- «Si sono sbagliati, non è così. Passare a pagare dopo aver consumato è una modalità che nel nostro territorio si usa». Inizia così il racconto di un ristoratore finito strozzato dalla famiglia criminale dei Di Silvio ma che preferisce negare tutto perché il clan incute timore.
- Il clan Di Silvio a Latina ha seminato terrore, con furti, sequestri, estorsioni, detenzione di armi e spaccio di droga. Nelle oltre 300 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare, firmata dalla giudice Rosalba Liso, emessa nei confronti di 33 persone, emerge il diffuso controllo territoriale della famiglia.
- Un’organizzazione strutturata su base familiare e territoriale, già protagonista di gravissimi episodi criminali a Latina, che nel tempo si è sempre più radicato sul territorio attraverso l’uso della violenza.
«Si sono sbagliati, non è così. Passare a pagare dopo aver consumato è una modalità che nel nostro territorio si usa». Inizia così il racconto di un ristoratore finito strozzato dalla famiglia criminale dei Di Silvio ma che preferisce negare tutto perché il clan incute timore. L’episodio dell’estorsione è citato nelle carte dell’inchiesta della magistratura che ha portato in carcere gli esponenti della famiglia Di Silvio e Ciarelli.
Il clan Di Silvio a Latina ha seminato terrore, con furti, sequestri, estorsioni, detenzione di armi e spaccio di droga. Nelle oltre 300 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare, firmata dalla giudice Rosalba Liso, emessa nei confronti di 33 persone, emerge il diffuso controllo territoriale della famiglia.
I reati contestati raccontano i settori di business del clan: traffico di sostanze stupefacenti, estorsione, sequestro di persona, spaccio di droga, furto, detenzione e porto abusivo di armi, reati aggravati dal metodo mafioso.
La figura di spicco del clan è Giuseppe Di Silvio detto Romolo. Un’organizzazione strutturata su base familiare e territoriale, già protagonista di gravissimi episodi criminali a Latina, che nel tempo si è sempre più radicato sul territorio: «avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento ed omertà che ne deriva per commettere delitti contro la vita, l’incolumità individuale, il patrimonio la libertà morale, per acquisire in modo direttamente e indirettamente la gestione di attività economiche per realizzare profitti e vantaggi ingiusti per sè e per gli altri», si legge nell’ordinanza. Un clima di terrore che non ha fatto altro che ingenerare paura ed omertà nella popolazione. Giuseppe Di Silvio detto Romolo è attualmente detenuto in carcere condannato con in via definitiva, insieme al nipote, Costantino Di Silvio per l’omicidio di Fabio Buonamano, avvenuto nel 2010.
Le estorsioni
Nel mirino dei Di Silvio e dei Di Stefano ristoranti, bar ed esercizi commerciali dove con l’uso della forza e dell’intimidazione erano soliti prelevare merce, denaro o non pagare il conto.
A riguardo abbiamo contatto un ristoratore che avrebbe subito un’estorsione aggravata dal metodo mafioso ma che ha negato di essere una vittima.
«Non sono una vittima, non é vero. Non so come siate venuti in possesso di questa informazione. Io quando sono stato interrogato dalla polizia mi è stato chiesto se fossi stato chiamato a scopo intimidatorio, estorsivo. Io ho risposto no, è la prassi che adottiamo con molti clienti. La polizia ha interpretato male. Se un amico mi dice passo dopo io a pagare, per me è ok. È una forma di pagamento che noi facciamo a tutti i clienti non solo ai Di Silvio. Quindi è una cazzata a me non è stata estorto niente smentisco categoricamente. È una forma usata dai ristoratori per i clienti fidati», dice il ristoratore estorto che spiega che i Di Silvio alla fine lo hanno pagato. Ma la realtà è ben diversa da quella raccontata dal ristoratore.
A dimostrazione che il trattamento dell’associazione criminale al ristoratore è stato il frutto di una costante e pressante azione di intimidazione, la conversazione del 24 novembre 2019 dove Ferdinando Di Silvio detto Pescio, in un colloquio con il cugino Antonio Di Silvio detto Patatino voleva porre un’azione violenta contro di lui : «Andiamo a quel ristorante e gli faccio vedere io a sta merda». Mentre Renato Pugliese, collaboratorio di giustizia, in un interrogatorio del 7 giugno 2017, racconta a proposito del ristoratore reticente: «il ristoratore è molto amico di mio padre io e Riccardo andammo a chiedere soldi per il processo di Angelo Travali e per pagare la difesa ci ha dato 1500 euro e ci ha invitato a pranzo».
Estorsione e sequestro Pietrobono
Nel 2019 si è verificato il rapimento di Emilio Pietrobono che ha offerto ulteriori indicazioni sul potere criminale del clan, Pietrobono poi è diventato un collaboratore di giustizia. Nel 2010 a Latina si sono scontrate due famiglie rom che hanno caratterizzato la cosiddetta guerra criminale pontina del 2010. La famiglia Ciarelli facente capo a Luigi Ciarelli e la famiglia di Silvio facente capo a Giuseppe Di Silvio detto Romolo appoggiato dai di Stefano. Pietrobono adesso è un collaboratore di giustizia insieme a Renato Pugliese, Agostino Riccardo, Maurizio Zuppardo e Andrea Pradissitto che hanno contribuito all’indagine condotta nell’operazione “Scarface”
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