Dopo la salvezza i tifosi ora si ritrovano divisi. In molti pensano sia giusto lasciarsi adesso, tanti altri speravano che rischiasse ancora, che scegliesse di rilanciare a costo di cannare un colpo. Del resto persino Riva è retrocesso in B, ma chi se lo ricorda? Sarà che certi amori che finiscono non sono mai finiti davvero, nemmeno dopo trent’anni
Può anche sbagliare formazione, può passare dalla difesa a 4 alla difesa 3 per poi abbassarsi a 5 sul finale; può schierare tre terzini tutti insieme, può spostare qualcuno fuori ruolo, stravolgere ogni cosa all’intervallo, buttare dentro quattro attaccanti per l’ultimo arrembaggio. A Cagliari Claudio Ranieri può fare quello che vuole perché dopo Gigi Riva c’è lui, nel pantheon delle leggende.
È tornato tra le lacrime 17 mesi fa, commosso di fronte alla sua gente, a oltre trent’anni dall’ultima volta. E tra le lacrime va via dopo un incontro con la squadra in cui – sostanzialmente – annuncia il ritiro dal calcio dei club. Casomai, se arrivasse qualche nazionale. Ma non adesso. Adesso è tempo di star tranquilli, viaggiare con Rosanna, riposare, ricaricarsi.
Una commedia romantica
Negli spogliatoi fatica a parlare. La decisione è presa da tempo ma l’emozione è troppa, il legame con il gruppo fortissimo, impossibile trattenere il pianto. Tutti sapevano ma nessuno rimane indifferente. Partono abbracci difficili da digerire, perché chiudere una storia d’amore è sempre un tormento. Specie per gli uomini di sport, che passano la vita sollevare l’asticella, a cercare ancora quel brivido, quell’adrenalina. Non stavolta. «È giusto lasciarci adesso», dice Ranieri in un videomessaggio ai tifosi.
Se questa avventura fosse un film, sarebbe una commedia romantica fuori tempo massimo, smielata, piena di buoni sentimenti e finali lietissimi. La storia del vecchio condottiero che torna al timone della sua ex squadra, raccattandola male in arnese nella palude della Serie B, centrando la promozione all’ultimo respiro di una finale playoff con il pronostico a sfavore; e salvandola poi l’anno seguente, facendo il nido in mezzo alla tempesta di un campionato burrascoso risolto alla penultima giornata.
Invece è la vera storia di Claudio Ranieri, che a 72 anni lo ha fatto di nuovo, ha salvato il Cagliari il 19 maggio 2024 come il 19 maggio 1991. In mezzo, semplicemente, è passata la vita: le panchine inglesi, francesi e spagnole, quelle di Roma, Inter e Juventus. Ovunque andasse, una sola costante, è sempre stato facile volergli bene. Perché Ranieri ha cuore, empatia, competenza. Riesce a essere autorevole senza risultare autoritario. Conosce lo stile, pratica l’ironia, esercita la leggerezza. Qualche volta sbaglia? Certamente, evitando però di perdere il controllo, di sbandare, all’occorrenza riconoscendo i propri limiti e i meriti dell’avversario.
«Cagliari è casa mia»
Ovunque gli hanno voluto bene ma con Cagliari la storia ha un sapore speciale. «Cagliari è casa mia, quello che ottengo qui vale più di qualsiasi altra cosa». Cinque stagioni a distanza di oltre trent’anni, sei obiettivi centrati: tre promozioni e due salvezze, tutte con elevato coefficiente di difficoltà, più una Coppa Italia di Serie C.
La prima volta ci sono ancora le lire, Cossiga è il presidente della Repubblica, Mario Chiesa un uomo libero e il debito pubblico poco più che un cattivo pensiero. Tempo due anni e crolla il Muro di Berlino, mentre il Cagliari di Ranieri imbrocca il doppio salto dalla C alla A.
Il ritorno tra le grandi si rivela però una specie di incubo, e la squadra chiude il girone d’andata all’ultimo posto. Sarà la sua prima impresa sportiva, una rimonta impossibile con un gruppo di esordienti e sconosciuti a coronamento del suo primo triennio in rossoblù.
