Un libro con la prefazione del presidente della Cei, Matteo Zuppi, e un convegno organizzato in Vaticano, affrontano il problema della pedofilia ma a parte le letture edulcorate e le dichiarazioni di principio, di concreto c’è molto poco
Per salvaguardare i minori e gli adulti vulnerabili dagli abusi è necessario prendersi cura anche di coloro che li hanno commessi. È questo, in poche parole, l’assunto del libro di don Paolo Baroli, Mostri o nostri? La prevenzione degli abusi e il trattamento dei rei: una sfida per la chiesa, appena uscito per le Edizioni San Paolo con la prefazione del cardinale Matteo Zuppi.
Il saggio riscostruisce brevemente la posizione della chiesa sugli abusi sessuali, per arrivare al nocciolo del “che fare” con i pedofili dopo che questi hanno scontato il debito con la giustizia. Criticato il troppo facile ricorso alla dimissione clericale perché deresponsabilizzante per la chiesa, vengono passate in rassegna diverse alternative, dalla castrazione chimica all’approccio farmacologico e terapeutico.
«La chiesa non si risparmierà nel compiere tutto il necessario per consegnare alla giustizia chiunque abbia commesso tali delitti», scrive Baroli, come se la denuncia all’autorità giudiziaria fosse un assioma. Viene infatti dato per assodato che i pedofili scontino «una giusta pena» mentre è noto, grazie alla testimonianza delle vittime, che gli abusatori nella gran parte dei casi vengono protetti e soprattutto non sono mai denunciati alla giustizia dello stato.
Revisionismo storico
Anche la ricostruzione della lotta agli abusi negli ultimi vent’anni è a dir poco generosa. Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco sono dipinti come paladini della trasparenza e della tolleranza zero, quando sappiamo che ancora non abbiamo un’indagine indipendente che faccia davvero chiarezza sulla realtà del fenomeno nel nostro paese.
Come non bastasse, Baroli parla dell’insabbiamento dei casi di abuso come di una pratica del passato, ormai condannata e sanzionata dal Vaticano con la rimozione del responsabile. Non fornisce però esempi concreti che avvalorino le sue affermazioni, che sono facilmente smontate dai recenti casi di cronaca: uno per tutti quello che ha riguardato l’attuale vescovo di Piazza Armerina Rosario Gisana, tuttora a capo della diocesi nonostante sia stato intercettato mentre dichiara di aver coperto don Giuseppe Rugolo, condannato a marzo in primo grado a quattro anni e sei mesi.
“Rieducare” gli abusatori
Secondo l’autore, poi, per affrontare in modo efficace la violenza sui minori è fondamentale occuparsi anche della “rieducazione” degli abusatori, in modo che possano reinserirsi nella società e nella chiesa. Sono necessarie, sottolinea don Baroli, non solo «tecniche psicoterapeutiche, ma anche modalità di custodia e accompagnamento della persona e dei cammini di rinnovamento umano e spirituale che consentano ai rei di riscoprire e recuperare un orizzonte di senso».
In questa prospettiva, l’autore non esclude che, concluso il percorso di accompagnamento, i pedofili possano continuare a «svolgere al meglio la loro vocazione di cristiani ed eventualmente di sacerdoti». Mettere al bando gli abusatori, invece, li porterebbe a ricostruirsi una vita altrove, dove potrebbero facilmente compiere nuovi reati; meglio allora tenerli «sotto il controllo della chiesa».
Anche qui l’autore omette di dire che la comunità dei fedeli non viene mai informata delle denunce a carico dei sacerdoti, che infatti ritroviamo spesso in altre diocesi, di nuovo vicino ai ragazzini. È quel che è successo per esempio a don Silverio Mura, che da Napoli è stato trasferito in una parrocchia di Tortona addirittura con un altro nome; ma gli esempi sarebbero molti.
Operazioni di facciata
Rimane la domanda sul senso di un libro come questo che, oltre a insistere sul garantismo per i pedofili, non aggiunge nulla alla comprensione del fenomeno ma suona più che altro come un esempio di marketing ecclesiastico sul fronte dello spinoso problema degli abusi clericali.
La stessa operazione di facciata riproposta dal convegno “Abusi sui minori. Una lettura del contesto italiano 2001-2021”, organizzato il 29 maggio dalla Conferenza episcopale all’Ambasciata italiana presso la Santa sede. Un incontro uguale ai tanti che lo hanno preceduto, il cui risultato è stato annacquare le responsabilità della chiesa in un generico discorso sui pericoli del web e sugli abusi sui bambini all’interno della società.
L’unica novità è stata l’annuncio, da parte della neo presidente del Servizio tutela minori della Cei, Chiara Griffini, di uno «studio pilota» sui casi di abuso clericale nel periodo 2001-2021, che sarà condotto dall’Istituto degli innocenti di Firenze e dal Centro interdisciplinare sulla vittimologia e sulla sicurezza dell’Università di Bologna.
Un’analisi che si baserà sulle denunce dei vescovi e partirà con un’indagine a campione su un numero determinato di diocesi, a cui seguirà un momento «sapienziale» di riflessione. Non è chiaro a che cosa servirà un nuovo studio fondato su dati parziali, ma si dovrà comunque attendere la fine del 2025 per saperlo.
Ancora una volta la chiesa si è limitata a dichiararsi strenuamente impegnata contro gli abusi sui minori, ma senza l’onere della prova.
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