte in zone di conflitto. Ma su una cosa Iran e Arabia Saudita sono alleati: sull’ossessivo ricorso alla pena capitale.
I dati, resi noti questa mattina da Amnesty International, sulla pena di morte nel 2022 lo mostrano chiaramente. Quasi il 90 per cento delle esecuzioni registrate a livello globale (se si esclude la Cina, dove queste informazioni sono un segreto di stato) ha avuto luogo in quei due stati: almeno 576 in Iran e 196 in Arabia Saudita su un totale di 883 condanne eseguite nel mondo in 20 stati.
In Arabia Saudita, dove non si rilevavano così tante esecuzioni da almeno 30 anni, c’è stato anche un macabro record: 81 impiccagioni in un solo giorno. Un autentico “rinascimento”… Da par suo, l’Iran ha continuato a rimanere l’unico stato in cui, in flagrante violazione delle norme internazionali, vengono eseguite condanne a morte di minorenni al momento del reato: almeno due.
Lo spaventoso aumento delle impiccagioni nei due stati del Medio Oriente si deve soprattutto a un ritorno all’antica, all’uso della pena di morte come unica strategia di contrasto ai reati di droga: 255 le esecuzioni del genere in Iran, 57 quelle in Arabia Saudita (cui vanno aggiunte 11 impiccagioni nel giro di sei mesi a Singapore).
Non è escluso che, alla fine del 2023, l’Iran possa segnare un nuovo primato negativo: da gennaio le esecuzioni sono state già almeno 230. Secondo i conteggi di Iran Human Rights, organizzazione non governativa con sede a Oslo, dal 2010 sono stati messi a morte oltre 7200 prigionieri.
È stato un brutto anno anche negli Stati Uniti, dove ci sono state 18 esecuzioni. La cronica mancanza di medicinali per l’iniezione legale (grazie al rifiuto delle case farmaceutiche di fornire anestetici per omicidi di stato) ha spinto diversi stati a riconsiderare metodi da tempo abbandonati, come la fucilazione e la camera a gas. Per il quattordicesimo anno consecutivo, gli Usa sono rimasti l’unico stato delle Americhe a eseguire condanne a morte: questo attaccamento alla pena capitale è condiviso con la Bielorussia, unica in Europa che continua a ricorrervi.
In Myanmar sono state eseguite le prime condanne a morte da 40 anni: quattro, nei confronti di altrettanti oppositori alla giunta militare. In controtendenza, nell’Africa subsahariana le esecuzioni sono diminuite, da 33 nel 2021 a 17 nel 2022, e sono avvenute in soli due stati: Somalia e Sud Sudan.
Quanto alle nuove condanne a morte di cui Amnesty International è venuta a conoscenza, la situazione è rimasta pressoché invariata: 2016 contro le 2052 dello scorso anno. Nei bracci della morte del mondo vi sono oltre 28.000 prigionieri, un quinto dei quali in Nigeria e Pakistan e 2366 negli Stati Uniti.
Non sono mancate - da anni non mancano mai - le notizie positive: nel 2022 non ci sono state esecuzioni, rispetto all’anno precedente, in Botswana, Emirati Arabi Uniti e Oman; in 26 stati ci sono state grazie o commutazioni di pena; in Kenya sono state annullate 20 condanne. Negli Usa, la governatrice uscente dell’Oregon ha terminato il mandato svuotando il braccio della morte: 17 condanne commutate perché “la pena di morte è immorale”.
La tendenza abolizionista globale è proseguita anche lo scorso anno. Quattro stati hanno abolito la pena di morte totalmente (Kazakistan, Papua Nuova Guinea, Repubblica Centrafricana e Sierra Leone), altri due per i reati ordinari (Guinea Equatoriale e Zimbabwe).
Così, gli stati che hanno abolito la pena di morte per ogni reato sono saliti a 112; 23 stati sono considerati abolizionisti di fatto perché non eseguono condanne a morte da almeno 10 anni o hanno assunto l’impegno a livello internazionale a non ricorrere alla pena capitale; altri nove stati hanno cancellato la pena di morte per i reati ordinari.
In totale, dunque, 144 stati hanno abolito la pena di morte nella legge o nella prassi; 55 stati la mantengono in vigore, ma quelli che eseguono condanne a morte sono un terzo.
Insomma, nonostante i preoccupanti numeri del 2022, il club degli amici del boia è un circolo con sempre meno aderenti. Da anni, ormai, non ci chiediamo più “se” ma “quando” la pena di morte finirà nel luogo dove merita di stare: nello scantinato della storia. Quel club potrà rimanere aperto ancora a lungo, ma via via la maggior parte dei soci non rinnoverà l’iscrizione.
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