Trent’anni dopo, il mondo è un’altra cosa, è iniziata e finita la Seconda Repubblica, la società è liquida, la democrazia in crisi, buona parte della nostra vita si svolge online. Eppure non si è mai interrotto il legame tra Ranieri e la Sardegna.
«Il mio primo scudetto l’ho vinto a Cagliari», dirà nel 2016, pochi minuti dopo il trionfo nel campionato inglese alla guida di una squadra, il Leicester, che doveva solo evitare di retrocedere. È il momento più alto della sua carriera, ha appena firmato il più assurdo miracolo calcistico di questo secolo, ma Ranieri pensa all’isola dove tutto è cominciato. Già quel giorno avevamo capito, il suo ritorno sembrava scritto, e in qualche modo ne avevamo paura.
Inghilterra e Sardegna
I ritorni sanno avere il retrogusto amaro di una nostalgia annacquata, di una birra sgasata, di uno spumante senza bolle. «Avevo paura di sporcare il ricordo», concorda Ranieri nel gennaio del 2023, accettando di allenare il peggior Cagliari degli ultimi vent’anni, quattordicesimo in serie B, in un ambiente frustrato e depresso.
In sala stampa gli chiedono cosa l’abbia convinto, lui risponde di essersi emozionato quando ha letto le parole di Gigi Riva: «Claudio è uno di noi». Una dichiarazione che ha il sapore dell’investitura. Non a caso il mister è uno dei pochi titolari di un coro personalizzato: «Risorgeremo, l’ha detto Claudio Ranieri». Rarità assoluta per i codici della Curva Nord, con deroga prevista soltanto per le bandiere: Gigi Riva, Daniele Conti, e appunto Claudio Ranieri.
«Nel mondo del calcio ci mettono poco a dirti sei bollito, sei fritto, sei vecchio, sei cucinato», ha ricordato domenica dopo la vittoria-salvezza contro il Sassuolo. Ma verrebbe da dire che Ranieri è piuttosto un classico. Un libro che ha sempre qualcosa da raccontare, un uomo che è ancora capace di stupire, di commuoversi e commuovere. Lui così internazionale, così british, così sardo.
Qualche mese fa diceva al Corriere che ci sono dei punti di contatto tra i sardi e gli inglesi. Da un lato la riservatezza, «ecco perché in Inghilterra e in Sardegna mi trovo così bene», dall’altro l’ironia. Lo diceva anche Joyce Lussu, che è stata scrittrice e antifascista, mezza inglese per sangue e mezza sarda per scelta dopo il matrimonio con Lussu Emilio. Lo humor inglese, il suo senso della misura, quel certo understatement, lo vedeva simile al nostro modo di scherzare.
Chi parla bene pensa bene, e Ranieri, in un mondo di gente che straparla sui social, straparla in televisione, straparla alla radio, straparla dappertutto, difficilmente sbaglia una dichiarazione.
Concetti chiari ma emendati della banalità paludata in cui spesso affonda il dibattito sportivo, senza paura delle domande insidiose. «Giorgia Meloni?», ha risposto all’Unione Sarda, «Sono sincero: non l’ho votata». Il tutto condito da un lessico desueto che manda in sollucchero gli amanti del genere. Mentre il frasario del calcio si avvita tra “braccetti” e “costruzione del basso”, Ranieri parla di “satanasso”, quando vuole intendere un giocatore smaliziato, grintoso; o di “bocche da fuoco”, per lusingare Pavoletti e Lapadula. A inizio stagione ha evocato le “libecciate”, ovvero i momenti di difficoltà e venti contrari, in cui i tifosi avrebbero dovuto continuare a soffiarci dietro.
E i tifosi ora si ritrovano divisi. In molti pensano sia giusto lasciarsi adesso, tanti altri speravano che rischiasse ancora, che scegliesse di rilanciare a costo di cannare un colpo. Del resto persino Riva è retrocesso in B, ma chi se lo ricorda? Chi se ne frega? Sarà che di certi amori che finiscono ricordiamo solo i momenti felici. Sarà che certi amori che finiscono non sono mai finiti davvero, nemmeno dopo trent’anni.
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