Quando la Slovenia è diventata uno stato indipendente, a giugno 1991, Primoz Roglic doveva ancora compiere due anni. Nel 2019 è stato il primo sloveno a vincere un grande Giro, la Vuelta di Spagna. Domenica scorsa ha vinto la sua quarta Vuelta, il quinto grande Giro della sua carriera. Una carriera cominciata insolitamente tardi, dopo un passato da campione del salto con gli sci. Sognava l’oro olimpico dal trampolino ai Giochi invernali: nel 2021, a Tokyo, lo ha vinto nel ciclismo, specialità cronometro. Nel 2020 Tadej Pogacar, che ha nove anni in meno, è diventato il primo sloveno a vincere il Tour de France.

Oggi, a 25 anni, ha trionfato in sei classiche Monumento, le corse di un giorno più importanti del mondo, e quest’anno ha vinto il Giro d’Italia e il suo terzo Tour. Se tutto va come deve andare, diventerà il corridore più vincente di tutti i tempi. Più grande di Fausto Coppi, più forte di Eddy Merckx.

Nel 2024 tutti e tre i grandi Giri del ciclismo sono stati vinti da ciclisti sloveni. Un’impresa riuscita soltanto tre volte prima. Alla Francia nel 1964 (Giro e Tour a Jacques Anquetil, Vuelta a Raymond Poulidor), alla Spagna nel 2008 (Giro e Vuelta ad Alberto Contador, Tour de France a Carlos Sastre), alla Gran Bretagna nel 2018 con tre corridori diversi (Chris Froome, Geraint Thomas e Simon Yates). Tutti paesi infinitamente più grandi e popolosi della Slovenia.

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Le stelle

Oltretutto la stagione non è ancora finita: il 29 settembre Roglic e Pogacar, insieme, proveranno a portare al loro paese quello che ancora manca, la maglia arcobaleno che spetta al campione del mondo su strada. «Siamo in un’epoca dorata, speriamo di aggiungere il Mondiale ai nostri successi», ha detto Pogacar, che stranamente non ha mai vinto un titolo iridato neanche nelle categorie giovanili. La Slovenia ha due milioni di abitanti su una superficie di 20.273 chilometri quadrati, appena più grande di quella della Puglia.

Come ha fatto a diventare una potenza nello sport mondiale? Non parliamo soltanto di ciclismo, ma anche di fenomeni come Luka Doncic, 25 anni, stella del basket Nba, e di Janja Garnbret, che alla stessa età di Doncic e di Pogacar ha vinto l’oro nell’arrampicata ai Giochi di Tokyo e a quelli di Parigi.

Pogacar, Doncic e Garnbret sono nati nella Slovenia indipendente, quella che nel 2004 è entrata nell’Unione Europea. Invece quando è nato Anze Kopitar, 37 anni, capitano della squadra di hockey su ghiaccio dei Los Angeles Kings, che con lui ha vinto due volte la prestigiosa Stanley cup della lega NHL, la sua Jesenice era ancora in Jugoslavia.

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Una festa nazionale

Paese giovane, intenzionato a recuperare il tempo perduto. Dall’anno scorso la Slovenia ha istituito il Ministero dell’Economia, del Turismo e dello Sport. «Questa decisione di legare lo sport all’economia e al turismo – dice il ministro Matjaz Han – è un passo importante, aiuterà il nostro Paese a esplorare le sinergie che esistono tra queste aree. La cultura e lo sport sono profondamente radicati nella nostra società, si influenzano a vicenda. Noi diciamo sempre che la Slovenia è un paese di campioni e che lo sport scorre nelle nostre vene. Non per niente siamo al secondo posto nel mondo per numero di medaglie olimpiche pro capite. Lo sport fa parte della nostra identità e della nostra cultura nazionale».

