- I brand fanno a gara per prendervi parte e gli appezzamenti digitali vengono venduti a prezzi da capogiro: a prima vista, Decentraland è uno dei più importanti fenomeni di internet.
- A un’occhiata più attenta, la situazione è però molto diversa: gli utenti attivi sono poche migliaia e solo una piccola parte di questo “metaverso” basato su blockchain è stato effettivamente sviluppato.
- Tra eventi che lasciano perplessi, una governance che favorisce i ricchi e una gran parte di territori abbandonati, l’impressione è che Decentraland sia un villaggio fantasma digitale.
Samsung ci ha aperto un negozio virtuale di elettronica, Coca-Cola ha sfruttato questa piattaforma per lanciare la sua collezione di NFT e Atari, storica società di videogiochi, ci ha invece costruito una sorta di casinò del metaverso. E poi andrebbero citati anche i prodotti della Nike, la galleria d’arte creata da Sotheby’s, gli eventi di Heineken e molto altro ancora.
L’attenzione dei più importanti marchi mondiali nei confronti di Decentraland – il “metaverso” basato su blockchain che permette di acquistare terreni digitali edificabili e di rivendere o affittare le proprie costruzioni – è culminata nel mese di marzo, quando si è tenuta una Fashion Week a cui hanno partecipato, tra gli altri, Dolce & Gabbana, Etro o Dundas e nel corso della quale anche l’artista Grimes (o meglio, il suo avatar disegnato da Auroboros) ha tenuto un dj set.
Il fenomeno
L’approdo di tutti questi celebri marchi e nomi è andato inevitabilmente di pari passo con il prezzo dei terreni di Decentraland, le cui quotazioni nei mesi scorsi sono schizzate alle stelle. Nel novembre 2021, un appezzamento digitale è stato venduto per 2,4 milioni di dollari al Metaverse Group, che qui ha costruito proprio il distretto di lusso dedicato alla moda dove si è tenuta la Fashion Week.
Nel marzo scorso, la società di investimenti TerraZero ha invece acquistato una porzione di terreno da 3 milioni di dollari. Inevitabilmente, sta anche sorgendo una nuova professione: quella di architetto di Decentraland, con tanto di studi specializzati come Voxel Architects – che secondo quando riportato da Fortune ha ottenuto compensi anche da 300mila dollari – o di designer digitali come Pico Velazquez o Kirk Finkel.
Vista così, Decentraland sembrerebbe rappresentare uno dei maggiori successi catalogabili alla voce “metaverso”. A un’occhiata più attenta, invece, le cose appaiono diversamente e sembrano indicare quanto Decentraland sia in realtà un fenomeno speculativo e di marketing dietro al quale si nasconde una terra desolata e pochissimo frequentata.
Come funziona Decentraland?
Prima di tutto, vale però la pena di soffermarsi sul particolare funzionamento di Decentraland: un ambiente aperto, in cui socializzare, partecipare a eventi, fare shopping o anche lavorare.
Un mondo digitale in cui, in sintesi, ricreare in formato pixel una parte delle nostre esperienze quotidiane. A differenza dei metaversi progettati da Facebook/Meta o da piattaforme come VRChat o Population One, Decentraland non è però in realtà virtuale, ma se ne fa esperienza tramite un avatar personalizzato, visualizzato in terza persona e che guidiamo per gli ambienti digitali tramite tastiera.
Ma soprattutto, essendo basato su blockchain e avendo una sua criptovaluta collegata (Mana), questo mondo virtuale permette di acquistare degli appezzamenti di terreno digitale – chiamati “parcel” e limitati a un massimo di 90mila totali, creando così scarsità del bene digitale e quindi valore – sui quali poi costruire edifici di ogni tipo.
La storia
Fin dal suo sviluppo, iniziato nel 2017 da parte di un gruppo di programmatori argentini, l’idea è sempre stata quella di creare un mondo virtuale sorretto da una vera e propria economia distribuita, che permette potenzialmente a tutti i partecipanti di guadagnare grazie alla loro attività.
Questo progetto, per lungo tempo, ha però fatto parecchia fatica ad attirare utenti che popolassero il mondo digitale organizzando e partecipando a eventi, giochi, raduni, feste, concerti e quant’altro. Ancora nel febbraio dello scorso anno, gli avatar che popolavano gli ambienti si potevano contare nell’ordine delle poche centinaia.
Poi, improvvisamente, la svolta: nell’ottobre del 2021 Facebook annuncia il cambio di nome in Meta e dichiara di puntare, per il suo futuro, sulla creazione degli ambienti digitali immersivi che vanno sotto l’etichetta collettiva di metaverso.
