La filiale albanese della cooperativa Medihospes, incaricata dalla prefettura di Roma di gestire i centri per migranti in Albania in base all’accordo tra il governo italiano e quello albanese, ha interrotto il rapporto di lavoro con quasi tutti i dipendenti destinati alle strutture di Shengjin e Gjader. Come ha raccontato Domani, la cooperativa ha inviato una lettera ai lavoratori per risolvere il contratto di lavoro «a partire dal 15.02.2025 fino a nuova comunicazione». 

Nel documento, che pubblichiamo di seguito, l’amministratore di Medihospes Albania ha richiamato le sentenze dei giudici che non hanno convalidato i trattenimenti delle persone migranti trasferite oltre Adriatico con le navi della Marina Militare, definendole «pronunce giudiziarie contraddittorie e non conformi agli orientamenti della Corte di Cassazione italiana, nonché dell’impossibilità momentanea di accogliere nuovi flussi di migranti, siamo costretti a sospendere temporaneamente il nostro servizio».

La prefettura aveva aggiudicato l’appalto alla cooperativa, un colosso già noto nel settore, nella primavera del 2024, accettando l’unica offerta pervenuta. Con il ribasso proposto dalla Medihospes del 4,94 per cento, il valore dell’appalto assegnato è di oltre 133 milioni di euro iva esclusa.

La selezione di Medihospes era avvenuta con una procedura negoziata senza bando, e non con una gara pubblica come richiesto dall’alto valore dell’appalto. Un’aggiudicazione organizzata in fretta per le «ragioni di estrema urgenza sussistenti» e, si prevedeva all’inizio, per avviare i centri a maggio 2024. Sono però diventati operativi il 16 ottobre 2024 e, da allora, sono stati funzionanti per un totale di circa due settimane

Per questo, Medihospes, tramite la filiale aperta a Tirana proprio per l’attuazione del contratto con la prefettura, ha risolto il rapporto di lavoro – relativo ai centri costruiti dall’Italia nel nord del paese – con parole che sembrano essere scritte dai rappresentanti del governo che, dal primo trasferimento, hanno accusato i giudici di ostacolare i progetti dell’esecutivo. 

Ora il governo è in cerca di una nuova soluzione per far funzionare le strutture, senza aspettare la decisione della Corte di giustizia dell’Unione europea sull’interpretazione di paese sicuro, attesa in primavera. L’opzione più accreditata è di trasformarli in Centri di permanenza per i rimpatri, ma per l’esecutivo è una strada complicata senza che sia necessaria una modifica dell’intesa firmata dalla premier Giorgia Meloni e dall’omologo Edi Rama. 

© Riproduzione riservata