Non sono slogan senza fondamento. La Slovenia ha una festa dello sport, caso unico in Europa: il 23 settembre. Quasi il 70% della popolazione pratica discipline sportive in tutte le stagioni e il 60% degli adulti lo fa per più di 2,5 ore alla settimana. Per due milioni di abitanti, ci sono più di 8.000 club sportivi e ricreativi e circa 5.000 atleti classificati, di cui circa 600 di livello internazionale. La Slovenia ha adottato nel 1987 un programma per monitorare annualmente la forma fisica di bambini e adolescenti per tutta la durata del periodo scolastico.

Questo programma è stato poi esteso negli anni ed è diventato SLOfit, il più grande database al mondo sulla forma fisica di una popolazione. Negli ultimi 30 anni, si sono iscritte più di un milione di persone. Nel 2021 la Slovenia è stata il primo paese al mondo a implementare la sorveglianza e il monitoraggio permanente della forma fisica per l'intera popolazione. Dalla prima alla sesta elementare nella scuola primaria, i bambini hanno 105 ore di educazione fisica all'anno (3 ore a settimana), 70 ore in 7ª e 8ª elementare (2 ore a settimana) e 64 ore in 9ª elementare.

Non c’è nessuna sorpresa nei risultati dei campioni sloveni nello sport: è il resto dell’Europa che non li ha visti arrivare.

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La corazzata del ciclismo

Neanche nel ciclismo. Nel WorldTour, la Serie A della bici, oltre a Pogacar e Roglic ci sono anche Mohoric, Mezgec, Novak e Tratnik. Gli italiani sono 15: se la proporzione abitanti/ciclisti WorldTour fosse quella slovena, dovrebbero essere 177.

L’anno spia del boom sloveno è stato il 2018: vittorie WorldTour pro capite superiori a qualsiasi altra nazione; paese più piccolo nella storia ad aver dato un vincitore (Pogacar) all'Avenir, il Tour giovanile; due vittorie di tappa nei grandi Giri (Mohoric e Roglic); paese più piccolo, in termini di popolazione, ad aver mai ottenuto la qualificazione per una squadra di otto ciclisti ai Mondiali. Ma per trovare il primo sloveno al Tour de France bisogna tornare al 1936, quando Franc Abulnar andò a correre in Francia con la nazionale del Regno di Jugoslavia.

Dopo la seconda guerra mondiale sono nati i primi club ciclistici sul territorio, gli stessi che hanno visto crescere Roglic, Pogacar e Mohoric: rispetttivamente Adria Mobil, KD Rog e KK Kranj. Sotto il socialismo, i corridori erano impiegati dalle fabbriche che producevano i prodotti da cui erano sponsorizzati, le biciclette Rog o gli pneumatici Sava. Grazie all’autogestione, ricevevano stipendi e attrezzature e occasionalmente erano chiamati a lavorare in fabbrica.

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All’estero i ciclisti professionisti guadagnavano molto di più e correvano le gare più importanti del mondo, in Jugoslavia invece c'era una regola per cui gli atleti professionisti, e quindi anche i ciclisti, non potevano lavorare fuori dalla Jugoslavia fino ai 28 anni, quando ormai la carriera era quasi finita. Dopo la morte di Tito, nel 1980, i primi corridori varcarono il confine: Primoz Cerin cominciò la sua carriera nella Euromobil-Zalf-Fior di Castelfranco Veneto a metà degli anni 80.

Dieci anni dopo, nel 1994, due tappe del Giro d'Italia arrivarono e partirono da Kranj, e gli sloveni videro finalmente il grande ciclismo a casa loro. Tra il pubblico incantato c’erano anche Martin Hvastija e Andrej Hauptman, che dopo pochi anni sarebbero diventati professionisti e un giorno avrebbero visto il talento in un bimbo destinato a fare grandi cose. «Era sempre il più piccolo di tutti», ricorda Mirko Pogacar, suo padre. «Voleva correre come suo fratello, ma non c’era una bici abbastanza piccola e dovette aspettare».

Ogni anno Pogacar senior dà una mano a organizzare la Pogi Cup nella sua Komenda. Cinque anni fa nella squadra giovanile c’erano 50 bambini, e adesso sono più di 200. Seguono la luce, e vanno avanti.

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