Per Decentraland, che viene subito riconosciuto come un “metaverso” già esistente, è l’inizio del boom: da un giorno all’altro, i suoi terreni iniziano a essere contesi dai più grandi brand del mondo e il suo logo a comparire sulle più importanti riviste.
Eppure, nonostante il clamore mediatico e la sfrenata speculazione, Decentraland è ancora oggi molto diverso dal fenomeno di internet che viene spesso raccontato.
Nel complesso, si contano poco più di 300mila utenti iscritti alla piattaforma, mentre l’ambiente digitale è in media popolato da meno di duemila persone contemporaneamente, dando a chi si aggira per Decentraland l’idea di trovarsi in un luogo quasi disabitato e dove c’è ben poco da fare.
Una visione utopistica
Il confronto con altri progetti simili è impietoso: Roblox – un mondo virtuale di vero successo, ma di cui si parla molto meno – arriva a 50 milioni di utenti, Fortnite raggiunge i 350 milioni. Perfino l’antesignano di qualunque metaverso – il vecchio Second Life, che è ancora oggi vivo e vegeto – può contare su circa 500mila utenti attivi. L’impressione, insomma, è che Decentraland sia un fenomeno di marketing dietro il quale cìè veramente poco di concreto. Un’impressione rafforzata dalle pessime esperienze che si possono fare al suo interno.
Tra queste, ha sollevato molto sarcasmo il cosiddetto “rave nel metaverso”: un evento a cui ci si recava con il proprio avatar per ballare e socializzare con gli altri avventori, ma che ha mostrato tutti i limiti degli eventi sociali in formato digitale.
I pochi avatar presenti a questo surrogato di festa a base di musica techno erano quasi tutti immobili e solo ogni tanto qualcuno muoveva un po’ le braccia a ritmo. Nella realtà, ovviamente, tutti gli utenti erano davanti a un computer che fissavano lo schermo. Non il massimo del divertimento.
Lo scarso fascino della vita sociale di Decentraland non è però l’unico aspetto problematico. Come molti altri progetti legati alla blockchain, anche la governance di questo mondo virtuale è decentralizzata: tutti gli utenti possono quindi partecipare alla gestione della piattaforma e scegliere, per esempio, se creare qualche area a basso costo, se vietare determinati termini, se dare vita a dei distretti tematici sull’arte o sul gioco d’azzardo. In linea di massima, più terreni si posseggono all’interno di Decentraland, maggiore è il proprio potere di voto: un’idea di gestione collettiva che, nelle intenzioni, si vuole ideologicamente contrapporre a Facebook, Twitter e tutte le altre realtà centralizzate in cui gli utenti non hanno voce in capitolo.
Una visione per il futuro della rete tanto affascinante quanto, almeno in questo caso, utopistica: «La sfida in un’organizzazione decentralizzata come Decentraland è che il potere di voto è proporzionale alla quantità di terreno o di Mana (la criptovaluta nativa) che gli utenti controllano», scrive Rest of the World.
«Il meccanismo di voto favorisce quindi i più ricchi e, di conseguenza, alcuni cambiamenti proposti per rendere Decentraland più competitivo con altre piattaforme, come per esempio abbassare il costo d’ingresso per i creators, sono stati spesso ricevuti negativamente, a causa dell’influenza degli investitori con più soldi da bruciare».
L’aspetto speculativo
La caratteristica fondamentale di Decentraland, ovvero il fatto di essere basato su blockchain e di avere un’economia basata su criptovalute, ha avuto un’altra immediata conseguenza: la maggior parte degli utenti non è interessata a partecipare alla vita di questo metaverso, a organizzare eventi, a costruire ambienti interessanti da visitare o a socializzare con gli altri utenti. È invece attratta soltanto dall’aspetto speculativo.
Il risultato, ha spiegato sempre a Rest of the World Andrew Kiguel, presidente del Metaverse Group (nei cui ambienti si è tenuta la Fashion Week), è che soltanto il 15-20 per cento di Decentraland è stato sviluppato: tutti i restanti terreni digitali sono stati acquistati e poi abbandonati, nella sola attesa di essere rivenduti a cifre più elevate.
Impresa, al momento, molto difficile: la criptovaluta di Decentraland, dopo aver raggiunto un massimo di 5,5 dollari di valore nel novembre scorso, è recentemente precipitata agli attuali 1,2 dollari. In parte, questo è dovuto al momento difficile di tutto il mercato delle criptovalute; in parte, probabilmente, la bolla di Decentraland è scoppiata. Dopo un eccessivo clamore mediatico e un’enorme attenzione da parte del marketing, adesso in tanti stanno iniziando a vedere Decentraland per quello che è: un villaggio fantasma digitale.
© Riproduzione riservata